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Read Ebook: Manfredo Palavicino o I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana by Rovani Giuseppe

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Ebook has 3431 lines and 197378 words, and 69 pages

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We thank the "Biblioteca Sormani" di Milano that has provided the images.

MANFREDO PALAVICINO

I FRANCESI E GLI SFORZESCHI

STORIA ITALIANA

RACCONTATA DA

GIUSEPPE ROVANI

SECONDA EDIZIONE

MILANO 1877

PRESSO Carlo Barbini EDITORE

Via Chiaravalle, 9

INTRODUZIONE

Uno Stato che, dopo aver raggiunto, quasi potrebbe dirsi, un primato di prosperit?, di floridezza e di coltura, si arresta improvviso, tentenna, si sconnette, perde finalmente tutto quanto aveva acquistato con un lavoro assiduo di mezzo secolo; n? solo perde ci? che possedeva di bello e di grande, ma cade nel pi? profondo della miseria e del languore; questo Stato, io dico, presenta senza dubbio uno spettacolo troppo degno che alcuno vi si fermi coll'attenzione; e tanto pi? in quanto contemporaneamente e nel medesimo paese, un'altro Stato raccogliendo gli effetti del lavoro di pi? secoli, e per l'impulso speciale e potente d'un uom solo, si porta invece di tratto al pi? alto punto della civilt?, e veste uno splendore ed un lusso, dir? quasi, festoso e tripudiante.

Quest'epoca e questo paese, in cui succedono due fatti cos? opposti, offrono un bel materiale d'operazione allo storico ed all'artista. Allo storico per l'indagine sagace delle cause, per la stima sapiente degli effetti; all'artista per quel forte contrasto d'elementi, di figure, di passioni, di tinte da cui, quasi sempre, suol scaturire il bello delle opere d'immaginazione.

Per? codesto tratto di storia ? l'argomento che sarebbe piaciuto poter sviluppare intero nel presente lavoro: Milano e Roma, le due prospettive da colorirsi a quelle cos? opposte intonazioni di tinte. Milano co' suoi duchi scaduti, viene a trovarsi implicata colla Francia, il suo re battagliero, i suoi luogo-tenenti crudeli; Roma e il magnifico suo pontefice che sono intesi a spegnere la folla dei tiranni nella media Italia, obbrobriosi per delitti e atrocit? d'ogni maniera; nel mentre questi, aiutando Francia per tenersi forte contro il pontefice vengono a concorrere alla rovina del Milanese, fintantoch?, percossi da Roma pi? potente, lascian nudo un fianco alla Francia, e Milano, giovata da quest'ordine di cose, da Roma, dalla lega, pu? riaversi un tratto da quel duro e atroce regime.

Dramma a larghissime dimensioni, nel quale pi? Stati son le figure colossali che aggruppano il nodo e s'affaticano allo scioglimento.

Se non che, trattandosi di un'opera d'immaginazione, in cui la materia storica dev'essere cos? stemprata nel diletto, che facilmente venga digerita anche dalle pi? gracili intelligenze, conveniva diminuire le troppo ampie dimensioni coll'accostare la periferia pi? che fosse possibile al centro, adoperando per altro di maniera, che se ne conservassero intatte le proporzioni relative; conveniva insomma far quello che fa la camera ottica, la quale, su d'una piccola tavola, raccoglie ci? che appena potrebb'essere contenuto da uno spazio di migliaia di metri.

A far questo era indispensabile un punto, che porgesse il mezzo di congiungere senza soverchia fatica, e, quel che pi? importa, senz'artifizio troppo palese, tutti gli elementi cos? lontani tra loro e cos? disparati; cosa che non sarebbe stata difficile qualora, camminando suite solite orme, si fosse voluto introdurre un personaggio ideale, e dare a lui l'incarico di guidare i lettori nella via della storia, e di connettere le cause e gli effetti de' pi? notabili avvenimenti.

Ma essendosi l'autore intestato che il protagonista avesse ad essere propriamente storico, se ne sarebbe al certo rimasto co' suoi desiderii, se la storia medesima non si fosse, a dir cos?, espressamente adoperata per mettergliene innanzi uno che a farlo apposta, non poteva per certo riuscir migliore.

Questo ? il Manfredo Palavicino, giovane patrizio milanese, del quale l'ingegno e l'animo forte, le svariate vicende della vita e l'ultime sventure, porgevano senz'altro aiuto, abbastanza da fermar l'attenzione anche de' pi? indifferenti e svogliati.

Avendo, per essersi incontrato nella figlia del signore di Bologna, contratte relazioni e nimicizie ed odii con taluno che dominava nella media Italia, ne fa conoscere in parte la condizione, gli usi, gli abusi; ne conduce finalmente a veder Roma, la citt? eterna, dove per assai tempo ebbe a fermare la sua dimora.

Nemico alla Francia, e da lei assiduamente perseguitato, caldissimo fautore di Francesco Sforza e a lui carissimo, ne mette in bella luce le virt? di questo, ne fa conoscere l'ingiustizia di quella.

Sovrattutto parve all'autore, dopo aver tentato i segreti della storia, riuscisse sovramodo interessante il gruppo di quei tre personaggi Palavicino, Ginevra Bentivoglio, Sforza, perch? in quel loro incontro, nello stesso luogo e nel medesimo tempo, in quella parit? di giovinezza, in quell'associazione di vita e di comunanza d'interessi, , in quel forte legame d'amore, a non voler star paghi del nudo fatto e della semplice cifra, gli sembr? vedere qualche cosa pi? di un puro accidente, ma alcun che invece di altamente prestabilito, ma una mano, provvida e sapiente che avesse espressamente gettate nel mondo e aggruppate quelle tre creature, perch? nel mentre avevano a soffrire per le colpe dei loro padri e della loro classe, ne fossero in una volta l'espiazione e la riparazione potente.

In questi tempi, in cui la fantasia stranamente prodiga di taluno de' nostri vicini d'oltremonte ? usa imbandire cos? laute e forse indigeste mense alla folla incontentabile, ed a stordire il lettore nella sua noja pi? forse che ad appagarlo nelle sue pretese, lo trascina, quasi potrebbe dirsi, a coda di cavallo, sul popolato campo della vita attuale. In questi tempi che i labbri, viziati dagli spiritosi e forti liquori, facilmente fastidiscono ogni altra bevanda che loro sia porta, ? ardua cosa assai il gettare alle moltitudini un libro qualunque esso sia.

Per? l'autore non pu? dissimulare l'insolito timore dal quale ? preso nel pubblicare il presente.

Di s?, dell'opera propria ha sempre dubitato e dubita tuttavia, con sensibile stringimento dei precordi, non tanto per? quanto dell'inesorabile pubblico. Di questo pubblico sazio dall'abuso, indifferente, svogliato, e per nulla disposto a sperar bene di un lavoro che sia fatto da italiano, stampato in Italia, trattante italiane cose, e che lasciando il presente, bench? senza mai dimenticarlo, risalga al passato.

Ad ogni modo il libro ? questo. L'autore vi si ? applicato con amore, che nel corso dell'opera talvolta fu pi?, talvolta fu meno, talvolta eccessivo, talvolta anche nullo; ne ha concepita inoltre qualche speranza che comparve, disparve e ricomparve coll'assidua intermittenza delle febbri terzane. Ora quel che ne attenda, non saprebbe dir con certezza. Il lettore ci provveda, provvedeteci voi, amabili leggitrici, e perci? vogliate ascoltare una parola ancora.

Se talvolta facendo la via per certe aride steppe, l'ambio della cavalcatura fia per esser lento qualche poco, procurate rintuzzare il soporifero della noja, rintuzzarlo confortandovi nel pensiero che verr? il tempo delle corse affannate, delle aspettazioni ansiose, delle scosse non attese, dei forti affetti, e degli angori, pi? dell'acre cipolla, formidabile ai vasi lacrimali; e che forse anche dopo caduto il libro dalle mani vostre, le oscillazioni vorranno continuare per qualche poco ancora.--L'autore lo spera--Sperate anche voi.

PERIODO PRIMO

CAPITOLO PRIMO

Quel canto della contrada delle Ore, ove alzando un tratto lo sguardo, si ha il vantaggio, di vedere un lato della chiesa di s. Gottardo e la torre del suo famoso orologio, che ? sempre un buon pezzo d'architettura, non fu mai, a nessun'epoca, oggetto di molta attenzione; ed ? in questa parte, dove la massima noja viene oggid? ad assalire il granatiere del corpo che vi passeggia a guardia; soltanto trecentoventinove anni or fanno, il giorno de' santi Cornelio e Cipriano, che cadeva allora al tredici settembre, la parte di popolazione che poteva reggersi sulle gambe, pass? quasi tutta per di l?, a gettare un'occhiata ben attenta a quell'angolo che in quel d? ebbe un successo, quale non ebbe a vantar mai n? prima n? dopo. A quel canto si vedeva bens? un'immagine di Maria Vergine, che ora non c'? pi?, dipinta piuttosto male da uno scolaro di Luino per mezzo scudo del sole, con innanzi due torchietti sempre accesi e due vasi di fiori sempre freschi, alla cui conservazione e spesa tanto ordinarie che straordinarie sopratendeva il barbiere che vi avea bottega l? presso. Del resto non offrendo allora quel luogo nulla di diverso da quanto possa offrire oggid?, si poteva ragionevolmente maravigliarsi vedendovi una cos? gran moltitudine ferma ad osservare, non potevasi congetturar cosa. Ma nella notte prima, quando battevano le sei ore appunto all'orologio di San Gottardo, un gentiluomo, accompagnato da un suo famiglio, era stato col? assalito da quattro soldati con spadoni e pugnali; il gentiluomo n'era rimasto affatto affatto illeso; e i quattro assassini, inseguiti, agguantati, percossi, e strettamente legati dalle guardie svizzere dell'eccellentissimo duca, erano stati condotti in castello. Avvenimento che da tutti era qualificato per un vero miracolo, la cui spiegazione non poteva esser difficile, per essersi commesso l'attentato sotto gli occhi medesimi della Vergine Santissima.

La prima edizione della presente storia fu pubblicata nel 1845.

La folla aveva cominciato fermarvisi, a che appena suonava la prima avemmaria in Duomo, e cambiata e rinnovata, ? impossibile dir quante volte, vi stava stipata or tuttavia che i monsignori nella sagrestia orientale s'adattavano in fretta la cappamagna, battendo in quella gli ultimi tocchi de' vespri; trattavi anche allora, come sempre, da quella specie d'istinto pel quale ci sembra che la presenza del luogo ov'? avvenuto un gran fatto ci aiuti a ricostruircelo in mente, anche senza esserne stati testimoni, e malgrado il silenzio delle muraglie. Del resto, ad un simile silenzio s'affannava in quel giorno di soccorrere l'eccessiva loquacit? del barbiere, il quale, fin dalla notte, s'era, al rumore insolito, affacciato alla finestra, aveva anche esso data una voce, aveva veduto e traveduto; all'alba, chiamato gi? dagli avventori che lo martellarono di domande, aveva saziata la curiosit? loro; interrogato poi da tutti quanti passavano per di l?, s'era assunto l'ufficio di narratore, e quelle cinque o sei frasi, nelle quali stava racchiusa tutta la storia del fatto; le aveva quel di repetute, non si pu? calcolare quante centinaia di volte.

E anche in questo momento che continuavano i tocchi della campana de' vespri, stava intertenendo dell'avvenuto due o tre che attentamente lo ascoltavano.--Ecco, qui, diceva, quando mi sono affacciato col lampione, gli assassini fuggivano per di qui, e i due soldati della guardia venivan gi? loro alle coste molto bene, intanto che sei o sette labarde del duca correvano a furia dalla piazza. Il marchese stava fermo a questo posto, lo vedete... a questo posto qui dove son io; teneva ancor sfoderata la spada, e dicendo al famiglio che cessasse ormai dal gridare tant'alto, che pi? non era bisogno, rideva vedendolo cos? fuori di s?; ma colui era tanto scalmanato che non l'udiva nemmanco, e continuava a mandar grida.

--E tu cos'hai fatto allora?

--Per me non sarei gi? disceso, cari signori; ma quando m'accorsi ch'era il Palavicino, gli diedi una voce e dissi: Signor marchese, si faccia coraggio! e venni abbasso e uscii sulla strada. Dico al marchese: Fate a modo mio, bevete un bicchiere di Monterobbio, che ne ho ancora una botticina per fortuna... e so cos'? spavento.... A queste mie parole lui s'? messo a ridere... e....

--Diavolo... volevi che si sconciasse per s? poco uno che fu alla battaglia di Ravenna e di Novara?

--In quanto a questo avete torto, ch? la guerra ? tutt'altro gioco.... Ma, come dicevo, lui s'? messo a ridere e mi prese la mano, gi? sapete quanto ? affabile quel signore, e mi fece tenere un mezzo ducatone, che ? questo qui che vedete, ancor nuovo di zecca, e mi disse: Il Monterobbio lo berrete voi. Dopo si volse un tratto all'immagine della Madonna, e levatosi il berretto, mi parve dicesse delle divozioni, e subito dopo torn? a Palazzo.

A questo punto pareva che il barbiere avesse finito di parlare, ma si volse in quella ad un altro.

--Vorrei m? sapere precisamente, diceva quel tale, come fu codesta storia di jeri notte?

--Ecco qui; quand'io mi sono affacciato gli assassini fuggivano....

--Oh, basta! entrarono allora a dire ad una voce molti borghesi, che quella storia l'avean gi? sentita a ripetere pi? di tre e pi? di quattro volte. Di questo ne sappiamo assai.... Adesso sarebbe una gran cosa il poter sapere chi ha pagati i sicarj....

--Questo ? bene quanto vorrei sapere anch'io; ma... fammi indovin....

--Io l'avrei bene il mio sospetto.

--Sentiamo, sentiamo, sentiamo.

--Siccome ognun sa i brutti guai che intervennero fra il giovane ed il vecchio marchese suo padre, e in che duro modo esso abbia cacciato fuor di casa il flgliuol suo, e che anche adesso lo vorrebbe morto, tanto ? trasportato dall'ira, perch? sia cos? stretto amico dello Sforza, pensando poi che domani il giovane marchese sar? a combattere contro i Francesi, pe' quali il pessimo vecchio darebbe l'anima, cos? crederei....

--Oib?, oib?! che dite mai?... un padre?... Ma un padre pu? bene far tutto che vuole, non mai attentare alla vita del proprio figliuolo.... Oib?!... che diavolo avete detto?

--Ma cosa so io?... se ne odono di cos? strane a' nostri di, che....

--No-no-no, entr? a parlare un terzo, che s'era allora allora accostato al crocchio, e al quale tutti fecer largo; Carl'Ambrogio ha parlato bene.... Un padre, per quanti dispetti possa avere, non si attenter? mai di fare una cos? infame azione. Sapete piuttosto cosa sar??... Sar?, che siccome a' Francesi ? noto che il Palavicino ? caldo amico dello Sforza, e che la sua buona spada pesa per dieci, e va poi innanzi a tutti nell'odiar loro, cos? crederei....

--Oh questa ? grossa, ? grossa, il mio caro Burigozzo.

--Ma lasciatemi dire.

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