Read Ebook: Tre racconti sentimentali by Bettoni Paolo
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Ebook has 240 lines and 28176 words, and 5 pages
--Vicino alla Piazza Castello.
--Andiamo. Io voglio conoscere la vostra famiglia, e accertarmi della sincerit? delle vostre parole. Se voi non mi avete mentito, io vi regaler? come non lo fu mai nessun suonatore di organetto.
Il giovane si lev? risolutamente, ed usc? della bottega. Antonio gli tenne dietro, parendogli di sognare. Preso lo strumento che stava di fuori, si avviarono verso la Piazza Castello, continuando a discorrere quando non lo impediva l'incontro della gente e la difficolt? del cammino. Era cosa molto strana che un giovane signore vestito con eleganza attraversasse la citt? accompagnato da un miserabile suonatore di organetto, e parlando con lui affabilmente senza impedimento di umani riguardi. No, no, gli umani riguardi e le precauzioni si adoperano da chi segue un lenone, guidatore prezzolato, a qualche misteriosa e facile conquista. Il giovane signore seguiva invece un onesto vecchio nella persuasione che lo conducesse al soggiorno della miseria virtuosa, che egli si proponeva di consolare. Gli animi ben fatti, quando sono posseduti dalla gioja, si sentono doppiamente inclinati alla beneficenza, e bramano di darne prove con qualche atto nuovo e straordinario. Ecco perch? il giovane volle recarsi egli stesso a vedere la famiglia di Antonio, dietro la favorevole opinione che questi gli aveva inspirata. Quando entr? nel brutto viottolo plebeo, mal rischiarato e quasi impraticabile per la neve che lo ingombrava, egli prov? una specie di pauroso disgusto, che and? crescendo allorch? pose il piede nella casaccia che abbiamo descritta. Nondimeno super? quel sentimento di vaga inquietudine, e tenne dietro ad Antonio che apr? l'uscio e lo introdusse nella misera stanza. Le due donne restarono come interdette e smarrite di confusione al vedere il vecchio sotto il peso di un organetto, e lo splendido visitatore che lo seguiva. La stanza era fredda come se fosse aperta ai quattro venti, e del fuoco improvvisato poco prima da Antonio non esisteva che un debole rimasuglio. La madre e la figlia stavano occupate a rattoppare certe camicie degne del compratore di stracci, ed avevano per lume un moccolo di sego piantato in un ordigno di legno e fil di ferro, che usurpava il nome di candelliere. I due fanciulli giacevano addormentati sopra un pagliericcio, che un cane mediocremente trattato avrebbe avuto a sdegno. Visto nelle ore notturne, l'albergo del povero ? ancor pi? tetro e squallido di quando ? penetrato dalla luce del giorno. Egli pare che il silenzio della notte, il semibujo del luogo, le ombre fantastiche e tremolanti che disegna un lumicino sulle pareti, ed altre indescrivibili cagioni diano alla miseria maggior rilievo, e all'animo una stretta maggiore. Il giovane si sentiva impietosito e insieme rabbrividito allo spettacolo nuovo e miserando che lo circondava. Egli sapeva all'ingrosso ci? che ? la povert?; sulle norme di quanto ne vedeva in pubblico e sulle idee che gli fornivano i libri, ma non mai l'aveva ravvisata nel suo vero aspetto, n? colta sul fatto nella intimit? della sua dimora. Ecco perch? i ricchi, generalmente parlando, non inclinano molto alla compassione del povero. Essi non hanno provato il bisogno, e rifuggono dal vederlo in altrui. Se il primo motivo non ? una colpa, il secondo lo ? certamente. Il giovane aveva avuto da Antonio lungo la strada molti dettagli circa le disgrazie della sua famiglia, ma principalmente circa la trama ordita contro la nipote. Ora egli aveva dinanzi la fanciulla, che rossa di vergogna non osava guardarlo in volto, n? quasi rispondere alle sue domande. La bellezza, la giovent? e la infelicit? di Cecilia gli destavano un vivo e virtuoso interessamento. Egli pensava alla donna del suo amore, giovane e bella essa pure, ma non infelice, e questo pensiero gli faceva trovare dei rapporti gentili e naturali fra le due giovani, e gli era come stimolo ad apprezzare e beneficare l'una in grazia dell'altra. Questi squisiti riflessi e queste delicatezze di sentire sono proprie soltanto delle anime elette prese d'amore. Per quell'istinto che hanno i buoni di comprendersi fra loro, il giovane signore fu persuaso che quella famiglia era degna del bene che egli si preparava di farle. Nell'atto di congedarsi pose in mano ad Antonio due pezzi da cinque franchi, e gli disse che il domani a mezzogiorno si recasse dal curato della parrocchia, presso il quale troverebbe dichiarate le sue disposizioni. Io lascio immaginare a chi legge la consolazione dei beneficati, i loro sentimenti di gratitudine, e le benedizioni che invocarono dal cielo sopra il giovane sconosciuto. Antonio pareva ringiovanito di dieci anni, e andava esclamando, che non bisogna mai disperare della provvidenza, che al mondo vi sono delle anime d'oro, e che il volere di Dio lo aveva fatto imbattere in quel generoso signore.--A proposito, disse egli sobbarcandosi allo strumento che aveva deposto sopra la tavola, io vado a portarlo a Simone, al quale voglio dare uno di questi pezzi da cinque franchi. Noi siamo intesi di dividere il prodotto, e sebbene, a stretto rigore, queste due monete non siano il frutto della musica, pure mi sono venute in conseguenza dello strumento che mi fu prestato. Se il suo padrone mi ricusava il servigio, io non sarei entrato in quel caff?, e non avrei la fortuna che l? dentro mi ? capitata. Oh s?, viva Simone ed il suo strumento.
Il giorno seguente, all'ora indicata, Antonio si present? al curato della sua parrocchia. Il giovane signore vi era stato poco prima ad affidargli una bella somma di danaro, e l'incarico di eseguire le sue benefiche disposizioni. La famiglia di Antonio fu subito traslocata in una casa decente, provveduta di letti, di biancheria, e di quanto occorre per uscire di stento. Altri sussidj periodici doveva trovare in seguito depositati presso il medesimo parroco, al quale particolarmente veniva raccomandata Cecilia, colla promessa di darle una doterella quando si maritasse.
Il giorno stesso Tribolo fu chiamato dalla polizia a render conto della sua azione, che gli valse una nuova condanna, da lui subita colla solita rassegnazione dell'innocenza calunniata. Quanto al ricco bottegajo, egli gett? il suo danaro e fece naufragio vicino al porto. Se il suo nome ? stato pronunciato in polizia, non ? tanto delicato da soffrirne macchia.
Il cielo accordi tutte le sue grazie al giovane signore, e specialmente gli conceda di potersi unire alla fanciulla sospirata. S?, il cielo benedica il suo amore, sotto la cui influenza egli fu inspirato a cos? bella opera di carit?.
FINE.
IL GENTILUOMO MENDICO
REMINISCENZA DI UN VIAGGIO
PAOLO BETTONI
IL GENTILUOMO MENDICO
Alla sera dello stesso giorno ci trovammo in un piccolo villaggio ai piedi della montagna, dove esisteva un'osteria insperata e miracolosa, alla quale domandammo alloggio e cena. O santa ospitalit?, io ti benedico e ti esalto anche quando sei vendereccia e mungi la borsa ai pellegrini; anche quando imbandisci loro non altro che pane secco, pomi di terra e cacio pecorino; anche quando li metti a giacere sopra letti di equivoca nettezza e di durizia incontrastabile, esigendo nondimeno il prezzo che valgono i delicati mangiari e le morbide piume. Un tale trattamento ? preferibile pur sempre al digiuno e alla stazione sotto la cappa dei cielo. Fortunatamente che vicino al male si trova il bene, e l'assioma si manifest? vero per la millionesima volta. Noi avemmo un compenso al nostro disagio. Mentre stavamo in cucina affrontando il gramo pasto, e pensando al giaciglio ancor pi? gramo da affrontarsi dappoi, ecco nella camera attigua un violino e un contrabasso che principiano a stridere confusamente colla buona intenzione di montarsi al medesimo diapason. Erano come due amici che gridano e contrastano pi? in apparenza che in sostanza, per fare quindi la pace e camminare d'accordo nella stessa faccenda. A questo miagolio disarmonioso tenne dietro una monferina tutta br?o da mettere in gongolo un piagnone, e snodare le gambe d'un paralitico. Potenza degli Dei, sarebbe mai vero che qui succede una festa da ballo? Era vero come il magro pasto che avevamo finito, e come il duro letto che ci aspettava. Noi balzammo in piedi, e il passare dalla cucina al teatro delle danze fu un volo. Quattro coppie di ballerini erano gi? in moto, e il sesso forte sgambettava e faceva salti da dare il capo nel solajo. Altri giovinetti e altre forosette sopraggiungevano mano mano finch? la camera fu piena. Quel giorno si era fatto uno sposalizio, e l'oste aveva prestato il locale per la celebrazione di una festa in onore di Tersicore montanina. I due orfei stavano sopra l'eminenza di una tavola collocata in un angolo, e di l? diffondevano torrenti d'armonia, frase che io tolgo in prestito da una gazzetta teatrale. Colui che dava vita al violino era il sarto del villaggio; l'animatore del contrabasso era il sacristano della parrocchia, due genj sorprendenti, due personaggi meravigliosi che sapevano unire i talenti pi? disparati. Voi che ridete, trovatemi voi due uomini che trattano gli strumenti di Sivori e di Bottesini colla stessa disinvoltura con cui tirano l'ago e accendono le candele. Noi pigliammo parte al divertimento con una lena straordinaria in chi si ? arrampicato tutto il giorno su pei monti. Ma la giovent? non sente fatica quando si tratta di ballare. Quell'idea di stringere la mano ad una fanciulla, di allacciarla mediocramente ai fianchi, di condurla in giro, e di specchiarsi nel suo visetto, ? un potente rimedio contro ogni stanchezza. Ma qui non erano visetti pallidi e delicati che miravamo, n? personcine smilze e fragili che cingevamo, come succede nei balli sontuosi e profumati delle citt?. Erano pezzi di fanciulle rigogliose e massiccie, coi volti parte brunotti e parte impastati di rosa e latte, cogli occhi neri scintillanti, piene tutte di floridezza e di vigore, tipi insomma della bellezza alpigiana. Questo era per noi un'attraente novit?, che aggiunta alla fortuna di lasciar vedovo per molte ore il nostro letto ci rendeva al sommo contenti. Noi ballammo lungamente e con tutte quelle care napee, compresa la bella sposa, che non faceva smorfie n? ritros?e vere o affettate, ma che palesava una schietta letizia, velata alquanto dalle sue commozioni misteriose, e dal contegno pudibondo di chi ? fanciulla per l'ultimo giorno. Una sorella di lei era per me la regina della festa, e aveva la preferenza nelle mie attenzioni e ne' miei omaggi di galanteria. Io le custodiva il posto da sedersi, e con premura la serviva di birra, il solo genere di rinfreschi circolanti nella sala da ballo. In fede mia quella ragazza mi avrebbe fatto fare pazzie, quando avessi continuato a vederla per molti giorni. Era fiera ed imponente come Diana, della quale aveva un poco i gusti e le abitudini silvestri. Tuttavia non mancava di mansuetudine, e rideva graziosamente mostrando un tesoro di denti bianchissimi, e facendo due pozzette che nulla di pi? vezzoso. Aveva nome Bettina, e ballava la forlana che era un incanto. Il mio compagno non si divert? meno di me, e inoltre come pittore e mezzo poeta ebbe delle idee e delle inspirazioni che a me non vennero. Quella rustica camera illuminata da quattro candele di sego, quel fermento dei giovani ballerini, quella lieta tranquillit? dei vecchi spettatori, quelle voci di allegria miste ai suoni di quell'orchestra singolare, gli facevano l'effetto di un quadro animato di Van-Dick o di Rembrand. Io ebbi invece dei momenti di raccoglimento per fantasticare intorno ad un vecchio vestito di abiti signorili, ma logori e macchiati fino all'indecenza, che tutti chiamavano il signor conte, che mostrava infatti una fisionomia e modi distinti, che aveva ballato due volte con molta degnazione e allegramente come un giovinetto. Per mancanza di agio, di motivi sufficienti, e di persone di confidenza per farmi fare la sua biografia, rimasi per allora colla mia curiosit? in corpo. Il divertimento dur? fin oltre la mezzanotte, e quindi ognuno se ne and? a casa sua. Una camera qualunque, dove si ? fatta una festa da ballo, appena rimane deserta, fa male all'immaginazione, ed inspira tristi e filosofici pensieri. Io stetti un poco sulla soglia in atteggiamento di meditazione a guardare quella camera vuota e silenziosa, che un momento prima echeggiava di suoni, ed era il campo di tanta gioja rumorosa. Fu allora che principiai ad accorgermi della fugacit? e insufficienza dei piaceri umani, e mi sentii alquanto sconfortato. Ah, non ? a ventidue anni che si fanno di queste gravi e barbute riflessioni. In giovent? quando un piacere fugge, ne intravediamo un altro nel domani, e ci consoliamo. La vera cagione del mio sconforto era Bettina, che non avrei pi? veduta, e che mi andava girando nella fantasia. Il mio compagno intanto mi chiam? dall'alto della scala di legno che conduceva al nostro dormitorio, il quale era una specie di granajo dove in mezzo ai fagiuoli, alle fave e alle patate sorgeva il nostro letto di Procuste. Il diavolo non ? brutto come si dipinge. Una volta entrati fra le lenzuola, spento che fu il lume, e voltati che ci fummo cinque o sei volte sui fianchi, discese sopra di noi il sonno benigno, e quando si dorme ogni letto ? buono. La mattina per tempo noi uscivamo dal villaggio, allorch? un ostacolo per parte mia venne a ritardare alquanto il proseguimento del nostro cammino. Io aveva le scarpe molto rotte. Questa disgrazia mi era nota da due giorni, ma il male era allora nel primo stadio, e si poteva sopportarlo. Un moralista qui direbbe: Noi dobbiamo riparare un male, qualunque sia, appena si manifesta, affinch? non diventi maggiore col trascurarlo. Un economo soggiungerebbe: Quando si rompe un punto ad una scarpa, correte subito al rimedio, altrimenti una piccola fessura si convertir? presto in uno squarcio. Mille grazie all'uno e all'altro, ma i saggi avvisi non sempre si possono mettere in pratica. Nel caso mio un pronto rimedio era impossibile, perch? al manifestarsi del guasto io non avrei saputo dove trovare un calzolaio. Eccomi giustificato della mia apparente incuria. Del resto niente di pi? naturale che il rompere le scarpe allorch? si viaggia a piedi tutto il giorno, e che per giunta si balla tutta la sera come disperati. Coloro che viaggiano in carrozza sono sottoposti al malanno di avere una ruota spezzata, ma ? un caso molto pi? raro dell'altro, e perci? se potessi io vorrei sempre viaggiare in carrozza. Dunque come si fa quando le scarpe sono rotte? Quando non se ne hanno portate seco delle altre da sostituirvi? Diamine, la cosa ? chiara per s? medesima, bisogna comperarne un pajo di nuove, oppure far rattoppare le vecchie a meno che non vogliate tirare innanzi cos?, e farvi credere un giramondo pezzente. Vi ? anche la ragione di conservarsi i piedi asciutti, e di chiudere la via ai sassolini che entrano pei buchi a darvi fastidio. Lasciamo stare le scarpe nuove, io dico fra me pensando all'economia, e facciamo mettere le mezze suole a queste qui, che hanno ancora un buon tomajo. E poi dove trovare in questi luoghi delle scarpe che non sieno di materia e di fattura grossolane, e di peso enorme? Io mi guardo attorno, e vedo una botteguccia di ciabattino che ha per insegna due forme infilate ad una corda e penzolanti in aria. L'indicazione era equivoca, anzi del tutto falsa, poich? invece di fabbricare scarpe, sembrava che l? dentro si fabbricassero forme. Suvvia, non andiamo a cercare la logica n? l'esattezza dei simboli sopra le insegne delle botteghe. Il barbiere tiene inalberato sulla sua tre piattelli di stagno o di ottone, e ci? non vuol significare che egli sia artefice di quella sorta d'utensili. Io entro dal ciabattino, e intanto il mio compagno va a copiare la chiesetta del villaggio, bellamente situata sopra un'altura, e poi un mulino a vento che sorgeva poco discosto di l?, e che egli non prese per un gigante, come avrebbe fatto Don Chisciotte di piacevole memoria. Il ciabattino era un vecchiotto di circa sessant'anni, grasso, rubicondo e colla bont? dipinta in faccia. Aveva una di quelle fisonomie che si guardano volentieri, e per le quali si prova subito simpatia. Egli mi disse, toccandosi la berretta, che m'avrebbe servito nel mio bisogno, ma che non ci voleva meno di due ore a fare la fattura come andava fatta. Vi era in quella bottega un odor di pece e di cipolle che non rallegrava l'olfatto, ma i viaggiatori pedestri non debbono essere schizzinosi, n? cadere in deliquio al pi? piccolo disgusto dei sensi. Nondimeno, se avessi avuto un altro pajo di scarpe, sarei andato volentieri a passeggiare e respirare liberamente. Non potendo uscire di l?, mi sedei sopra uno sgabello di paglia, e stetti a guardare l'opera e l'operajo. Maestro Giacomo aveva principiato a battere il cuojo colla solita armonia dei ciabattini, quando entr? in bottega il conte che io aveva veduto alla festa da ballo. Il racconciatore delle mie scarpe si alz? premurosamente, e tutto ossequioso lo invit? a seguirlo in una stanza vicina. Col? si trattennero due o tre minuti, ed io senza volerlo intesi qualche cosa di quel breve colloquio, tenuto non abbastanza sommessamente. Maestro Giacomo chiamava illustrissimo il suo interlocutore, e gli dava non so quale danaro, scusandosi che fosse poco. L'illustrissimo diceva che era anche troppo, faceva i suoi ringraziamenti, e si protestava obbligato di tanta bont?. Quindi ricomparvero in bottega, e Giacomo, sempre riverente, accompagn? il visitatore fino all'uscita sulla strada. Allora io notai che il calzolajo era zoppo, e che rimettendosi a sedere aveva preso un'aria di tristezza mal confacente al suo volto sereno e gioviale. Egli torn? a battere il cuojo, ma con misura concitata e precipitata, non dicendo parola, e mandando qualche sospiro. Ecco l'occasione, io pensai, di cavarmi la mia curiosit? di jeri sera, curiosit? cresciuta infinitamente dopo ci? che aveva allora inteso e veduto.
< < < < < Per difendermi i piedi dal freddo, li cacciai provvisoriamente in un pajo di grosse scarpe da montanaro, che stavano li disoccupate e malconce, aspettando anch'esse il rimedio alle loro ferite. Quindi mi rassettai sullo sgabello, e delle tre o quattro posizioni convenienti all'ascoltatore, presi quella che denotava maggiore attenzione. Maestro Giacomo principi? a dire cos?: < < < < < <