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Read Ebook: Col fuoco non si scherza by De Marchi Emilio

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Ebook has 1763 lines and 93771 words, and 36 pages

Questa era stata gi? del suo povero babbo. Qui il brav'uomo aveva languito gli ultimi mesi, qui era morto. Vicino a questa camera si apriva lo studio vasto, ancora arredato da solidi scaffali, pieni di libri e di carte, e popolati dei cento oggetti che parlavano della sua vita e delle sue opere. Tra due scaffali un busto di marmo lo rappresentava nel vigore degli anni e della fortuna, quando su proposta di Quintino Sella, che aveva avuto di don Camillo Bagliani un'alta opinione, era stato mandato prefetto in Sicilia in un momento di grave pericolo sociale. E in un quadro era esposta tutta la raccolta delle sue decorazioni, che cominciavano con una piccola medaglia commemorativa della battaglia di Palestro e finivano colla commenda dei SS. Maurizio e Lazzaro.

In faccia al busto del babbo, nello spazio tra le due finestre, in una ricca cornice d'oro pendeva il ritratto a olio di sua madre, la povera contessa Saulina di Pianello, una bellezza dolce e delicata, scomparsa troppo presto tra gli strazi d'un lento esaurimento nervoso.

Questo era per Ezio come un santuario: e quando, sottraendosi alle dissipazioni della vita esterna, poteva raccogliersi una mezza giornata tra le sacre memorie e metter le mani nella corrispondenza di suo padre, il giovane Bagliani sentiva dentro di s? quasi un senso di ribellione contro la miseria di quel suo vivere, tra gente fatua, che nel suo orgoglio istintivo sentiva di stimare meno dei cani.

Fu in uno di questi momenti di resipiscenza che pens? di romperla con Liana, una vagabonda che pretendeva di comandargli e che gli aveva gi? fatto molte scene disgustose: e da tre mesi si vantava in cuor suo di saper resistere alle tentazioni. Anche il desiderio di dar l'ultimo colpo a' suoi studi e di prendere un titolo accademico secondo il desiderio del povero babbo, andava parlandogli in cuore come un rimorso.

Tra le molte disuguaglianze di spirito che la natura gli aveva regalato c'era in Ezio un fondo massiccio d'orgoglio che gli impediva di scendere fin dove il fango arriva agli occhi. Avveniva che dai pi? irregolari eccessi, quasi per rifarsi un credito davanti a s?, si chiudeva come un bimbo cocciuto per quindici o venti giorni in camera, dove si dava a studiare a pi? non posso, come se dovesse pubblicare un nuovo Digesto.

Da un mese era in questo periodo di penitenza e di esercizi spirituali e, se aveva ceduto una notte all'invito di Erminio Bersi, sentiva di esserne tornato ancor pi? sazio e ancor pi? convinto che la vita non pu? essere soltanto in fondo ai piaceri.

Per far venir l'ora di andare da Flora, tolse il violino dall'astuccio e corse una mezz'ora sulle corde, ripetendo a memoria tutte le scale degli esercizi che da cinque o sei anni tormentavano il vecchio strumento. Per quanto la naturale disposizione l'aiutasse, il nostro filarmonico non aveva mai saputo uscire da quella mezza capacit?, che fa desiderare e rimpiangere l'altra mezza. Forse aveva ragione di dire il suo maestro Pazzini che i topi avrebbero fatto pi? presto a rosicchiare lo strumento di quel che Ezio Bagliani a studiarlo. Ma quel poco, cos? frammentario e rappezzato, gli serviva qualche volta a ingannare il tempo, quel benedetto tempo che in fondo, come si dice, ? galantuomo e non merita di essere ingannato.

Dalle sette alle sette e mezzo era scesa in giardino a innaffiare i quarantacinque tra vasi e vasetti della sua botanica e a dar da mangiare alle quattro galline del pollaio. Aveva portato il caff? in camera alla mamma e combinato con lei una lista per far onore al quasi cugino di Villa Serena, che si degnava di venire a colazione al Castelletto. Si stabil? che alle due uova si dovesse aggiungere una costoletta di montone, un caff? e panna e un piatto di fichi primaticci. In quanto al vino si poteva far prendere all'osteria un certo bianco non troppo brusco che Ezio aveva una volta portato alle stelle.

Dati gli ordini alla vecchia Nunziata, Flora prepar? la tavola sul terrazzo in ombra con quanto vi era di pi? bello e di meno scornato nella dispensa: e verso le otto si ritir? in camera a lavarsi e a pettinarsi. De' suoi tre vestiti pi? presentabili scelse uno di percalle celeste a fiorellini bianchi senza cintura, chiuso con una semplice arricciatura intorno al collo: un abito di carattere infantile, che la faceva parere pi? alta e pi? leggera. Que' suoi folti capelli color del rame non istavano male sopra il percalle scolorito, che oltre a scendere con pieghe morte e lunghe, come si vedon dipinti certi angeli di frate Angelico, coi capelli d'oro, aveva il vantaggio di nascondere un paio di stivaletti non troppo in armonia tra loro.

Quantunque Ezio non fosse per Flora che un cugino posticcio, perch? la zia Vincenzina non era che una seconda madre per il giovane, tuttavia i due ragazzi eran cresciuti, si pu? dire, insieme all'ombra delle stesse piante; e si trattavano col tu, sebbene la diversit? della loro condizione sociale e gli anni passati da Ezio all'universit? li avesse separati pi? di quel che fosse nei loro gusti e nei loro intendimenti.

Il Conte Stanislao Polony, padre di Flora, di antica famiglia di Varsavia, era venuto giovanissimo in Italia col celebre poeta Adamo Mickiewicz a offrire il suo braccio alla nostra causa nazionale e dopo aver combattuto nelle cinque giornate di Milano, era stato con altri polacchi incorporato nell'esercito sardo. Aveva col grado di capitano combattuto in Crimea e nel cinquantanove era stato nominato colonnello sul campo. Dopo la pace di Villafranca spos? Matilde Stellini, figlia d'un modesto impiegato della Tesoreria provinciale, la quale lo consol? presto col dono di una bella bambina dai capelli d'oro, i capelli della nonna Celina. Scoppiata la guerra del sessantasei, il conte Polony fu tra le prime file e cadde colpito al cuore alle prime cariche alla testa del suo battaglione, lasciando la moglie e la bambina in qualche strettezza.

I beni dell'antica famiglia erano stati confiscati fin dal d? che i Polony s'eran mescolati ai moti politici del loro paese. Anche la nonna Celina, che ora guardava dal di sopra del pianoforte con uno sguardo tenero, dentro la sua vecchia cornice tarlata, anche questa figurina minuscola dai labbri rosei e dai cappelli di fuoco aveva rappresentata una parte tragica negli avvenimenti e nei rivolgimenti della patria. Donna di singolare energia, accesa di santa fiamma per la causa nazionale, inscritta ad una societ? segreta, la sua manina delicata aveva saputo assestare una pugnalata mortale al Commissario della polizia russa nell'uscire una notte in mezzo a una frotta di maschere dal teatro dell'opera: e cos? aveva creduto di vendicare il marito, il conte Vladimiro Polony, che i Russi avevan fatto morire sotto le verghe. Storie d'altri tempi e d'altri cuori, che sembrano leggende d'un altro mondo al nostro stanco quietismo; ma Flora che aveva letto questi casi in un opuscolo stampato a Parigi, dove la contessa Celina era morta in una dignitosa miseria, non poteva guardare in faccia alla scolorita immagine della nonna senza provare nel sangue un piccolo fremito d'orgoglio. Della antica grandezza di casa Polony non ora rimasta che quella cornice d'oro sbiadito, e una cassettina misteriosa che conteneva un pugnaletto sottilissimo e un piccolo guanto di donna tinto di sangue. Ma al fasto delle memorie poco, troppo poco, corrispondeva la tenue pensione che il governo aveva assegnata alla vedova del colonello Polony, e se la zia Vincenzina non fosse venuta spesse volte in soccorso della sorella pi? povera, troppi giorni tristi avrebbero amareggiata la vita delle due derelitte. La zia, entrata in una casa ricca, provveduta d'ogni bene, non lasci? mai di giovar loro fin dove il soccorso non paresse confinare coll'elemosina. Per loro aveva presa a pigione questa piccola e sconclusionata casa detta del Castelletto, in cui le Polony per economia passavano anche l'inverno. Nei mesi buoni amava avere con s? la nipotina a Villa Serena, che la rallegrava colla sua vivacit?: o andava essa stessa a passare qualche ora ogni giorno al Castelletto quando la sorella, gi? molto scossa dalle frequenti artriti, non si arrischiava di affrontare i soffi dell'aria.

A questa loro sorte le Polony s'erano ormai abituate. Gl'inverni cos? tiepidi sul lago facevano meno sentire alla madre il tormento dei vecchi dolori che l'obbligavano quasi a un perpetuo ritiro: e in quanto a Flora, per natura gi? alquanto selvaggia, sapeva trar profitto della sua solitudine, anche quando il sole si specchia nelle nevi, anche nelle pi? torbide giornate, quando il vento porta le nubi sul lago e batte la pioggia dura contro le finestre. La lettura e lo studio delle lingue, per le quali aveva una disposizione tutta slava, la pittura, il <> le faccende di casa, le sue buone vicine povere, l'assistenza a un asilo infantile di cui s'era lasciata nominare patronessa, rubavano le ore delle brevi giornate; finch? al tornare dell'aprile il lago cominciava a ripopolarsi. Allora colle rondini tornavano le amiche straniere che son solite passare la primavera in Tremezzina: pi? tardi si riempivano le ville delle conoscenze pi? intime. Ricchi e poveri tutti conoscevano la signorina del Castelletto, la contessina, la polacca dai capelli rossi, che per quanto uscisse colle singolarit? del suo modo di vivere dalle compassate convenienze, pure era l'anima delle brigate. Non si faceva una scampagnata, non si metteva insieme un ballo o una lotteria di beneficenza senza prendere gli ordini al Castelletto, che veniva considerato come il quartier generale delle buone imprese. In quanto al popolo dei barcaiuoli o dei pescatori considerava ormai la signorina come una figliuola del paese.--Peccato--dicevano qualche volta tra loro i poveretti--peccato che n'abbia pochi....

Per far venir quelle benedette nove che non sonavano mai, Flora sedette davanti al <> e cominci? a correre colle dita sopra un'indiavolata variazione, che faceva stridere e saltare tutte le corde pi? svogliate e pi? addormentate nel cassone; e mentre le note s'inseguivano urtandosi e incalzandosi, il pensiero si lasciava trascinare a vecchie fantasie, a ricordi lontani, ai tempi della pi? remota fanciullezza, quando era venuta a stabilirsi dopo la morte di suo padre in quest'angolo del lago, in questa casa aperta a tutti i venti; e vedeva Don Camillo Bagliani, un uomo grave che parlava con tristezza; vedeva Ezio, un ragazzo poco pi? alto di lei, vestito alla marinara, che l'invitava a giocare nel boschetto della villa o la conduceva in barchetta: vedeva la bella zia Vincenzina, ancor giovine in tutto lo splendore de' suoi vent'anni, vestita come una regina, colle sue magnifiche buccole di diamanti. Con uno sguardo riassuntivo vedeva passare molti anni e molta gente. Gli uni morire, gli altri farsi pi? grandi, la mamma rinchiudersi sempre pi? ne' suoi piccoli mali, e delle amiche, che venivano a villeggiare sul lago, quale andar sposa ed essere felice, quale andar monaca ed esserlo di pi?, quale alzarsi, quale scomparire. Quel che era molti anni fa un piccolo giardino s'era fatto quasi una selva: le rive una volta pi? deserte s'erano popolate di casette: molti che essa aveva carezzato ragazzi sulla riva c'eran gi? partiti e ritornati da soldato. Essa sola era stata sempre la stessa; e presso ora a voltare la punta pericolosa dei ventidue anni, si domandava se proprio era scritto che per lei il tempo dovesse sempre passare cos?.

La mamma avrebbe desiderato ch'ella sposasse il buon Cresti, il misantropo del Pioppino, un misantropo non privo d'una sua singolare amabilit?, il fedele compagno delle loro lunghe serate d'inverno, il buono e ruvido Cresti, non pi? giovane, non di bellezza un sole, ma che avrebbe diviso tanto volentieri la vita con lei e colla mamma.

Cresti voleva dire la tranquillit? e l'agiatezza serena per tutta la vita, e ci? non era poco: perch? quando Flora correva fino a immaginare quel che sarebbe di lor due povere donne tra un dieci o dodici anni, non sapeva togliersi a un senso di sgomento. La miseria e la vecchiezza son le due parche pi? giovani; la morte ? la terza. Cresti era un cuore poco espansivo ma solido, ostinato ne' suoi affetti, di gusti selvatici, che non potevano dispiacere a Flora, anch'essa un'erba selvatica dall'aroma forte; ma con tutto questo non era ancor giunto il momento di dirgli di s?.

Posto che Ezio non poteva amar lei gi? vecchia e stracciona, posto che essa non poteva sposar lui per la grande differenza di condizione sociale: posto che il bel signorino amava divertirsi a modo suo e non aveva alcuna intenzione di legarsi le mani e i piedi: posto ancora che le belle--per quel che se ne diceva--eran gi? tutte sue e che per far breccia nel suo cuor di ragazzo gaudente ed egoista Venere e Minerva insieme non sarebbero bastate: posto finalmente che una contessina Polony dagli stivaletti scompagnati aveva pure il suo bell'orgoglio di razza--non era il caso di supporre ch'ella resistesse al desiderio della mamma e alla muta adorazione del buon Cresti per qualche segreta speranza o per un'illusione in aria che si fosse messa davanti. Ezio Bagliani--lo sapeva benissimo--non era un ragazzo da vendere la sua libert? a ventiquattro anni a una signorina di ventidue. Diceva anzi nudo e crudo a tutti quelli che volevano sentire che prima dei quarant'anni ? follia per un uomo ricco il prender moglie. Troppo bella gli si apriva la vita per tutti i quattro punti cardinali, perch? volesse farsi eremita. Eran queste le massime sue e di tutti quelli che amano, come si dice, godersi la vita. Con chi e che cosa andasse a fare a Nizza nella stagione dei famosi carnevali era il segreto di pulcinella: il nome di Liana e d'altre bellezze non era sconosciuto al Castelletto. Il buon Cresti, che dalla sua solitudine seguiva la cronaca elegante, non si faceva scrupolo di parlarne forte anche in presenza di Flora, di descrivere le belle ossia le brutte avventure del signorino di Villa Serena, che dopo la morte del babbo s'era dato a battere allegramente la cavallina: e metteva quasi un certo gusto, forse un interesse suo, a caricare le tinte e a suscitare nell'animo impressionabile dell'onesta signorina orribili ripugnanze morali.

Con tutto ci? Flora non sentiva ancora per il suo quasi cugino quel senso di ribrezzo che il vizio dovrebbe suscitare in ogni animo ben nato. Per lo meno fin che poteva sperare di poter esercitare qualche benefica influenza, non voleva da parte sua perdere il vantaggio di una posizione indipendente. Essa si era quasi convinta che il cielo l'aveva prescelta a esercitare sopra il giovane dissipato una benefica influenza, quasi la parte di buon genio e non voleva, fin che questa convinzione durava, mettersi in condizione di non poter giovargli quel giorno ch'egli fosse venuto a chiedergli un soccorso.

La mamma Matilde alla sua volta aveva fatta una lunga predica per dimostrarle che la troppa confidenza fa perdere la riverenza. Ezio non era suo fratello e nemmeno suo cugino giusto, come credeva la gente. Tutto il bene che poteva venir loro da Villa Serena non si aveva ad accettare che come una grazia di cui era dovere corrispondere con riverente riconoscenza e punto l?. Qualche volta scapp? detto alla buona mamma che dei signori in genere ? bene non fidarsi, perch? i signori meno degli altri capiscono il male che fanno e il bene che non sanno fare. L'egoismo a differenza delle altre passioni, si rinforza nella bambagia e nulla c'? di pi? crudele come una signorile pigrizia che non vuole scomodarsi.

Questi avvertimenti ripetuti e ribaditi, la sopravvenuta malattia di don Camillo, che dur? molti mesi, la catastrofe della sua morte, l'assenza prolungata della zia e di Ezio tennero per quasi due anni separate le due famiglie e intanto il giovine ebbe tempo di dimenticare e di stringere altre amicizie che l'avviarono in un altro ordine di gusti e di preferenze.

Ora Ezio s'era dato tutto agli stud? seri, voleva prendere la sua laurea, non perch? avesse bisogno di attaccare un manico al suo nome, ma perch? non si dicesse da nessuno ch'egli non aveva saputo fare quel che cento imbecilli sanno fare. L'orgoglio non ? sempre al servizio del diavolo: e una volta inforcato questo cavallo, Ezio era uomo da camminare un pezzo sulla strada del bene. Era il momento di aiutarlo in tutti i modi, compreso quello di copiar per roba sua una scienza comperata per settanta lire....

Passavano questi pensieri, quando il campanello del portone di strada son? in un modo pi? forte del solito, come soleva farlo sonar lui. Ezio era qui: l'orologio segnava le nove precise. Flora alz? uno sguardo alla nonna Celina e si scagli? sulla tastiera per darsi della forza e un contegno di artista ispirata. Sent? il suo passo che attraversava il cortiletto, lo sent? entrare, lo sent? fermo dietro le spalle: e piomb? sul triplice finale: boum, boum, boum.

--Forse ? la prima volta che ne dici una giusta--rispose Flora colla solita spigliatezza, in cui soleva rinforzarsi come in una corazza.--Che sia effetto di quel cappellino nuovo di paglia?

--Che ha ella a dire del mio cappellino di paglia?--disse, mettendosi ritto davanti a un gran vetro allumacato, che faceva da specchio al ritratto della nonna Celina.

--? bello... ? stupendo... ? degno del padrone.

Egli era in giacchettina chiara con una larga fascia color pomodoro, che spiccava assai bene sopra i suoi calzoni color del burro, cascanti e flosci, da cui usciva un paio di scarpe zafferano,--Che cosa mi manca per essere un bel giovine? Celi? mentre si carezzava colla punta delle dita gli scarsi baffi neri e un cespuglietto di barba crespa incipiente, che dava vigore e forza alla sua faccia abbronzata di vice ammiraglio.

--Mamma, c'? Ezio--disse Flora, andando incontro alla signora Matilde, che entr? ravvolta ne' suoi soliti scialli di lana, come se fossimo in novembre, con in testa la sua cuffietta a nastrini celesti, in cui il suo viso pareva ancor pi? delicato e pallido: ma la finezza dei lineamenti manteneva in quella donna malaticcia un'apparenza di giovinezza, che i quarantacinque anni avean passato da un pezzo.

--Gi? in piedi la mia cara zia? quando si va ancora alla Cappelletta in canotto?

--Con te mai pi?--protest? la zietta, che si ricordava un brutto quarto d'ora.--Non avete nessun rispetto dell'acqua.

--Sono i vostri peccati che fanno il lago cattivo.

--I nostri? chi c'era al Ravellino stanotte? ? cos? che lor signori si preparano agli esami di laurea?

--Tu predichi cos? bene in quella cuffietta che ? peccato non far dei peccati.

--E del tuo conte Lol? che n'hai fatto? chiese Flora,--Dove l'hai fatto fare questo elegante attaccapanni?

--Don Andreino ? il pi? impeccabile degli elegantissimi di Milano. ? lui che da il tono alla moda.

--? per questo che porta quel corvattone verde e crespo come l'ind?via?

--E non quello degli asini che perdono?...--rimbecc? la lingua maledica di Flora.

--Non per nulla tu hai sul capo quei capelli rossi e rabbiosi come bisce.

--Se avete qualche cosa a fare non perdetevi in ciarle--osserv? la signora Matilde, prendendo posto nel suo seggiolone di velluto nel vano della finestra, mentre i giovani si mettevano a sedere alla tavola di mezzo.

--Brava, tu hai lavorato come un angelo, biondina, e bisogner? che ti faccia un bel regalo...--Bello, mirabile, incantevole...--andava ripetendo Ezio, mentre faceva passare le pagine del manoscritto.--Questi svolazzi faranno colpo sugli esaminatori.

--Bisogna che rileggiamo insieme qualche pagina che non ho ben capita. Quel tuo gobbetto, a ogni fiato, t'incastra una citazione latina che ? uno spasimo.

--Il latino d? il sapore alla scienza come i lardelli allo stufato.

Si cominci? col ridere a questo paragone dei lardelli.

La mamma cerc? di far la voce grossa, ma i ragazzi risero ancor pi? forte. Il sole entrava lieto per le due finestre e andava a battere sul volto di nonna Celina, che pareva rider anche lei nella vecchia cornice.

--Prima permettimi una pregiudiziale, come dite voi legali--soggiunse Flora.--Non c'? pericolo che l'autore di questa dissertazione abbia gi? presentata per roba sua la tesi o l'abbia gi? venduta ad altri? tu faresti una brutta figura.

--Punto primo la roba vien da Napoli e da Napoli a Genova c'? di mezzo il mare: punto secondo ho mutato il titolo e il principio dei capitoli: punto terzo i professori non sono cos? bestie da legger quel che noi presentiamo.

--Allora perch? fate le dissertazioni?

--? un uso cos?.

--Come le cravatte di Lol?.

--Oh no, pi? stupido.

--Sarete almeno chiamati a esporre le idee fondamentali del vostro lavoro.

--Questo s?. Sarebbe un'eccessiva imprudenza andare agli esami senza aver letto almeno una volta quel che si ? scritto. Vuoi una sigaretta, Flora?

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