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Read Ebook: La pianta dei sospiri con alcuni cenni su la vita e su le opere dell'autore by Sacchi Defendente Cremonesi Giovanni Battista Commentator

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Ebook has 496 lines and 55860 words, and 10 pages

Molti che egli amava hanno sdegnato di riconoscerlo nel suo infortunio. Sofferse il male che non meritava; e allorquando la fortuna si ? mostrata stanca di perseguitarlo, la morte si ? presentata al suo cospetto.--Se alcuno cerca la cagione di un s? crudele destino, ei durer? fatica in trovarlo. Volete voi chieder la ragione perch? questo perde al giuoco e quel vince? O perch? si danno quegli anni in cui non v'ha n? primavera n? autunno, in cui i frutti si inaridiscono nel loro fiorire? Con tutto ci? non vi cada in pensiero che Sacchi avesse voluto mai cagionare la sua infelicit? colla prosperit? degli uomini deboli. La fortuna pu? farsi ludibrio della sapienza degli uomini virtuosi, ma il potere essa non ha d'atterrarne il coraggio.

Alcuni letterati di moda, che osano insultar persino la sacra immagine d'Omero, il quale come smisurato colosso innalzasi nella pi? lontana prospettiva dell'antichit?, dissero D. Sacchi uno scrittore spigolatore; ma egli non aveva bisogno di spigolare, siccome fanno molti, in campi mietuti, n? di vivere delle altrui reliquie: egli possedeva e coltivava un proprio ricco fondo d'ingegno, da cui traeva pregevol frutto. E questi letterati di moda le cui critiche contro Sacchi a tutt'altro approdavano che alla cognizione del vero, e per lo pi? il solo infame gergo de' vituperi se ne giovava ed aumentava, furono o i non lodati, o i meno lodati da lui sui pubblici giornali.--La pubblica lode anima, ? vero, vivifica, moltiplica i talenti: ma non serve di scuola che li formi, perch? i suoi giudizj, i suoi consigli non son sicuri. Col pronto applauso a certe opere le quali fanno soltanto traspirare e riconoscere il talento ancora immaturo, essa dissimula i difetti, sbaglia il giudizio, sempre pi? illude l'amor proprio e ferma o rallenta i progressi. Quasi tutti i segni d'ammirazione hanno ormai perduto il loro valore, pel grande abuso che ne ha fatto l'adulazione, ed ? moneta fuori di corso: fa duopo il fabbricarne una nuova, a cui diano materia di valor vero e costante il sentimento, la verit?, il giudizio. I letterati, disgustati una volta dei crassi vapori d'un incenso disonorato, tengono egualmente in poco conto, e chi prodiga lodi e chi non serve con coscienza alle lettere.--Per la eccessiva lode, il campo della letteratura ? a d? nostri, per la giovent?, come la scena teatrale: troppo presto ella vi si mostra al pubblico; e in quella ? pericoloso il volersi fare una precoce riputazione, imperciocch? egli ? talor pi? difficile il sostenerla quando ? immatura, che il giungere a meritar d'ottenerla. Le lodi sieno giuste e non simili a quelle che suole articolare a disagio la fredda lingua de' complimenti! Sia in noi franchezza di opinioni senza temerit?, saviezza di principj senza n? pedanteria n? smanie di novit?, aggiustatezza di giudizj dettati da coscienza, da persuasione, e senza le solite contumelie e personali inimicizie che troppo spesso lordano i giornali!--Pare proprio che in alcuni nostri letterati prevalga il pregiudizio che un articolo da giornale od altro, debba assomigliare ad un vase scoperchiato d'incenso, da cui si tramandino adulatorj profumi a tutte le nari. Non v'ha in que' lavori menzione di creatura viva che tosto non rechi seco un panegirico. Bella, noi ripeteremo sempre, santa ? la lode spontanea, detta a proposito, largita a chi la merita, ma una maniera oratoria d'inchini e congratulazioni l'? un fastidio, un solleticamento d'orecchi e nulla pi?. Questo diciamo e a malincuore perch? la lettura di non pochi scritti di circostanze che si pubblicano in alcune citt? lombarde ne ha pur troppo convinti di questo abuso nella letteratura. Povero quel paese in cui letterati ed artisti non attendono ad altro che a darsi mutuamente patenti di immortalit?! Eglino ignorano che c'? un pubblico spassionato che gli ode, un pubblico che non usa della penna che pe' privati o pubblici negozj, n? sa trattar tavolozza o scarpello, ma che vuole dagli uni e dagli altri verit? ed istruzione, come cibo salutare dell'animo. Spendano i letterati le frasi gratulatorie ne' loro giornalistici convegni, n? rendano l'universale a parte de' loro non sempre sinceri baciamani! Gli artisti e i letterati sono gli interpreti della sapienza; e la sapienza non fu mai l'arte di sciupare inchini o di formare ingiusti giudizj che agitano continuamente gli scrittori, giudizj che ferirono anche Sacchi, cui la voce del Vero, pi? forte d'ogn'ira, apparecchiava maggiore della espettazione il trionfo.

Ma a che ripetere questi versi pieni di verit? in tempo in cui sono in grand'uso e onore la frivolezza, la molle pigrizia; in cui ognuno cerca di avere e mostrare ingegno e brio senza pensare a belle, ad utili imprese, trascurando e abbandonando le opere che richiedono serj e profondi studi; in cui si preferiscono gli Almanacchi, le Strenne, le Cronachette e i Versetti che divertono e fanno ridere gli oziosi, in cui pochissimi sono compresi da quel forte sentire che ? la vera dote di un animo generoso; in cui si accompra coll'esser vile la facolt? di diventare insolente; in cui non si abborrono la cieca adorazione e la cieca irriverenza; in cui si ride perfino de' caldi promotori di instituzioni patrie che tanto ingentiliscono il costume: in cui trionfa l'inganno.... Ma il mondo, altro non ? che una piazza pubblica, ove tutti i ciarlatani d'ogni genere e d'ogni professione si esercitano dal mattino alla sera a spese un dell'altro, e figurano or come ingannatori, or come ingannati, or come dotti, or come ignoranti.

Dotato di uno spirito conciliatore, di un carattere nobile e generoso, fermo sotto ogni aspetto, indulgente come lo sono tutti quegli uomini che non han bisogno di far forza a s? stessi per conservarsi puri in mezzo ad un mondo corrotto, mostrossi egli a suoi compagni di lettere, senza nulla ostentare, e sempre sotto un ingenuo sembiante. E questi suoi compagni di lettere erano veramente generali veterani e non appartenenti all'esercito di molti letterati attuali, esercito composto in gran parte di bande erranti, senza vessilli, senza disciplina, senza valore.

Che diremo ora del suo cuore? Come lodare abbastanza quell'attitudine a un tenero e vivo affetto, che cos? caro lo rendeva agli amici? Nei suoi discorsi come ne' suoi scritti, nessun indizio si scorse di pretensione o d'orgoglio; ci? avvenne perch? la bellezza della sua anima pareggiava la rettitudine della sua ragione e la coltura del suo ingegno.--Se reggeva al minuto squittinio ch'egli solea fare delle cose scientifiche e letterarie, usciva pago e tranquillo dalla indagine; diversamente, pace non davasi, e l'errore animosamente impugnando, conduceva a disinganno la pigra e facile credulit?, rovesciando a terra, anche senza riguardo, ogni venerata antichit? d'opinioni. Egli esponevasi a questi cimenti, che l'ardenza de' spiriti suoi gli pingeva sempre pieni di gloria per colui, che non isfornito di forze s'innamora della stessa difficolt?, e animoso l'affronta.

Coloro che dicevan male di lui soleva riguardarli siccome malati, renduti ingiusti dalla sciagura, e loro perdonava sinceramente; in tal modo raddoppiava il suo amore per quella sublime filosofia, le cui consolazioni, i cui benefizj ci accompagnano sino alla soglia del sepolcro.

Tre anni e pi? fu egli travagliato da forti dolori, ma con tanto vigor d'animo il fiero male toller? che mai non ne fu superata la virt?. Finalmente venuto quasi meno d'ogni forza, come vide niuna speranza per s? pi? rimanere, si fece sollecito di affrettarsi i soccorsi della religione consolatrice, esclamando che ito sarebbe lieto e pieno di speranza a ribaciare e padre e madre, e moglie e figlia: ed acconciatosi con decenza sovra la sua seggiola a bracciuoli, sereno in volto come l'innocenza, i suoi occhi s'illanguidirono a poco a poco, simili ai raggi del sole che vanno a perdersi nell'onde quando il mare ? tranquillo, finch? dopo una brevissima agonia, mancare sentendosi, stendendo la mano,

Dir parve: s'apre il cielo, io vado in pace.

A suoi voti alfin deh rida Una sorte pi? serena, L'infelice assai la pena D'esser bella oh Dio pag?!

Bastino questi pochi Cenni a raccomandare la ricordanza di lui. Gloriose per chi le fa, efficaci sovra chi le ascolta riescir debbono le evocazioni dalla tomba e dall'obblio; perch? l'animo de' giovani, ha detto un valente scrittore, ? la terra pi? ospitale alla memoria delle persone illustri.

A MALVINA

Vedesti, o Bella, il mar su cui combatte Il vento e la tempesta, che la nave Scorge in porto festante? Se improvvisa Su lui s'asside la fatal bonaccia, Ne dispera il nocchiero, e gela e trema, Che invan raggiunge coll'ansio des?o Le patrie sponde, i pargoletti figli, E della sposa l'iterato amplesso. Tale ? il mio core: in lui convien sia desta Degli affetti la pugna ognor: se tace, La vita ? muta in lui, e l'armonia Immortale del bello e la favella Ch'entro si sente, e sembrano parlarne Il ciel, la terra e l'onde e l'erbe e i fiori.

S'ei tal sortiva, e se innocente affetto ? solo amor fra l'ire torve e crude E i pensier tristi del bel mondo, amore Accolgo or sol. Soave ei pi? mi versa Per entro il seno il n?ttare di vita; Di voti cari ed innocenti in mente Ei mi ragiona: a nuovi voli addestra L'accesa fantasia, e finch? il gelo Dell'et? nol costringe, dalle gravi Di Sofia cure, cui solo son care Le insonni notti e la squallida face Che del pensiero invan svelar procaccia L'oscuro inestricabil labirinto, Amor m'invola, e fra le vie rapisce Del dolce immaginar, e in queste carte, Cui fia talun segni di fola, sparge La mestizia onde il core ognor si veste.

Tu, vezzosa MALVINA, a cui le Grazie Vaghe composer la gentil persona, Nido d'alma pi? bella, un d? beasti De' tuoi sguardi le piagge erme e romite Ov'io gi? corsi colla mente, e pinsi A' meno austeri, lagrimose scene, Costumi antiqui e ferit? degli avi E novelle sventure. Ecco alle labbra Schive di succhi estranei, che di miele Asperso il vaso, agl'Itali palati Ministra amaro tosco il secol novo E ogni senso di bello estingue, ardiva Io l'onda pura appresentar del fonte Nel cratere di creta. Gi? me avea Mosso a libarlo amor de' prischi tempi Alla tomba prosteso, ove sdegnoso, Pel culto ora negletto, il cener giace Di quegli ausonj cigni il cui divino Canto pur vinse i secoli canuti, E dolce ognor nell'anima risuona. Cui pi? la volutt? soave alletta Della tristizia, amai di fresche valli E leggiadre selvette e ameni colli, Mal noti, pinger la quiete e il bello Onde son dilettosi, se nol cinse Il rozzo parlar mio di fosca nube.

Se fra que' monti ancor Bella ti giovi Il pi? inoltrar curioso, allor che l'ali Volger vorrai de' lumi ove s'innalza La Pianta ond'io parlava, sulle rose Del tuo labbro avverr? forse baleni Un sorriso, pi? grato assai dell'alba Nella stagion novella: a quel sorriso Vedrai d'intorno rallegrarsi il poggio E rifiorir la valle, ed inviarti Collo stormir de' rami il conscio bosco Sull'aure un noto nome e i miei sospiri.

N? tu vorrai tacciar di dura nota Questi studi e d'inutili: talora Giova lo spirto da severe idee Richiamar fra pi? liete, onde rinnovi Lena ed ardir: cos? fra balze e sassi Al lasso v?ator spesso rinverde Le forze un prato ameno. Talor giova Di soavi blandizie adescar l'alma, Ed educar di cari affetti il core.

Amor che spesso ? di venir s? vago Dolce a parlar nel volgere soave De' tuoi bei rai, ed ivi insegna altrui Con quai saette fera e quai tu annidi Virt?, per che seder teco si piace Meglio che in grembo a Venere celeste; Amor ti porga questi fogli, e s'unqua Piet? ti mova de' dolenti amanti, E qual rugiada del mattin ti brilli La lagrima sul ciglio, ei la raccolga Sollecito e a versarla ah! tosto voli Pietoso sul mio cor. Tempri ella alquanto Il bollor che l'incende e nel mio petto Un fiume sparga di tutta dolcezza, E spunti nuova luce a' miei pensieri.

LA PIANTA DEI SOSPIRI

LIBRO PRIMO

L'INNOCENZA DEL COLLE.

Ameni colli ove semin? tanto bello Natura, vallette solitarie in cui spesso venni a confortare lo spirito lasso e a bere pi? dolce l'aura di vita, voi non sarete mai posti in obbl?o dal mio cuore. Le tue ingenue virt? non fieno dimenticate, o abitator del dirupo, da chi fuggendo il lezzo della social corruzione ritrasse sovente ricreamento, imitando la semplicit? de' tuoi modi. A te di campestri fiori intreccier? una corona, pianticella solitaria, ove sparse i suoi sospiri la vergine della collina, commetteva all'aura le proprie sventure, e muoveva a piet? quegli cui ferivano i suoi lamenti.

Lungi lo sguardo severo del freddo Sofo dalle care innocenze della natura, lungi gli agghiacciati petti chiusi alla dolce volutt? delle passioni: non ignoti agli affetti del cuore, noi spargiamo sospiri per le anime sensitive, e cediamo per un palpito soave i contrastati allori della volubile fama.

Povera Marcellina, invano una rozza culla volea tenerti lontana dalle passioni del bel mondo; invano il nat?o tuo colle ti crebbe alla solitudine ed alla pace. Amore s'apprende ai petti pi? rozzi, e penetra i pi? silenziosi recessi; Amore stringe il cuore de' porporati monarchi e dell'ultima villanella: ? il vento che scuote la cima del superbo pino e la viola della valle, ? bufera che spande la discordia nelle popolose citt?, e la desolazione nelle innocenti capanne.

Natura, che avara sempre ricopre di geloso velo i suoi tesori, dest? la face di vita in Marcellina sulla cima di un poggio solitario. Nebiolo ? una collinetta che umile s'innalza fra Casteggio e Voghera, alle cui radici da un lato scorre il torrente Carvenzolo e volge dall'altro pi? ricca d'acque la Schizzola. Nebiolo ? collina che quasi orfana si leva siccome piramide in mezzo alle sue uguali: era antica sede di uno di quei castelli che semin? il feudalismo sulle Alpi e sui liguri monti: questo, come vollero il destino di chi il tenea e le fazioni, fu preso e distrutto, sicch? di tanto orgoglio appena or se ne scoprono l'orme.

Su queste rovine sorgono otto o dieci anzi capanne che case, e le abitano altrettante semplici famigliuole. Le tenebre delle fuggite et? involgono la loro origine, si chiamano tutte dal nome del loco, e vivono in grembo all'innocenza di natura. Scorrendo quei dirupi, e a gran diletto avventurandoli in Nebiolo, ti avviseresti seguace di Vailland visitare nei deserti dell'Africa una di quelle povere orde di Ottentotti, che ricoverandosi in pochi tugurj di canne non invidiano al fasto de' molli Europei.

Que' di Nebiolo non hanno neppure il forno ove cuocere il pane, non comodi della vita, non ambiziosi pensieri d'aggrandimento. Lavorano a lor mani le poche terre enfiteutiche ch'ebbero in retaggio dai loro padri; raccolgono quanto solo ? richiesto ai loro bisogni, spesso si maritano fra loro, e vivono in mezzo alla societ? nel semplice stato di natura.

Marcellina era figlia di Giovanni, che fra i maggiori di Nebiolo teneasi pel pi? venerabile padre. Innocente come l'agnella che pasceva sul suo pend?o, negletta come la pianta del bosco, cresceva la bella come il fiore di primavera: era pronta e vivace, d'un animo puro e dilicato, vestita di quella soave verecondia, onde natura volle far presente al suo sesso per renderlo pi? vago e desiato.

La madre di Marcellina essendo lieta di questa unica figlia, la crebbe come si coltiva la bionda spica del campo, era il primo pensiero della sua vita. Sebbene il lavor?o della poca sua terra dovesse solo condursi per le sue e per le braccia del marito, e l'opera della Marcellina potesse riuscir loro a molto sollievo, essa non volle serbarla che alle cure pi? lievi, e am? meglio sola indurare nelle fatiche.

Mentre i genitori intendevano a rompere le zolle de' campi, a raccorre la matura messe, o andavano per le legne al bosco, Marcellina nella povera capanna, lunge dall'importuna sferza del sole e dalla malvagit? della stagione, preparava loro lo scarso desco che offerto dalla mano di lei, riusciva a quegli innocenti condito della pi? squisita dolcezza. Essa imbandiva pure nella tersa caldaja il cibo pi? semplice dell'uomo coll'aurea farina del monte; con questa pur facea una maniera di pane, che forse fu quello de' primi uomini, allorch? rozzi come que' di Nebiolo, non conoscevano l'arte di costringere il calore entro cave v?lte di creta, per cuocervi i loro cibi. Marcellina formava colla farina senza lievito un rotondo pane: fatto indi ben riscaldare un largo mattone ch'era base al focolare, ivi il collocava, ricoprivalo di ardenti brage e lasciavalo col? finch? fosse a debita cottura.

Tale ? il modo con cui la natura insegn? a que' di Nebiolo a supplire all'arte, e pone tanta squisitezza in questo cibo, che quegli uomini ingenui sporgendomelo, m'accertavano essere assai pi? saporito di quello che si ministra alle mense cittadine. Assaggiandolo lo innaffiai d'una lagrima, perch? sentiva la sublimit? di quegli accenti, mentre quella schietta vivanda non era loro amareggiata dall'assenzio che spargono le cure sociali fino sul pi? abbietto frusto di pane.

Non io gi? sogno la felicit? de' pastori, non le favole degli abitatori di Arcadia: dipingo i costumi de' rozzi coloni dei nostri colli. Non io gi? invito gli uomini ad abbandonare le citt?, onde menare nella solitudine una semplice vita, straniera alle colpe ed ai delitti, che sarebbe vana fola per la lor civilt?: io accenno come quei semplici montanari fra le fatiche e i disagi, gustano la felicit?, e certo nella innocenza della loro vita, se invidiano alle nostre dovizie, non sanno che, ottenendole, rinunzierebbero alla pace.

Marcellina aveva la cura del piccolo pollajo, tosava alla stagione le agnelle, e aveva pensiere de' loro piccioletti. Preparava col latte della giovenca il burro per la famigliuola, attendeva a racconciare i rozzi abiti de' genitori, in fine prendeva sollecitudine di tutte le cose domestiche; n? veniva ai campi che al tempo della vendemmia e nelle pi? stringenti necessit?. Quindi era pi? gentile e meno brunetta delle altre femmine della montagna, assai dilicata, ed anzi pallidetta che rubiconda: poteva valere a modello onde rappresentare la grazia della collina. Capelli castani inanellati, viso piacevole, e sebbene qualche menda vi si potesse trovare nel profilo, avea una di quelle fisonomie che dir si possono saporite. Pronta, snella, dolce d'indole, non melanconica, ma, anzich? gaja, di un carattere soave.

Marcellina era la delizia de' suoi genitori nella fanciullezza, loro conforto nell'et? pi? verde. Allorch? il padre nella state ritornava madido di sudore dai campi, essa se gli faceva festevole incontro, gli toglieva d'in collo gli stromenti agresti, e invitatolo ad adagiarsi sotto l'ombra di alcuni castani che prosperavano vicino alla casa, col suo grembialetto gli veniva lievemente tergendo la fronte, e con qualche fronda provocava l'aria, perch? muovesse quasi coll'ali fresche a scherzargli intorno, e temprargli la tiepid'?ra.

Siccome spesso Giovanni al ritorno desiderava di bere, ed essa temeva forte non gli inducesse nocumento il subito freddo dell'acqua, anche correndo pericolo d'esserne ammonita teneva vuoti i secchj, onde finch? ella scendesse al pedale del colle ad attingere l'umor del fonte, alquanto si rattemprasse il calore nelle arse di lui membra. Rinfrescatolo e presentatogli il cibo, gli preparava qualche fascio d'erba o di fieno, e fattonelo adagiare lo invitava al riposo. Con qualche fronzuto ramo gli allontanava i molesti insetti, e conciliavagli il sonno: quando erasi addormentato, gli copriva con quella fronda il volto, e stava sempre in attenzione perch? niuno venisse a dargli molestia o a rompergli il riposo.

N? men tenera la Marcellina era per la madre. Aveale questa dato il proprio latte, cresciutala con amore e confidenza: teneala pi? qual sorella che figlia. Gi? anche adulta la forosetta, faceale intorno mille amorevolezze e mille baci: la ripigliava sovente perch? troppo si affaccendasse, in vece di commettere a lei il peso de' lavori pi? gravi. Ogni d? le serbava l'uovo recente della gallina e la induceva a berlo; la pettinava; era sollecita di lavarle i panni pi? spesso del solito bucato; vegliava per filare il lino di lei; attendeva con ogni premura ai bachi, perch? Giovanni ne concedea l'utile alla moglie. Marcellina non era mai lieta se non vedeva la giovialit? sorridere sul volto della madre; non sosteneva mai che andasse ancor digiuna al lavoro, e nel verno pativa di starsi pi? a lungo nella piccola stalla, ove teneva l'asinello e la giovenca, per serbare le legne a destare un bel fuoco quando quella tornava dalle proprie cure.

Rosa d'altra parte non era meno amorosa verso la figlia. Ne' giorni d? mercato andando a Voghera a vendere qualche pollo o la lana, o alcuna misura di castane, avea sempre premura di portare a Marcellina qualche pan bianco, ch'ella per? divideva co' genitori; spesso un fazzoletto, talora qualche spillo d'argento da rannodare le trecce, od altri simili vezzi. Come la buona donna aveala fregiata del nuovo presente, la riguardava quasi innamorata, e sembrandole pi? bella, con trasporto la stringeva e la baciava caramente.

Fra queste innocenti cure era cresciuta la Marcellina, sicch? gi? le sorrideva il terzo lustro, e sua madre non aveala che una sola volta condotta a Voghera. Non mai avea corso i vicini paesi, non mai erasi trovata fra i tumulti delle feste de' propinqui colli. Usava ne' d? festivi andar coll'alba nascente a S. Antonino sua parrocchia insieme alla madre, assisteva con raccoglimento ai divini uffizj e ritornava al nat?o casale, senza mai immischiarsi in vani discorsi colle altre donnicciuole, o prendersi pensiero di sapere quanto altri oprasse.

In Nebiolo per? essa era n? selvaggia n? schiva; giacch? non constando il paesetto che di pochi vicini focolari, viveano quasi que' solitarj come in una sola famiglia, n? vi aveano che cinque madri, altrettanti mariti e dei figli.

Allorch? alcuno di questi ammalava, e mentre tutti intendevano al lavoro, la sola Marcellina restava nell'eremitaggio, ne pigliava essa pensiero, gli prestava ristoro col latte delle sue capre, e raccoglieva le erbe onde preparargliene col succo salutare beveraggio. Avea cura pei fanciulli degli assenti e delle loro case, e all'estate verso sera, raunata sur un vicino praticello la pia trib?, faceva recitar loro l'orazione de' morti: era in fine la delizia, il pensiero pi? tenero di tutti, e alle preghiere di lei ognuno confidava nelle proprie calamit?.

In vero la semplicit? ed il candore dell'animo sono l'olocausto pi? grato al nume della virt?; e Marcellina esser dovea il solo interprete di que' puri cuori presso la divinit?: essa era religiosa come una cenobita, ispirata come un serafino, n? altro mai domandava al cielo che la salute de' suoi parenti e la prosperit? de' vicini. Cos?, presso a sedici anni, fresca come la rugiada del mattino, pura come la neve del monte, altro affetto mai non aveva accolto il suo cuore, fuorch? l'amore di coloro che le diedero vita, e la carit? de' suoi simili.

Gi? al raggio d'estivo sole biondeggiava la messe nell'arso solco, e il tempo s'appressava in cui correa la festa della Madonna del Monte. ? un tempio consacrato alla Vergine, sulla cima di un colle alquanto erto, in cui gli scabri macigni fan testimonianza della vicina montagna. Essa s'innalza fra la catena delle colline che con diverso pend?o e vago succedersi or di valli verdeggianti, or di sterili dirupi, muovono lungo il letto della Copia verso la di lei sorgente.

A met? del colle mezzo ascoso fra il seno delle rocce, le circostanti alture e le piante, siede il paesetto in dolce pend?o. A lui sovrasta quasi piramide la cima del monte, sopra cui romita sorge la chiesetta colla cella del levita che ne ha la cura: conducono a questa varj tortuosi sentieri, che ora si innalzano sullo scoglio, ora si perdono nei silenziosi labirinti del bosco. Niuna vetta di opposto monte, niuna fronda d'importuna pianta adombra il solitario tempio; sicch? il sole nell'intero suo giro sempre lo indora co' suoi raggi, e concilia a vederlo da lungi religioso ossequio, perch? ti avvisi ch'ivi l'aura rifulga, indizio della presenza del nume. A questa chiesa traggono i terrazzani del sottoposto paese, per essere addottrinati nella religione de' loro padri, ed ivi coi puri lor cuori porgono voti innocenti al cielo.

Numeroso e vago ? il concorso degli abitatori delle altre colline al Monte il d? della festa: d'ogni et?, d'ogni sesso, eguali di semplicit? di costumi, pari negli abiti e nel cuore, se non che taluno nella diversa foggia di qualche ornamento accenna la nat?a sua terra. Tutti serbano questo giorno a sollievo delle diuturne fatiche; ognuno si procaccia far pompa de' pi? eletti fregi, e ti piace fra quella semplicit? un lusso che ? di vezzi anzich? di ornamenti: ognuno si studia meglio di riuscire gradito altrui o colle grazie o coll'innocente allegria, sicch? potresti dire che col? si uniscono i fiori pi? eletti della campagna.

Ivi fra semplici parlari e liete cure si rinfrescano le vecchie amicizie e se ne stringono delle nuove; ivi si veggono gli antichi congiunti, e vi convengono e gli amorosi genitori e le figlie che andarono lungi a marito, per ritornare ai paterni amplessi. Sovente s'incontrano taluni che, da gran tempo lontani, pareano dimenticati dal cuore, si ricordano i trascorsi tempi di felicit?; corrono grate all'animo le fauste novelle; e fra loro batte la gioja le scherzose penne, senza che mai invido umore ne annebbii il caro sorriso, cui sovente, fra l'avvicendarsi degli affetti e delle accoglienze oneste e belle, gode la volubile sorte d'intrecciare inaspettate avventure, e insidioso amore prepara nuovi nodi e future felicit?.

L'industria dell'uomo si procaccia di trarre partito anche dalla semplicit? di questa festa. In ogni parte sulle strade, che conducono all'erta, entro varj seni del monte, vedi annicchiati alcuni che vendono ornamenti, merletti e tele, altri che fanno mercato di fettucce a vario colore, di semplici fiori coi quali il contadino fregia il suo cappello. Alcuni ti sporgono dolci, non quali si richiederebbero al molle palato della dilicata dama, ma pur grati a quelle labbra che non ancor rifuggirono dai semplici cibi della natura. Fra questi ancor pi? grate riescono le inanellate file che tu, schietta contadinella, sporgi cibo squisito a' pi? schivi: tu col fior della farina e col burro della tua giovenca, componesti una molle pasta, e con questa formasti varie picciole anella cui il calore del fuoco rese rigonfie e rilucenti, e sovente, perch? riuscissero pi? gradite, sopra vi spargesti i favi delle tue api. Tu con grazia le offri al passeggiero che con molli parolette le compra, e spesso si ricorda di quelle che a lui gi? vendevi la scorsa estate; e mentre te ne d? lode, dolce ti corre un piacere all'animo che si annunzia sul tuo labbro con un caro sorriso.

Altrove in breve piano a s? rapisce gli orecchi, non abituati alle diverse armonie de' combinati stromenti, la melodia di un'umile sampogna o di una montana piva, al cui suono due fantocci mossi da una cordicella che si appicca alle ginocchia del suonatore, menano allegra danza su una breve assicella. Pi? vicino schiude un altro un ligneo tempietto ove son dipinte le sacre storie: ognuno si studia di scoprire se sieno quali le ud? dal sacerdote, ama ravvisare i fatti che pi? gli piacquero, e sebbene spesso non sappia leggervi entro, si provvede del breve libretto ove ? il noto racconto.

Qui un altro tiene un capace arnese che in varia foggia s'innalza, e in cui per diversi cristalli sporgenti all'intorno pu? spiare l'occhio della curiosit?. Vi si accosta il semplice montanaro, e all'abbassare di varie cordicelle, vede succedersi e scomparire innanzi a' propri sguardi citt?, palagi, giardini, mari e monti e le pi? strane meraviglie: gi? ? trasportato in lontane contrade, e mentre coll'occhio sta fiso al breve pertugio, si scuote per gioja, ch? gi? emulo degli eroi, di cui sent? nel presepe raccontare al verno la storia, gli par di scorrere l'universo, e sovente poi ragiona cogli amici de' lontani paesi come se gli avesse visitati. Altrove si stringono in breve giro uomini e donne, ed ecco scorrere all'intorno un destro cane che or va a pigliare nell'altrui tasca l'ascoso fazzoletto del padrone, a questi indovina gli anni, a quella le passioni, e con qualche altro pi? pungente giuoco tiene lieta la brigata.

A questo ingenuo ricreamento ti sostieni, o montano abitatore, non correre al palco vicino, n? starti coll'affollata turba che gi? il circonda, tese le orecchie, immobili gli sguardi e aperte le bocche quasi li tocchi gran meraviglia, a udire colui che dall'alto ti ? largo di parole. Ah! non credere di acquistare vantaggio ne' suoi accenti: semplice! non prestar fede ai portenti ond'ei si millanta maestro: ei viene dalle corrotte societ?, n? v'ha menzogna che rifugga dalle enfiate sue labbia sitibonde di guadagno. Non porre speranza negli antidoti che ti offre, n? affidare troppo ciecamente a' suoi ferri te stesso: ei si ride della tua inesperienza, ei si adopra pi? presto procacciare a s? lucro, che a procurarti salute.

In vece meglio ti alletti quest'altro che sopra un breve tavoliere ti viene attelando eletta schiera di graziosi giuochi. Ecco tre bossoletti, sono vuoti al tuo sguardo; sgombre sono le mani di chi li move fra le cui dita si agita magica bacchetta: ecco ? percossa sul tavoliere, e d'ogni parte come pi? ti talenta spicciano lignee pallottole, e quasi polvere che s'insinua, passano sotto il cavo metallo. Mentre meravigli al primo portento, uno novello il tragettatore ne crea: leva que' piccioli globetti che sempre si riproducono, e li pone in copia nel tuo cappello: or se il tenti e lo rivolgi il trovi solo pieno di vento, eppur tu stesso il tenevi gelosamente coperto! Ma le palline che sfuggirono alle tue cure gelose, gi? si moltiplicarono sotto il magico bossolo: ecco mentre le riguardi mutano colore, a un soffio s'ingrossano, e sempre crescendo divennero gonfie per modo che pi? non possono ritornare sotto il capace vase.

Meraviglia pure e sorridi: questa ? tutta destrezza della dotta mano. Anch'io sovente quando teco passai ore di schietta gioja, io t'apriva il velo di que' nuovi portenti, e apportandoti diletto, spesso mi compiacqui nelle improvvise commozioni della tua meraviglia. Ah furon pur quegli innocenti piaceri assai pi? dolci di quanti ne comparte pieni d'amarezze il bel mondo! Ah fia pur ch'io ritorni a rintracciarli, allorch? stanco di rintuzzare con indomito petto i dardi di bieca fortuna, con questi incolpabili strumenti, ultima mia speranza, e in vero pi? certa di quella che talor risplende fra il sorriso della volubile opinione, io rieder? a voi, ingenui mortali: niuno merc? la festivit? di que' giuochi negher? lo schietto pane del suo campo alla purit? del mio cuore.

I vicini premeano il padre di Marcellina perch? colla famigliuola volesse seguirli al Monte, che ? forse a tre corte miglia lungi da Nebiolo. Giovanni era rest?o, ma le importunit? della moglie, i vezzi della figlia cui gi? da gran tempo pungea curiosit? d'andarvi, senza molto il piegarono.

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