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Read Ebook: Il re dei re vol. 2 Convoglio diretto nell'XI secolo by Petruccelli Della Gattina Ferdinando

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Ebook has 635 lines and 42466 words, and 13 pages

BIBLIOTECA NUOVA

PUBBLICATA DA G. DAELLI

IL RE DEI RE

Stabil. tip. gi? Boniotti, diretto da F. Gareffi.

RE DEI RE

PER

F. PETRUCCELLI DELLA GATTINA

MILANO G. Daelli e C. Editori.

LIBRO TERZO

LA NOTTE DI NATALE.

Scosse Roma a' sacri allori, Tenne l'orbe setto i pi?, E di un branco di pastori Fece un popolo di re. CELESIA.

La societ? era costituita sul tipo feudale. La Chiesa si modellava su questo, ed il vescovo calcava le pedate del conte, il papa quelle dell'imperatore. La societ? laica e borghese, la citt?, il contado, cominciavano a scrutinare il dritto della Chiesa e dell'Impero, ed a negarlo. La libert? apriva gli occhi all'alba. Il libero esame del dritto e dei doveri s'installava nel dominio della ragione. Cinque secoli di dolori, di miserie, di vituperii, d'urto di parti, di reciproca negazione di jus, di vicendevole trionfo e vicendevole sconfitta, lo spettacolo di papi nefandissimi e d'imperatori prepotenti, aveano risvegliato la coscienza pubblica. Il dubbio entrava nell'imperio dell'anima. Non che la vertigine fosse nell'ordine materiale. Era il morale, al contrario, che insorgeva e reagiva. Materialmente, almeno in teoria, nelle costituzioni e nelle leggi, tutto era stato allogato al suo posto. Si eran stabilite le dipendenze, i dritti ed i doveri di ognuno eransi fissi; alla societ? si apriva cammino pi? spazioso per avanzare senza sregolatezze e senza trambusti. Imperciocch? le rivolture parziali di taluni Stati non interessavano la nazione tutta intera. La societ? sembrava assisa--sur uno sgabello di ferro rovente o sur un seggio di velluto poco importa--ma sembrava adagiata, costituita, normale, vitale. Un uomo sorse allora.

E' dette uno sguardo all'Italia, e la vide dipendere dall'ingordo dispotismo d'Alemagna, divisa, suddita a padrone a lei straniero d'indole, di lingua, di pensamento. E' dette uno sguardo allo Stato ecclesiastico, e lo vide imbrodolato nella laida e feroce ignoranza dei laici, addetto ad uffici contrari ai canoni ed alla santit? del sacerdozio--perch? gli ecclesiastici ambivano il possesso di feudi ed agli obblighi di questi doveansi assoggettare. E' dette uno sguardo alle cagioni che tante miserie producevano; e lungi dal trovarle nell'ambizione dei sacerdoti, i quali non solo non sapevano rifiutare, ma sollecitavano dignit? che solamente ai laici addicevansi, le trov? nelle investiture che questi ne davano--vale a dire nella forma non nella cosa in s? stessa. Infine e' guard? la catena delle subordinazioni sociali, e vide che la tiara dipendeva dalla corona, la Chiesa dall'Impero, l'Italia dalla Germania. Tale andamento nelle costituzioni del mondo a quest'uomo non talent?.

E quest'uomo era Ildebrando.

Egli trovava nella Societ? qualche cosa di abnorme. Vedeva che la forza dominava la ragione, la carne lo spirito. Sentiva un germe di corruzione minare le fondamenta di ogni legge morale e civile. Comprendeva bene questo veleno disorganizzante partire dal pontefice; ma non voleva persuadersi ci? dipendere dal falsar questi i principii del suo ministero; dall'attribuirsi dritti che cozzavano con la santit? della carica; commettere opere ed attentati sacrileghi; ambire a poteri illeciti e non consentiti da tutti gli ordini sociali. Non voleva persuadersene Ildebrando, per sostenere che la dipendenza dall'Impero trascinava il pontefice all'enormit? dei delitti; che le investiture dei feudi corrompevano gli ecclesiastici. Lungi dunque dal vietare a costoro di accettare pi? feudi, ch? non l'avrebbero obbedito, lungi dal ritornare il papa ai primitivi doveri di sacerdote, senza competenza nelle bisogne secolaresche, concep? il progetto ardimentoso di crollare l'intiero sistema sociale, le costituzioni dell'impero, le leggi dei feudi, e creare un nuovo mondo tutto subordinato ad un potere teocratico, sollevare l'altare sul trono, il pastorale sullo scettro, l'Italia a Lamagna sottrarre, il papa trasformare in monarca.

Ildebrando si accinse all'opera.

Ildebrando entr? nella societ? come il toro entra nel circo. Ogni cosa gli dava molestia, ogni cosa l'offendeva, perch? egli si aveva creato un mondo morale, come Platone si aveva creata una repubblica. Non che egli avesse torto, perch? veramente i costumi ed i sentimenti di quei tempi erano orribili, e chiunque aveva un principio di giustizia e di religione se ne spaventava. Per? i pi? tristi erano gli ecclesiastici. << Essi conducono vita da giudei >> scrive s. Pier Damiano << non arrossiscono dell'incontinenza, degli scandali, delle pi? sozze e laide brutture, non hanno orrore dei sacrilegi e delle rapine de' santuari, di delitti e scelleratezze che gridano vendetta al cielo, perch? da gran tempo sono avvezzi a vergognarsi delle virt? cristiane. Nei loro circoli si odono arguzie a migliaia, bisticci, motti profani, freddure del mondo, e tutti i vezzi del vivere cortigianesco della citt?, da parerne meglio vanarelli, zanzieri e buffoni che ministri di Cristo. I loro discorsi non si aggirano che sulle adultere pratiche di questo o di quel lussurioso, non si odono che rise sconce, facezie sporche e disoneste, o il rumore diabolico dei dadi. In una parola, ed i vescovi sovra tutti, non curano che acconciarsi il crine a modo di edifizio, coprirsi a pelli di peregrini animali, portar sotto il mento preziose pellicce di martora, che al percuoter dei raggi sfolgoreggiano, ornare a stracarico di squame di oro le bardature dei cavalli, cavalcare robusti destrieri, tirarsi dietro stuolo numeroso di soldati e trabanti; sicch? negli arnesi da svenevoli, nelle amorose smancerie, nel muover degli occhi, nel gesto e nelle parole e' rassembrano compiutamente a istrioni. >>

Tanta improba rilasciatezza doveva colpire Ildebrando nel fondo del cuore, perch? egli comprendeva come, per rendere potenti ed autorevoli gli ecclesiastici, bisognasse renderli prima rispettabili. Egli aveva trovata in s? la forza di reprimere le altere richieste dei sensi, di resistere all'andazzo dei tempi. Pretendeva che anche gli altri rinvenissero tanto coraggio, ed in questa austerit? di principii si consolidassero. Perch?, una volta rimondati da ogni lezzo profano, potevano bene stendere ardita la mano al potere, ed impossessarsi del governale del mondo. In una parola, egli vide che il secolo aveva tre bisogni: un centro a cui si potessero rannodare le nazioni, da cui sperare giustizia, pace e difesa; un principio di credenze non contaminato da sozzi ministri; una libert? cittadina, che non fosse n? precaria, n? all'arbitrio dei despoti e degli stranieri. Ed egli entr? nella societ?, dalla rigida vita dei chiostri, con tre propositi: riformare il sacerdozio; sottrarlo dalla subordinazione laicale; constituire il papa re d'Italia, re dei re, protettore dell'universo, onde tutte le nazioni, tutte le citt?, tutti gli oppressi in lui riguardassero un giudice supremo, al suo tribunale si appellassero. Egli intendeva fare del papa quegli che prima i re poteva giudicare, deporre ed annullare, poi castigare i popoli.

Fornito di un carattere vivo, ostinato, coraggioso, prudente nella condotta e nell'attendere, sagace nel concepire e nel penetrare, pronto nel dedurre le conseguenze delle opere e nel prevenirle, audace nel tentare, duro nel resistere, ardimentoso nel pretendere, altero e vigoroso nel contrastare, attivo nell'agire, scaltro nel simulare e fino ipocrita, Ildebrando comparve sulla scena del mondo. Da prima e' si trov? fuori la sfera, perch? altrimenti l'aveva concepito. Ma, essendo egli una di quelle organizzazioni compiute ed elette nelle quali la natura spiega tutto l'opulento lusso dei suoi poteri, una di quelle tempre che la natura fonde intere e tali da elevare la specie umana onde servir di gradino intermedio tra Dio e l'uomo; mano mano quel mondo conoscendo, adattandovisi, sperando nel lavoro del tempo, cominci? l'opera fatale, che unico l'avrebbe reso nella storia--se un altro uomo del destino, nell'ultimo secolo, non fosse comparso per disputargli la gloria e superarlo di gran lunga.

<< Popolo e clero di Roma, noi, per volere dell'imperatore Enrico, nel sinodo di Worms fummo eletti a pontefice: ma, innanzi ai decreti di ogni altra autorit?, noi stimiamo l'elezione del popolo e del clero romano, e protestiamo esser pronti a ritornar nella patria, se dai vostri suffragi quella scelta non sar? confirmata. >>

Questo pontefice fu la mano con la quale Ildebrando gitt? le prime fondamenta del suo gran sistema, che poscia si elev? a norma di dritto pubblico e di constituzione teocratica. Niccol? II agiva ciecamente e fiducioso sotto i dettami di lui. Infatti Ildebrando l'indusse nel concilio di Laterano a mandare fuori quel famoso decreto che stabil? il modo da tenersi nell'elezione dei nuovi pontefici, conferendone il potere esclusivamente ai cardinali vescovi, la confirma ai cardinali chierici, l'approvazione al clero ed al popolo romano; togliendo cos? all'imperatore non solamente la facolt? di scegliere, ma il dritto altres? di confirmare l'elezione. Ed Ildebrando lo trascin? a rompersi con Roberto Guiscardo, a scomunicarlo per l'usurpazione di Troia, sognata propriet? dei pontefici, ed infine accordargli l'investitura del ducato di Puglia, di Calabria e di Sicilia--allorch? l'avrebbe conquistata sui Saraceni--con l'obbligo di dodici soldi di Pavia per ogni paio di bovi che arassero nel territorio investito. Scomunica arbitraria, investitura ridicola, perch? si arrogava padronato su paese conquistato ai due imperi, ma che tanto Roberto quanto i pontefici seppero far valere, secondando gl'interessi di entrambi. Niccol? richiese, qual signore diretto del feudo, giuramento di fedelt?, e Roberto giur? di essere ligio alla chiesa romana ed al papa suo signore; di non minacciarne la vita, e non tenerlo cattivo; di aiutare di tutte le sue forze la santa sede per conservare, acquistare, o ricuperare il patrimonio di San Pietro, promettendogli assistenza nel sostenere la dignit? di pontefice e governare il principato e le terre dell'apostolo; di non bandir oste contro di chicchessia senza il piacere di lui; di rimettergli nelle mani le chiese dei suoi dominii coi beni e dritti annessivi e difenderli; infine di vegliare alla sicurezza nei comizi dei nuovi pontefici. E sulle basi di questo giuramento, i papi pretesero da poi sempre alla signoria del regno di Napoli!! Ma nel 1061, dopo avere Niccol? II sottratto all'imperatore la facolt? di eleggere il papa e dato alla Chiesa, con l'investitura a Roberto, un esercito ed un capitano per farne eseguire i decreti, si mor?. Ildebrando, ragunati i nobili romani ed i cardinali, proclama Alessandro II--mettendo cos? senza indugi in pratica il decreto del concilio di Laterano emanato da papa Niccol?.

Papam rite colo, sed te prostratus adoro: Tu facis hunc dominum, te fecit ille Deum--

Ildebrando manda subito un legato ad Enrico con lettere del conclave. Ma il messo non ? ricevuto, e vilipeso ritorna a Roma. Anzi, nella primavera, Onorio II, ricco di tesori molti e forte di truppa s? italiana che tedesca, si avvia alla volta di Roma e si accampa a Sutri. Poi, udendo che anche Alessandro faceva preparativi di guerra, leva il campo, ed al 14 aprile si presenta alle porte della citt?.

Quasi tutto il popolo romano ed i nobili caldeggiavano per Onorio. Alessandro and? ad attaccarlo nei di lui alloggiamenti. Alle falde del monte Oro, i due eserciti, capitanati dai due pontefici, vennero alle prese ferocemente, e quei d'Alessandro, rotti dall'ostinata puntaglia dei nemici, sbaragliaronsi. Se non che, mentre questi godevano della vittoria, sorpresi dalla contessa Matilde e da Goffredo di Toscana con truppa fresca, sono investiti da tutti i lati, e travolti in fuga. Onorio II si ricovera a Parma; ed Alessandro, minacciato dai suoi nemici di Roma, recasi a Lucca. Enrico convoca allora due concili ne' quali Onorio non comparve; ed Alessandro ed Ildebrando seppero dire di tali umili e peritose ragioni, che Alessandro fu riconosciuto.

Questo pontefice si abbandon? interamente ad Ildebrando. E questi lavor? sempre di alacre attivit? onde dar vita al suo sistema, nell'opinione dei popoli radicarlo, metterlo in opera per fatti. E perci? si avventur? fino a citare l'imperatore Enrico a dar conto di sua condotta innanzi al tribunale di San Pietro. Infine nel 22 marzo 1073 Alessandro si muore.

Il tempo era giunto. Ildebrando aveva gittate le basi della sua politica, nell'et? era maturo. Morto appena il pontefice, col darne novella al popolo, intima digiuno di tre d? e preci pubbliche onde invocare lo Spirito Santo. Spirati i tre giorni, cardinali, prelati e clero processionalmente si recano al Vaticano, dove il popolo si ragunava gi? pei funerali del papa. D'improvviso, alquanti amici di lui, nel religioso silenzio della turba, gridano: Ildebrando ? l'eletto di s. Pietro, il designato vicario di Cristo! E salito al pergamo il cardinale Ugo Candido, allora suo amicissimo, ne spippola lussureggiante panegirico. Il popolo risponde ad eco ai partigiani d'Ildebrando. Immediatamente gli addossano la porpora, gli porgono fra gl'inni e gl'incensi il camauro, e nella chiesa di San Pietro celebrano i riti dell'esaltazione. Compiuta la cerimonia, i sacri araldi gridano:

Il popolo grida: Collaudiamo!

I vescovi di Lombardia e di Lamagna, che per le simonie, i baratti, il concubinato e le sregolatezze d'ogni maniera contro i sacri canoni, avevano a temere del carattere rigido ed inesorabile d'Ildebrando, si recano allora all'imperatore Enrico e lo supplicano che annullasse un'elezione fatta in onta dei diritti imperiali e delle costituzioni, e che non patisse l'insolenza dei Romani, i quali si volevano sottrarre al suo padronato. Enrico, anch'esso irritato, manda infatti a Roma Eberardo di Nellenburg, perch? interrogasse il popolo ed i cardinali dell'insubordinazione ai dritti dell'Impero, e, rilevata l'irregolarit? dei comizi, scacciasse Gregorio, ed eleggesse altro pontefice. Giunto a Roma Eberardo, Ildebrando raccoglie il clero ed i deputati del popolo. E dinanzi a quelli per tal modo s'infinge e si scusa, che sue rispettose parole da Eberardo riportate all'imperatore, Enrico, che cuore generoso e pieghevole aveva, si chiama soddisfatto della sommessione di Ildebrando, ed ordina al vescovo di Vercelli, cancelliero dell'Impero in Italia, che celebrasse la cerimonia dell'esaltazione. Per lo che nel 1074, il d? della Purificazione, Ildebrando ? prima ordinato sacerdote, indi eletto pontefice.

Una sera, dopo aver Gregorio passata la giornata a spiccar legati per tutto l'orbe cristiano, a scrivere di quelle sue lettere piene di semplicit? e di schiettezza le quali fanno mirabilmente a calci con la sua storia violenta, appoggiato ad un verone del palazzo Laterano contemplava il cielo, pel quale si andavano sfioccando bianche nuvole come falde di neve. Egli, infermo da tre settimane, non aveva potuto intendere ad affari, n? i suoi amici avevano permesso che alcuno gli si avvicinasse onde non intristirlo con isconfortevoli novelle. Ora, compiutamente riavutosi, ripigliava le redini dell'universo, e ad ascoltarne i casi e le vicende si apprestava. Un camerario gli annunzia il cardinale Ugo Candido, legato nelle Spagne, che, reduce, cercava rendergli conto della missione.

Ildebrando fa cenno della testa che entrasse, ed in piedi come stava, le braccia incrociate sul petto, l'accoglie. Il cardinale entra, e dice:

Gregorio stette ad udire l'ardita risposta degli Spagnuoli, per gli storici giustissima, per lui sediziosa, e dopo alquanto di silenzio dimand?:

--E voi, cosa avete risposto voi a quei ribelli, messer cardinale?

--Io mi son taciuto << disse il cardinale >>, dappoich?, santo padre, quivi non si trattava ribattere parole con parole, ma distruggere fatti. Ora e' d? segno di stoltezza chi contro l'evidenza dei fatti osa pugnare.

--Sta bene << risponde Gregorio severamente >>; ritiratevi dunque, ser cardinale, poich? m'avvedo che voi v'intendete meglio di donne che di canoni.

Il cardinale Ugo Candido, uomo dottissimo ma ecclesiastico come tutti quelli d'allora, vale a dire punticcio in fatto di donneare, ed inoltre superbo e violento, guarda il pontefice di maniera corrucciata, poi facendo un passo indietro ed un gesto di disdegno, soggiunge:

E Gregorio perdette un altro amico.

Il camerario fa noto poscia al pontefice che Costantino, arcivescovo di Torres, legato nella Sardegna, dimandava anch'esso inchinarlo. Gregorio ordin? che entrasse.

--Santo padre << dice l'arcivescovo >>, ho recate le vostre parole e le vostre lettere ai Giudici della Sardegna, i quali meglio se ne chiamerebbero i re. Le mie persuasioni ho aggiunte per piegarli a riconoscere la loro isola quale immediato dominio della santa sede e feudo antico della Chiesa. Ma essi mi hanno dato sulla voce, han gridato all'insidia, e mi han cacciato dal paese, covrendomi di vituperi.

Gregorio resta ancora un momento a considerare, poi risponde freddamente e secco, senza di alcun modo spiegare il suo pensamento:

--Ritiratevi.

Il camerario annunzia Umberto, vescovo di Lione, commissario ponteficio nella Francia.

--Santo padre << parla il vescovo >>, ricevuta la vostra lettera e la bolla pei vescovi della Francia, mi son condotto a quelli di Reims, di Sens, di Bourges e di Chartres onde partecipar loro le minacce di vostra beatitudine, ed esortarli a lasciare gl'impuri traffichi ed i baratti illeciti, e vivere da sacerdoti anzi che da soldati e cacciatori nelle crapule e nelle orgie. Essi per?, santo padre, mi han risposto: ch'e' si sarebbero tolti dalla simonia e dal concubinato quando tutti gli altri ecclesiastici del mondo cristiano avessero fatto altrettanto. Poi sono andato a Macon per persuadere l'arcidiacono Landri che, essendo stato eletto vescovo di quella chiesa dal clero e dal popolo, non poteva il re Filippo pretendere pagamenti d'investitura, ed impedire la consacrazione. Per lo che, esigendo l'onore della Chiesa ch'ei fosse vescovo di Macon, si lasciasse consacrare senza paura, se non volesse esservi costretto dal rigore dei canoni. Landri infatti si persuase. Ma essendo entrati nella basilica per cominciare le funzioni, i balestrieri del re ce lo inibirono; e non lo avrebbero permesso mai, se Landri non avesse pagata la somma richiesta. Landri per? ? stato unto vescovo.

La pallida faccia di Gregorio si arroventa. Convulso nelle labbra, accennava gi? a violento scoppio, e qualche cosa in fatti fra s? medesimo mormora; poi, tutto ad un tratto si calma, e dice anche al vescovo, come aveva detto ai due precedenti:

--Ritiratevi.

Allora il camerario annunzia Sigofredo arcivescovo di Magonza, il quale veniva di Lamagna onde riferirgli di gravi cose. All'udir di costui, Ildebrando, come se stimasse doversi far trovare in attitudine pi? autorevole di quello starsi addossato ad una finestra, si asside avanti ad un tavolo gremito di pergamene e codici di Santi Padri, ed ordina che fosse introdotto. Sigofredo si reca a baciargli la mano, indi parla:

--Padre beatissimo, unitamente ai vostri legati presentammo a Nurimberg all'imperatore Enrico i decreti del concilio che vostra santit? tenne a Roma. L'imperatore li riconobbe, bench? di mala voglia, e solamente per condiscendere a sua madre Agnese, che con noi lo veniva a supplicare. Allora gli richiedemmo che lasciasse convocare nelle terre dell'impero un sinodo, onde, a nome di vostra beatitudine, deporre i prelati contaminati di simonia e di lussurie. Col monarca erano i vescovi di Strasburgo, di Spira, di Bamberga, di Augusta, di Wurzburg, di Brema e di Costanza--che sono appunto i pi? grossi baroni di Germania ed i principi pi? potenti dell'Impero. Alla dimanda, questi cominciarono a mormorare, ed a reclamare ad Enrico; ed egli per cavarsi d'impacci, ordin? a Liemaro di Brema di risponderci. Allora questi schiettamente favella: << Il dritto di convocare concilio nelle dipendenze della Germania appartiene esclusivamente all'arcivescovo di Magonza. I legati pretendono cose contrarie alle constituzioni ed ai canoni, non si debbono dunque ascoltare >>.

Noi allora interdicemmo a lui il ministero di vescovo; e quello di Bamberga, convinto gi? di aver compera l'investitura, sottoponemmo alla pena della deposizione, se non si fosse provato innocente avanti al tribunale di Roma. Pubblicati i decreti del concilio, tutto il clero di Lamagna si leva a rumore, per ogni chiesa nascon tumulti. Noi allora indicammo un sinodo ad Erfurt, dove, essendo convenuti moltissimi, esponemmo gli ordini della santit? vostra. Allorch? l'empio vescovo Ottone di Costanza, sorgendo come forsennato, si espresse in queste sentenze:

<< Alle quali parole, santo padre, tutti levatisi a rumore gridarono:

--Vogliamo le mogli, vogliamo le mogli: Sigofredo ha meritata la morte; uccidiamolo, onde serva di esempio ad ogni altro che, col pretesto di religione, venisse a diffamare gli ecclesiastici e le donne loro >>.

<< E dalle parole passando ai fatti, ebbimo appena campo di ripararci ad Heiligenstadt e fulminare interdetto contro i perturbatori del sinodo.

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