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Read Ebook: La vita in Palermo cento e più anni fa Volume 1 by Pitr Giuseppe

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Ebook has 1013 lines and 104720 words, and 21 pages

La vita in Palermo cento e pi? anni fa, vol. 1

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EDIZIONE NAZIONALE DELLE OPERE DI

GIUSEPPE PITR?

OPERE COMPLETE DI GIUSEPPE PITR?

SCRITTI VARI EDITI ED INEDITI

GIUSEPPE PITR?

LA VITA IN PALERMO

CENTO E PI? ANNI FA

VOLUME PRIMO

COMITATO

OPERE COMPLETE

INDICE

PREFAZIONE

Sorprendere e fissare, prima che cominciasse a trasformarsi, la vita pubblica e privata delle varie classi sociali nell'antica Capitale dell'Isola, nell'ultimo ventennio del Settecento: ecco lo scopo del presente lavoro.

Quella vita, cos? diversa dall'attuale, ? in certe sue esteriorit?, per chi non se ne sia occupato di proposito, poco o punto nota: ed ? tale, non tanto pel comune preconcetto che la storia contemporanea sia familiare a tutti, quanto perch? da molti si confonde la storia scritta dei principali e pi? clamorosi avvenimenti con la vita, da scriversi, del popolo in mezzo al quale gli avvenimenti si sono svolti.

I costumi, le consuetudini e le istituzioni nel periodo illustrato in questo libro sono d'una importanza che ha pochi riscontri nella storia generale di Sicilia. Perch?, se, per esempio, il quattrocento ha grande somiglianza o analogia col cinquecento e questo col seicento, in quanto inalterato rimaneva sempre l'ordinamento politico e civile, e con esso le condizioni fisiche, morali e religiose, il settecento invece non ha nulla che lo ravvicini all'ottocento. I due secoli divide un abisso, in fondo al quale ? facile scoprire che non cento ma quattro, cinquecent'anni ha corsi la Sicilia dagli ultimi decennii di quel secolo all'ultimo del seguente. Ci? che il 1789 ed il 1793 lasciarono intatto tra noi, solo per lenta, impercettibile evoluzione di tempi e di uomini si venne modificando, e pot? del tutto mutarsi pei rivolgimenti politici, che principiarono dalla sapiente rinunzia dei Baroni ai diritti feudali nel 1812; e finirono ai moti siciliani del 1860; onde pi? tardi le nuove idee e riforme sociali.

I trenta e pi? viaggi dell'ultimo terzo del settecento, distribuiti in meglio che cinquanta volumi pubblicati all'estero e non sempre reperibili, contengono preziose e quasi tutte sicure notizie di costumanze, pratiche, scene, qua e l? vedute e udite da uomini colti, i quali da curiosit? mossi, con gravi disagi, ingenti spese, pericoli immensi erano venuti a visitare un paese tagliato fuori del consorzio d'Europa, e rappresentato come l'ultima Tule. Qui essi non compievano inchieste in una sola settimana, come oggi purtroppo usa, correndo, volando con la vaporiera da Messina a Taormina, a Catania, a Siracusa, a Palermo, e viceversa, facendo escursioni a Girgenti, a Segesta, a Selinunte, ed interrogando i primi sfaccendati che s'incontrino nella piazza, o i primi malcontenti d'una amministrazione comunale del giorno. Essi invece si fermavano mesi e mesi girando, visitando attentamente ogni cosa, in portantina, su muli, a piedi, e patendo sovente il digiuno, il freddo, lo scirocco e gli inenarrabili supplizi delle osterie e dei fondachi.

? .

N? ci? ? bastevole: oltre le cose non originalmente descritte da Audot e da de la Porte, i francesi de la Plati?re, Houel, de Saint-Non, de Non, Derveil, Sonnini, d'Espinchal, e gl'italiani Onorato Caetani, E. Q. Visconti e Rezzonico, assai cose descrissero delle molte che videro, e videro quelle che i siciliani non guardavano, come vecchie e non degnate di attenzione.

A tutti questi viaggi io ho avuto la fortuna e la pazienza di far capo con insperato frutto; e le affermazioni di essi ho potuto controllare, corroborare e compiere con testimonianze d'altro genere: quelle dei poeti contemporanei.

Giovanni Meli, cui vieti pregiudizi d'oltremonte non ha fatto mai spassionatamente guardare in uno dei principali suoi aspetti, ? il primo gran pittore morale dell'et? sua. Nessuno pi? coraggiosamente, pi? argutamente di lui rilev? il guasto dell'ambiente e della societ? d'allora; nessuno fu pi? realista del Meli, cui, solo nel 1874, nella sua patria nativa, presso alla cattedra nella quale il simpatico poeta insegn?, un improvvisato professore d'Universit? dovea con audacia senza limite battezzare <>.

Se io sia riuscito a ricostruire nelle multiformi sue manifestazioni la vita di Palermo nei giorni del suo vero o fittizio splendore, quando questa vita per ineluttabile necessit? di eventi si disponeva a cangiamenti radicali, giudicheranno coloro che vorranno seguirmi nella rassegna, forse apparentemente severa, ma sostanzialmente spregiudicata, di ci? che facevano, di ci? che pensavano, di ci? che volevano i nostri bisnonni.

Chi ha visto con quanto ardore e con quanta coscienza io mi sia preparato per conoscere appieno ed intimamente questo passato, mi terr? conto, se non altro, del buon volere e del mio culto per le memorie storiche della Sicilia.

Palermo, 10 Febbraio 1904.

? Anno 1759.

L'abolizione del S. Uffizio riempiva di gioia anche gli stessi ecclesiastici.

L'opera di rinnovamento progrediva rimediando a vecchie ingiustizie.

Dignit? e titoli, sotto il dominio spagnuolo smisuratamente cresciuti nel ceto nobile, si trovavan di fronte al ceto medio, che guadagnava in diritti civili assurgendo a dignit? non prima raggiunta. Molte disuguaglianze e prerogative alla medio evo cadevano in oblio; e la libert? e la indipendenza personale gradatamente si affermavano. Ai vassalli, numeri senza personalit?, senza ordine, senza grado, concedevasi facolt? di lavorare fuori del territorio del signore: concessione addirittura rivoluzionaria in un tempo in cui nessuno di essi potea, senza permissione del Barone, trasportare da un luogo all'altro il proprio prodotto, nessuno allontanarsi dalla sua residenza?. Toglievasi per tal modo vigore a certi diritti angarici e contrattazioni di servigio, traducentisi, quelli in monopol? commerciali, queste in servit? personale. In altri termini, se il feudalesimo vigeva, gli abusi ne erano in gran parte aboliti, e la capacit? giuridica delle persone rimaneva appena limitata dai vincoli che tuttavia inceppavano gli agricoltori nelle terre feudali, e che in ogni occasione venivan prescritti o almeno mitigati?.

Intanto che promoveasi la costruzione di legni nell'Arsenale di Palermo?, si deliberava quella di otto grandi strade rotabili per oltre 700 chilometri , ma il voto dovea attender dell'altro il suo compimento.

Un intrigo di Corte spingeva nuovo Vicer? in Sicilia Domenico Caracciolo??, il quale, informato alla politica anti-feudale ed anti-ecclesiastica del Tanucci, usanze e pratiche arditamente, bench? non sempre ponderatamente, affrontava; pur qualche volta costretto a ritornare sopra i suoi decreti o per revocarli o per ammollirne la durezza.

Sotto le terribili impressioni del tremuoto del 1783, Messina, ridotta a desolazione, otteneva il porto franco: provvedimento non bastevole a distruggere, ma efficace ad attenuare le conseguenze dell'immane disastro.

Mentre da un lato si proponeva il censimento dei beni feudali, dall'altro si restringeva -- sgradito colpo alla feudalit? -- il mero e misto impero, che ogni d? si stremava di forze.

Dello scoppio dell'89 in Francia, la Sicilia, per ragioni feudali, civili, ecclesiastiche diversa da quella, non si risent? gran fatto; perch? se in Francia il terzo stato abbatteva nobilt? e clero, in Sicilia, clero e nobilt? sostenevano i diritti del Parlamento, qualunque essi fossero e per quanto logorati dalle leggi e dal tempo. L'aristocrazia e gli ecclesiastici aveano in s? tanto da esser giudicati liberali; la potest? regia, per assoluta che fosse, rompeva contro tutto un ordinamento, ch'era guarentigia dei diritti della nazione siciliana??.

Quale codest'ordinamento, non ? chi non sappia. Per antico istituto, non prima che la proponesse il Parlamento poteva il Re decretare una legge; n? decretata, derogarvi da s?; n?, se penale e non proposta dal Parlamento, farla valida per pi? d'un anno??. Il Re stesso, soggetto alle leggi dello Stato, non avea facolt? di far cosa che tornasse in pregiudizio delle Costituzioni, essendo lecito a' custodi di esse fin lo impedire la esecuzione dei sovrani decreti??. Le basi della monarchia riguardavano come incompatibile presso i privati l'esercizio del mero e misto impero: e le concessioni che si vantavano, erano precarie ad arbitrio del Re??. Ovvio pertanto il supporre come nessuna gravezza potesse dal supremo Capo dello Stato imporsi senza il suffragio del Parlamento, salvo che non intervenissero certi casi stabiliti da Giacomo d'Aragona; e medesimamente come nessun mutuo coattivo di danaro e di generi, non istimato necessario da quello, potesse dal monarca decretarsi??.

?? Cap. 418 Regis Alphonsi; Cap. 59 Regis Johannis.

Alle cariche dello Stato volevansi preferiti gli uomini virtuosi. Il Parlamento, sola autorit? di punire i delitti dei magistrati e di altri pubblici funzionar???. Condizione poi notevolissima: il Governo non avea un esercito; la forza era nelle mani del popolo.

Quale diversit? di ordinamenti da quelli di Napoli! E frattanto quale disparit? di trattamento per opera del Governo centrale!

Un testimonio non sospetto di sicilianesimo, dopo di aver visitata nel 1778 l'Isola, scriveva:

<>??.

Nel 1795 scendevano i Francesi in Italia: e nobili ed ecclesiastici profondevano denaro ed armi per difendere il paese. Solo pochi ardimentosi cospiravano a favore dei Repubblicani d'oltralpe, impromettendosi per siffatto espediente il bene dell'Isola; ma il nobile tentativo aveva il suo epilogo nel taglione di F. P. Di Blasi e nel capestro dei suoi compagni.

Stremato per gli ultimi donativi ordinar? e straordinar? lo Erario, un decreto del 1798 imponeva la consegna degli ori e degli argenti delle chiese e dei privati, il compenso dei quali assicurava con mendaci promesse. Larghe e tutt'altro che cordiali le consegne, ma alla bisogna insufficienti: quando il 26 Dicembre, inattesa, sbigottita, chiedente asilo, giungeva la Corte.

No, non si poteva essere pi? ingiusti verso la Sicilia generosa!

Gli ? che tutto un avanzo increscioso di abusi e di miserie gravava sulla societ?. La forma del reggimento interno, rimettendo al Parlamento la spartizione delle imposte, non tutelava abbastanza l'infima classe da aggrav? talvolta superiori alle sue forze. Se nobili e civili ne aveano il modo, la povera gente non poteva sopportare pesi, i quali, come quelli de' Baroni alle loro terre, incombevano alle citt?; dove, come dappertutto, pel comun difetto di agricoltura, di sicurezza, di commercio, di comunicazioni, di pubblica igiene, miserrime eran le condizioni, rese anche intollerabili dalla mancanza di un codice, dalla cattiva amministrazione della giustizia, non sempre controllata n? sempre controllabile da un magistrato esaminatore della condotta dei ministri del Regno??.

Oh come avea ragione quel patriotto siciliano che nel 1790 diceva a J. H. Bartels: <>??.

Palermo era tutta circondata da bastioni e, ad ineguali distanze, da porte. Gli uni e le altre, come alcune piazze e vie principali, portavano e portano ancora nomi di Vicer?, che, poche eccezioni fatte, non vi spesero mai un quattrino del proprio.

Questo Pretore , agitato dal desiderio incessante di nobilitare la citt?, non si dava riposo: ed ora con un disegno, ora con un altro, ordinava il lastricamento della Strada nuova, dal palazzo Castelluzzo in sopra; ed il prolungamento della via fuori la porta Macqueda fino al Firriato di Villafranca . Forte del sostegno del Vicer?, moltiplicava la sua energia: e in un giorno faceva man bassa sopra tutto un giardino e sopra una casa, costringendo le monache delle Stimmate a rifare sul modello di porta Felice porta Macqueda, fino allora piccola quanto S. Agata; abbatteva le principali tettoie delle botteghe, le quali toglievano ai cittadini agio di passare ed a chi vi entrava, aria e luce; accorciava i banchi sporgenti dagli usci dei venditori; costruiva selciati dove non ve ne fossero, ne ricostruiva, anche a spese dei privati, dove fossero gi? sciupati.

Il Senato, per forza di passivit?, lasciava fare, e forse mentre approvava davanti il Regalmici, mormorava dietro a lui per tante e cos? grosse spese, alle quali non rispondevano le entrate. I contribuenti, d'altro lato, stanchi delle gravezze ogni d? crescenti, una mattina facevan trovare alla porta maggiore del Palazzo Pretorio questo cartello:

Nun cchi? Villa, 'un cchi? funtani: Ma bon vinu, carni e pani.

Vero o no questo affare delle quattro cittadine stemmate, certa cosa ? che ogni rione avea una santa patrona propria: l'Albergaria, S. Cristina; Siralcadi, S. Oliva; la Loggia, S. Ninfa; la Kalsa, S. Agata. La vergine Rosalia, santa sopra le sante palermitane, troneggiava su tutti i rioni. Ora nel dubbio, che la notizia possa o non comprendersi, o dimenticarsi, ? bene guardare le Quattro Cantoniere, la fantastica <> dei nostri iperbolici scrittori antichi, e si vedr? che la santa torreggiante dall'alto dei quattro lati ? la protettrice del quartiere; sotto di lei, ? un re di Spagna; sotto il re di Spagna, una delle quattro stagioni: le beate del cielo, i beati della terra , i simboli delle quattro parti dell'anno.

Nel Gennaio del 1776 si fu a un pelo d'incorrere in un grosso guaio per una sassaiuola che dovea impegnarsi tra monelli di mestieri diversi??.

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