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Read Ebook: La vita in Palermo cento e più anni fa Volume 2 by Pitr Giuseppe

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Ebook has 956 lines and 110831 words, and 20 pages

Di questo voto molti si occuparono pro e contro fuori Sicilia, e non benevolmente il Muratori; ma il Senato ed il Clero anch'esso giur?, senza versare una goccia di sangue, per quanto lo sostenesse o lo facesse sostenere a furia d'inchiostro, e rinnovava ogni anno, con costante fervore, la promessa.

Straordinariamente drammatico, al domani, lo spettacolo. I Gesuiti una volta, finch? ci furono, gli ecclesiastici, i chierici, gli scolari poi, quando i Gesuiti non c'erano pi? , processionando con granate in mano, venivano spazzando il Cassaro che la Madonna dovea percorrere.

Nella chiesa, con un cerimoniale che sarebbe stato delitto di leso privilegio il trascurare e che tutto studiavansi di osservare scrupolosamente, si passava al voto. Primo il Vicer?, genuflesso a pi? dell'altare, confermava il giuramento; poi il Pretore ed il Senato: e l'uno dopo l'altro soscrivevano la formula del compiuto giuramento.

Assiso con regale dignit? sopra un soglio, di fronte al Senato, il Vicer? medesimo teneva Cappello reale: assisteva alla messa e coprivasi il capo nel momento che riceveva l'incenso: prerogativa del Legato apostolico in Sicilia rappresentato dal Re, e pel Re da lui. Quella messa, in virt? di un breve pontificio, che faceva parte dei privilegi della ricorrenza, poteva celebrarsi fuori le ore canoniche.

E la processione si apriva coi soliti tamburi e si formava con le solite confraternite, con le solite corporazioni religiose, coi soliti corpi dei parroci, dei seminaristi dell'Arcivescovato, del Clero della Cattedrale: e, sul ferculo, l'artistico, prezioso simulacro d'argento della Madonna, coperto di gioielli, scintillante all'irreqieto tremolio delle fiammelle, lento nel muoversi, misurato nel fermarsi, raccoglieva la venerazione di centomila teste piegantisi riverenti, poich? ad inginocchiarsi ogni spazio mancava.

Descrivere quella festivit?, ? un far cosa superflua come il <> secondo il notissimo adagio siciliano per esso nato.

Chi non la conosce? Chi, pur non conoscendola per tradizione, non ne ha letto delle descrizioni di viaggiatori che la videro o ne sentirono a parlare? Brydone, il 21 maggio 1770, scriveva da Messina esser considerata a Palermo <>; e quando la vide, ne scrisse con la massima accuratezza??. Houel nel 1776 ne diede le particolarit? pi? minute ricordando che <>, e che <>??.

Lasciamo dunque gli spettacoli che le resero famose. Noi non ci fermeremo neanche a prendere una polizza d'un baiocco della Beneficiata che le precede e le segue. Noi non vedremo il carro trionfale salire dalla Marina a Porta Nuova, brillante ai raggi dall'ardente sole di luglio, e scendere da Porta Nuova alla Marina illuminato da mille torce sotto il cielo di quelle incantevoli sere. Noi non assisteremo alle emozionanti corse dei cavalli nel Cassaro, alla solenne Cappella reale nel Duomo, alla lunga processione delle cento confraternite, delle cento bare e cilii, degli ordini religiosi, e dell'urna con le reliquie della Patrona della Capitale. Lasciamola, quest'urna, a percorrere un anno l'una, un anno l'altra met? di Palermo; lasciamo che i monasteri aprano i loro parlator? maggiori al Senato, o lo trattino di lauti rinfreschi e di dolci squisitissimi; che il Pretore dia nel Palazzo senatorio il consueto ricevimento, ed il Vicer? nel Palazzo reale e l'Arcivescovo nell'arcivescovile diano il loro. Il Principe Conte di S. Marco, il Duca di Cannizzaro, il Principe di Trabia, Pretori dei var? anni che si occupano, sanno bene come vadano trattati i nobili loro pari. Caramanico, da uomo di governo e di lettere, sa armonizzare la dignit? di Vicer? con la squisitezza del cittadino colto, e Monsignor Sanseverino non dimentica che il primo prelato dell'Isola dev'essere anche perfetto cavaliere non pur coi cavalieri, ma anche con le dame recantisi nella sua residenza a godervi lo spettacolo del carro e del palio. Se per tre anni il suo successore, pi? fortunato di lui, e come Arcivescovo e come Presidente del Regno e Capitan generale delle armi, riceve tutt'altro che signorilmente, lasciamolo al giudizio severo che ne porta la citt?, la diocesi, il Regno, questo Don Filippo Lopez!

Ci? che delle feste ? poco noto si riduce a certe particolarit?, minime, se si vuole, ma piccanti.

Frattanto la trepidazione dei Palermitani cresceva ogni giorno pi?. Caracciolo, bench? sicuro del fatto suo, non senza inquietudine aspettava le sovrane risoluzioni: e col suo indispensabile occhialino, da uno dei grandi balconi del palazzo non si stancava di lanciare sguardi di fuoco sui passanti nella Piazza, napolitanescamente mormorando parole di sprezzo contro questi incoscienti del progresso filosofico d'oltralpe, indegni de' tempi.

Quando il suo decreto venne tacitamente abrogato, fu visto mordersi le labbra e giurare di farla costar cara al Pretore, ai Senatori, ai nobili, al Clero, ai commercianti, a tutte le classi di Palermo non risparmiando neppure Sua Maest?.

Se non che, il tempo di costruire il carro non c'era pi?, ed egli si veniva fregando le mani pensando che non se ne sarebbe fatto di nulla.

Vano pensiero! La festa si volle e si fece: si centuplicarono le braccia, si lavor? di giorno e di notte e nelle prime ore pomeridiane dell'11 luglio il carro saliva glorioso; e pi? glorioso ancora tornava la sera del 14 a Porta Felice; e giammai grida di popolo festante echeggiarono pi? alte, e l'autorit? venne pi? arditamente bravata.

Il lato comico delle feste patronali fu sempre il corteo de' Contestabili del Senato. I tamburini battevano un colpo a destra, un colpo a sinistra sui due tamburi che essi portavano a cavallo; e la loro battuta, comicamente nota, suscitava ilarit? e motteggi. Siffatti Contestabili, dai cappelli a tegoli e dai lunghi ed amp? mantelli abbandonati sul dorso dei ronzinanti, erano lo zimbello del monellume, che avrebbe creduto di non passare allegramente lo spettacolo senza tirarsi dietro con le redini gli sbonzolati quadrupedi.

O per eccessiva sproporzione dello scafo, o pel pessimo lastricato del Cassaro, mal rispondevano i poveri animali alla solenne cerimonia. La macchina, sorpassante dalla cima le pi? alte terrazze della via, ora trasportava con s? una ringhiera, ora urtava contro il muro di un palazzo, ed ora sprofondava dall'un dei lati del mal basolato Corso. I ricordi di ruote sconquassate od uscite fuori dell'asse, di fermate d'interi giorni, abilmente poi superate per immani sforzi d'esperti marinai, son sempre vivi??.

Presso il Carro in movimento era un pandemonio: facchini che non lasciavano un minuto di vuotare buglioli d'acqua sugli affusti delle ruote in pericolo di prender fuoco per l'intenso attrito; giovinastri schiamazzanti alle manovre d'innaffiamento ond'essi rimanevano bagnati fradici; alabardieri che con le culatte dei loro scopettoni scacciavano la ragazzaglia audace e molesta; musicanti che sonavano e perdifiato; fiori pioventi dai balconi, dalle finestre, dai tetti, e battimani scroscianti ed evviva prolungate fino ad assordare.

Non men chiassose, n? men pericolose le corse, attrattiva magica, affascinante pel popolo specialmente delle campagne e dei comuni. Per quante precauzioni si prendessero ad evitar disgrazie, queste non mancavano mai. Lungo le catene del Cassaro, a destra ed a sinistra, per molto spazio, addossati a palazzi ed a botteghe sorgevano palchi per chi volesse sottrarsi agli urtoni della folla. Ai Quattro Canti, dal Palazzo Costantini al palazzo Jurato , dal palazzo Guggino a S. Giuseppe dei Teatini, altri palchi ostruivano i due sbocchi della via Macqueda. A Porta Nuova i palchi si moltiplicavano sotto il bastione che ? ora il quartiere de' Carabinieri, e la gente pullulava, formicolava sopra e di fronte a questo, in alto, sotto i portici, sulla terrazza, fin sopra il cupolino della Porta, dove bandiere ed orifiamme sventolavano.

Nella interminabile, ma non continua processione dell'ultima sera, la curiosit? veniva stuzzicata dalla corsa dei pescatori della Kalsa e dallo intervento dei caprai: ragione, questo, di burle, che con allusioni menelaiche, suscitate dal ricordo di bestie cornute, punzecchiavano la congrega, mal sofferente gli amari motti. Laonde il Pretore, per evitare disordini, dovette proibire che la confratria partecipasse alla festa; e cos? la statua del protettore San Pasquale fu alcuna volta messa da canto??.

Descrivendo la pericolosa corsa dei pescatori, Houel, che la vide, raccontava:

Tronchiamo senz'altro la rassegna ed usciamo un poco dalla citt?.

Una di queste ricorrenze si ebbe nel settembre del 1783: ne sappiamo qualche cosa perch? vi si rec? un signore lombardo oramai noto ai nostri lettori, il Rezzonico, giunto allora per visitare la Sicilia. Sentiamo la sua relazione.

<>??.

?? Erano le fontane, oggi abbandonate, fatte eseguire dall'Arcivescovo dal Testa.

La dimostranza, tutta popolare, concepita ed eseguita, come altre simili, per edificazione e svago della folla, non ebbe il plauso dell'illustre gentiluomo: e non poteva averlo, vivendo egli in mezzo a nobili e signori, e con princip? severamente classici. Cos? il Rezzonico si lasci? andare a malinconiche riflessioni <>.

Non importa per?: lo spettacolo piacque a tutti, e tanto basta.

Dai punti principali del Vecchio Testamento, riferentisi alle tristi condizioni della Umanit? pel peccato di Adamo, si passava a quelli del Nuovo, che mano mano conducevano alla Redenzione per opera del Dio-Uomo, venuto sulla terra a scontare la colpa del mondo. Il distacco tra gli uni e gli altri era notevole, e dove tra i primi, patriarchi e profeti si alternavano con le immagini dei fenomeni tellurici e meteorologici e delle entit? astratte, tra i secondi la Passione coronava in forma tragica l'opera. Il simbolismo prevaleva <>.

La crocifissione svolgevasi crudamente realistica, e alcune circostanze di essa dovettero concorrere alla sgradita impressione ricevutane dal dotto visitatore.

Le notizie della stupefacente ascensione dei fratelli Montgolfier col loro pallone aerostatico giunsero in Palermo per mezzo delle gazzette: e fu un gran discorrerne per tutta la citt?.

Un libro francese stampato a Losanna venne ad accrescere lo stupore non solo con le particolarit? maravigliose che accompagnarono la riuscita dei var? preparativi dell'avvenimento, ma anche coi disegni che parvero fatti a posta per fomentare l'ansiosa curiosit? dei Palermitani??.

<

Si chiamarono i pi? periti macchinisti del tempo, si misero a parte del poco e del molto che si sapeva del meccanismo dell'opera e si fecero quanti pi? tentativi si poterono. E poich? le relazioni parlavano di taffet?, di taffet? rimbombava ogni angolo del paese: <>. Le prove si ripeterono col sussidio della chimica e della dinamica quali erano allora conosciute; ma i risultati furon sempre nulli, ed il ridicolo cadeva a larghe mani sopra gl'inesperti attori.

Un signore di molto ingegno si ferm? sulla inanit? degli sforzi della scienza e della pratica del tempo; e andando pi? in l? che non fossero andati i suoi concittadini, trov? modo di risolvere il problema del peso, della misura, della struttura del pallone in guisa da renderlo buono a sollevarsi da terra ed a prendere le vie aeree fino allora non tentate in Sicilia. Questo signore fu D. Ercole Michele Branciforti, Principe di Pietraperzia e futuro Principe di Butera: persona di grande perspicacia e di non comune disposizione alla fisica, dei cui segreti, del resto, era affatto ignaro. Egli lavor? indefessamente per la riuscita dei suoi disegni, e quando si credette sicuro di s?, invit? nel paterno palazzo Butera la Nobilt? siciliana di Palermo, e l'11 marzo del 1784 fece le prime fortunate prove, preludio a quelle stupende del 14. Spettatori i nobili pi? riputati e le autorit? civili e militari, egli present? il suo pallone, lo riemp? di ossigeno, ne chiuse la bocca e quando gli parve buono ad affrontare la prova lo fece andar libero per mano del Vicer?. Il pallone si lev? maestoso di mezzo all'ampia terrazza; e forte, solenne, non mai pi? sincero, fu lo scoppiettar di mani, l'applaudire degli astanti del palazzo, del popolo della Marina a cos? nuovo miracolo dello umano ingegno??.

Il Vicer? Caracciolo non pot? nascondere la sua grande soddisfazione ed espresse il maggior compiacimento a D. Ercole; ma certamente vivo dovett'essere il suo rincrescimento di trovarsi ospite e lodatore di colui che, pochi mesi innanzi aveva, per una fisima, tenuto abusivamente in prigione: e quando si conged? per ritornare alla Reggia, tir? il pi? lungo dei sospiri come liberato da un incubo per la mortificazione di aver dovuto festeggiare l'uomo che avea per tredici mesi soperchiato.

I lettori ufficiali dell'Accademia degli stud? riflettendo sopra gli splendidi risultati del Branciforti, e non sapendo rassegnarsi a passare in seconda linea di fronte ad una persona la quale, priva della cultura tecnica, era arrivata l? dove i maggiori di loro non avean sognato, pensarono di affermarsi ripetendo per proprio conto lo spettacolo del patrizio palermitano. Il d? 21 dello stesso mese l'abate basiliano p. Eutichio Barone, insegnante di storia naturale e botanica nell'Accademia, volle mandar su un suo pallone dalla loggia della Casa degli stud? ; ma ahim?! l'esito non poteva essere pi? disastroso: ed appena il pallone si alz? dal fabbricato, and? a cadere a pochi passi, nel giardino del monastero della Badia Nuova, s? che il vanitoso maestro ne rest? con il danno e le beffe??.

Da queste prove pot? avere incremento, se non origine, l'uso dei palloni di carta velina che in estate si mandano in aria, specialmente in Palermo; il quale sospetto esprimiamo in forma dubitativa mancandoci documenti scritti di proibizioni di siffatti divertimenti al biondeggiar delle messi nella Conca d'oro: dove il cadere di palloni accesi avrebbe potuto recare gravissimi incend?. E certo ? da supporre che prima di quello del Branciforti nessun globo consimile si fosse veduto in Sicilia, per quanto la cosa possa ora sembrare, qual'?, ovvia e la pi? naturale di questo mondo.

Alcuni anni dopo, nel 1790, Vincenzo Lunardi, ardito aerostata lucchese, dopo varie ascensioni, incominciate con quelle di Edimburgo e di Glasgow , immediatamente dopo le famose dei Montgolfier , pensionato da Ferdinando in Napoli e col grado di capitano onorario, venne a rinnovare i miracoli Montgolfieriani tra noi. La cittadinanza vi si apprest? come alla pi? grande festa della sua vita: e il d? 15 marzo la Villa Filippina, dentro e fuori, fu stivata di spettatori impazienti di una vista non mai da essi immaginata. Le terrazze, i balconi pi? alti delle case e dei palazzi, le logge dei monasteri, i campanili, le cupole delle chiese si videro occupate da persone d'ogni condizione, e da monache, da preti, da frati, da militari. Si parlava del Lunardi come di essere soprannaturale, e la leggenda particolareggiava di opere e di atti di lui e delle ragioni e dei mezzi delle sue aeree escursioni.

Aspetta, aspetta: l'ascensione non ebbe luogo. Il vento impetuoso non lo permise. Ma il popolo, stanco del lungo, penoso attendere, del digiuno e della sete nella Villa, nella campagna di S. Francesco di Paola, ne' dintorni del vecchio Cimitero, presso i baluardi, esplose in grida e minacce violente contro il Lunardi, bollandolo per giuntatore volgare, venuto in Palermo ad imbrogliare i cittadini. Il brav'uomo fu a un pelo di essere accoppato: e se sfugg? alla collera del pubblico, dovette andarne debitore al Vicer? ed alla Nobilt?, che lo protessero.

Ma il Lunardi non era un giuntatore: ben tredici volte avea tentato le vie de' cieli in tutta Europa: e teneva molto alla sua reputazione, perch? la smentisse nella Capitale della Sicilia.

Nei primi di luglio un avviso a stampa nelle Quattro Cantoniere e in var? posti del Cassaro e della Strada Nuova diceva che il capitano Lunardi avrebbe fatto la sua ascensione l'ultimo giorno del mese. Stavolta lo spettacolo sarebbe avvenuto a qualunque costo: dovesse andarci di mezzo anche la vita dell'attore.

Il 31 luglio tutta la citt? fu l? a S. Francesco di Paola: e chi non vi fu di persona, vi tenne sopra gli occhi tutta la giornata, da tutti i luoghi donde lo spettacolo fosse possibile.

Lunardi ascese col suo globo. Vicini e lontani sbalordirono, tremarono all'audacia di lui, il quale parve a chi un dio, a chi un demonio, sovrumano a tutti. Scomparso nello spazio, lo si rivide in capo ad alcune ore in trionfo per la citt?, lieto in mezzo al popolo tripudiante, acclamante; i nobili lo sovraccaricarono di doni, il Vicer? di danaro, le monache di dolci e di ghiottonerie. Onore supremo a quei tempi, il suo pallone venne disegnato; sparso per la citt? il suo ritratto, come quello di uno dei pi? grandi personaggi del tempo.

E come da quattro mesi correvan feroci le invettive in verso e in prosa contro il supposto inganno di lui, cos? da quel giorno cominciarono gli inni; e nacque subito e corse dappoi e si sente ancora dopo pi? d'un secolo una entusiastica canzone sulla mirabile impresa e sulle particolarit? che la resero celebre. La canzone principiava cos?:

Nun si leggi 'ntra lunaria Jiri un omu mai 'ntra l'aria; Liunardu sulu ha statu Ca li nuvuli ha tuccatu; La s? forza a tantu arriva: Liunardu viva viva! Viva viva la sua virt?! Un omu di terra 'nta l'aria fu!

e ripeteva questi due versi intercalari, strofa per istrofa, fino all'ultima:

Stu prudigiu di munnu Pri 'n eternu 'un tocca funnu; Liunardu lo s? nnomu; Resta sempri di grann'omu; Liunardu sulu ha statu Ca li nuvuli ha tuccatu; La s? forza a tantu arriva. Liunardu viva viva! Viva viva la sua virt?! Un omu di terra 'nta l'aria fu!

La figura del Lunardi corse ammirata e ricercata per la citt? tutta: e venne ritratta nella mobilia e nei quadri.

Passiamo ad un divertimento ora del tutto dimenticato, e rifacciamoci dal 1770.

La mattina del 10 luglio di quell'anno Patrick Brydone scrivea da Palermo a Londra dover andare dopo colazione a giocare al pallone, al quale col suo compagno di viaggio Fullarton era stato invitato??.

In uno dei suoi opuscoli inediti il Villabianca diceva del giuoco: <>??.

Nello scorcio del settecento l'attrattiva divenne passione intensa: ed uno dei tanti che lo videro nel 1798 notava: <>??.

Pare vi sia stata una vera fioritura di giocatori, ma pare altres? che non tutti fossero i robusti dei quali parla il Villabianca; perch?, proprio in quell'anno, D. Francesco Car? componeva il seguente pepato sonetto:

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