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Read Ebook: Isabella Orsini duchessa di Bracciano by Guerrazzi Francesco Domenico

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Ebook has 1349 lines and 115397 words, and 27 pages

Isabella Orsini, duchessa di Bracciano

This file was produced from images generously made available by The Internet Archive.

Gli Editori intendono valersi dei diritti accordatigli dalle Leggi sulla Propriet? letteraria.

ISABELLA ORSINI

DUCHESSA DI BRACCIANO,

RACCONTO

UNDECIMA IMPRESSIONE.

FIRENZE. SUCCESSORI LE MONNIER. -- 1880.

AL MARCHESE

INDICE

CAPITOLO PRIMO.

LA COLPA.

Ma Ges? chinatosi in gi? scriveva col dito in terra. E com'essi continuavano a domandarlo, egli rizzatosi disse loro: Colui di voi ch'? senza peccato gitti il primo la prima pietra contro a lei. -- Ges? le disse: Io ancora non ti condanno: vattene, e da ora innanzi non peccar pi?.

"La contemplazione delle tue glorie nell'alto ti dissuade dallo abbassare pi? oltre i tuoi sguardi a questa valle di lacrime? Le laudi dei celicoli ti hanno reso forse molesti i gemiti dei tuoi divoti? Madre del tuo Creatore, ti sarebbe per avventura incresciuta la tua origine terrena? Lass? nel cielo si costuma egli come nel mondo?....

"Ahi trista me! Me misera! La mente mi vacilla a modo di ebbra: pur troppo, pur troppo m'inebbri? il dolore, e la parola m'imperversa procellosa per le labbra quasi un vento di bufera.

"Maria, perdono! Tu sai se infante non aborrendo io bagnarmi i pi? nudi per l'erbe rugiadose, lasciato il letto tepido, mi conducessi a sceglierti i fiori, che dai calici aperti bevevano i raggi primi del sole mattutino; tu sai se io vigilava sempre a guisa di vestale, perch? il lume della lampada domestica a te consacrata non si estinguesse; -- e se qualche fatto non degno della tua santa vista commisi, io prima ti velai il volto, e poi te ne chiesi perdono. In te sola confido.

"M'infiamma il sangue, anzi pure le midolle mi consuma e le ossa uno amore....

"Chi ? che ha detto amore? Ho io profferito amore? Ah! per piet?, che nessuno lo sappia.... che nessuno lo intenda.... che le mie orecchie non lo ascoltino dalle mie labbra! Folle! E che importa questo, se ho l'inferno nel cuore? -- S?, un amore infame mi arde tutta, un amore da far piangere gli angioli. Maria, non mi guardare nell'anima! Tutti i confessori del paradiso, non che tu, Vergine immacolata, diventerebbero rubicondi per vergogna a guardarmi nell'anima!

"E non pertanto questa fiamma cos? arde segreta, che nessuno contemplando la mia pallida faccia potrebbe dire: -- Ecco un'adultera! -- Chi dei viventi sapr? distinguere in me come tinga la colpa, o come il dolore? In quella guisa, che la lampada sepolcrale arde illuminando gli scheletri umani senza comparire di fuori, cos? l'amore mi vive nell'anima, splendendo sopra le reliquie miserabili della mia contaminata virt?.

"Ma in questa fiera battaglia ogni spirito vitale ? venuto meno. Gi? si approssima l'ora in cui si aprir? lo abisso entro il quale rovineranno verecondia di donna, reverenza di marito, decoro di famiglia, e amore di madre, e tutto insomma, e la salute dell'anima con essi!

"La salute dell'anima! la perdizione eterna! E se io, disperata ormai di superare la corrente, mi lasciassi sopraffare dalle acque....? Se, anima piena di amarezza, io ardissi fuggire dal tristo carcere del corpo....? Se prima della chiamata io disciogliessi le ali fuori della vita, e riparassi sotto il manto del perdono di Dio....? si apriranno esse le braccia di Dio per accogliermi, o mi respingeranno? E di vero, non sono io intieramente corrotta? Dio non penetra nei nostri cuori, e non vede come li abbia rosi il peccato? In questa acerba contesa io difendo quella parte di me che diventer? polvere; l'altra, che ha da vivere immortale, ormai ? perduta. Sia che io rimanga, o che fugga; sia che mi abbandoni, o che resista, Isabella, tu sei dannata.... dannata per sempre!

"Dov'?, chi ? colui che pose questa legge iniquissima? Se io non valgo a rompere, voglio mordere almeno questo fato di ferro. Non ho combattuto, e non combatto tuttora? Qual ? in me la colpa, se io non posso vincere? In che cosa peccai, se un serpe mentre io dormiva mi si ? insinuato nel cuore, vi ha fatto il nido, e lo ha reso a vedersi pi? tremendo della testa di Medusa? In che peccai, se non mi basta la lena a portare questa croce? I caduti non s'irridono, non si condannano, ma si aiutano. Ebbene, poich? colpa pensata vale colpa consumata, e portano ambedue la pena medesima, scendiamo interi negli abissi del delitto, e moriamo...."

Queste ed altre parole in parte profferiva, in parte mormorava fra i denti una giovane donna bellissima di forme, davanti la immagine della Madonna, opera divina di Frate Angelico.

E cotesta immagine, simbolo di celeste verecondia e di casti pensieri, sembrava come sbigottita da preci siffatte; imperciocch? per le parole assai, ma pi? pel modo col quale venivano pronunziate, paressero e fossero in parte immani empiet?. La donna non istava atteggiata a reverenza, ma dritta, proterva, a fronte alta, con occhi torvi ed intenti, affannoso il petto, tremule le labbra, dilatate le narici, strette le mani, inquieti i piedi, -- leonessa insomma, piuttostoch? donna, e molto meno poi donna supplichevole.

Aveva ella ragione?

I Greci ricercando sottilmente la natura di questo nostro cuore, conobbero tali vivere vizi cos? inerenti alla sostanza umana da non si potere vincere dalle forze unite della volont?, delle leggi, dei costumi, n? dalla religione: per? con quello ingegno portentoso, che a loro soli concessero i cieli, resero amabile il vizio, e lo fecero contribuire al bene della repubblica: invece di aspettare quello che non poterono prevenire, gli andarono incontro. A modo di quanto si narra di Mitridate avendo a bere veleno, vi si abituarono per tempo, togliendogli la facolt? di nuocere. Osarono anche di pi?: fecero gli Dei complici dei misfatti degli uomini; non potendo sollevare questa polvere fino al cielo, abbassarono il cielo fino alla polvere, e il colpevole divent? argomento non di odio, ma di compassione, come quello che aveva ceduto alla onnipotenza del fato, cui Giove non che altri cedeva, e che guidando i volenti, i repugnanti strascina.

Il quale concetto esteso ad ogni maniera di azioni, sopra modo accoglievano nelle cose di amore. -- Anacreonte, al quale cominciano gi? a incanutire le chiome tante volte coronate della lieta edera e di pampini, se ne sta solo davanti al fuoco in una trista notte d'inverno. Borea imperversa per lo emisfero e pei mari, e un turbine di gragnuola forte percuote la casa del poeta. Egli non ricorda i raggi del sole di primavera diffusi sopra i fiori e sopra i capelli delle donne bellissime, non le molli erbe piegate appena dai pi? fugaci delle danzatrici, non l'aure pregne di vita, che gli parevano susurrare nelle orecchie: -- amore, amore; -- i suoi pensieri versano intorno alla caducit? delle nostre sorti quaggi?; vede la vita volgere pi? veloce della ruota del carro vincitore nei giuochi olimpici, i nostri giorni dileguarsi pi? ratti di un'ombra sopra la parete: le rose della sua fantasia appassiscono alla considerazione della morte. All'improvviso ? battuto alla porta del poeta, ed accompagna il colpo una voce di pianto. -- Pu? non sentire piet? il poeta, se la piet? ? una delle pi? armoniche corde della sua lira celeste? Apre Anacreonte la porta, e comparisce un fanciullo, molle di pioggia, e pel dolore allibito: povero fanciullo! i capelli grommati di diacciuoli gli stanno gi? distesi lungo le guance; le labbra ha livide, le membra intirizzite. -- "Qual mala ventura, o bel fanciullo, ti sforza a vagare per questa notte consacrata agli Dii dello inferno?" E intanto senza aspettare risposta gli spreme il gelo dai capelli, lo spoglia, lo asciuga, e col calore del fuoco lo ravviva; n? ci? gli bastando, le mani del fanciullo si ripone in seno per iscaldarle soavemente co' tepidi effluvii del suo sangue. Poich? torn? sopra le labbra il cinabro, e la tremula luce alle pupille, il fanciullo sorridendo dice: "Or vo' provare se la pioggia mi ha guasto l'arco;" -- e lo tende dopo avervi adattata la freccia. Anacreonte improvviso si sente ferito prima di accorgersi che Amore irridendo abbandonava la sua casa. -- Vendetta di Apollo fu, se Mirra arse di fiamma incestuosa per Ciniro; vendette di Venere gli amori di Pasifae pel tauro, di Fedra per Ippolito; e volere di Giunone e di Minerva lo immane affetto di Medea per Giasone: poche commisero colpe, o nessuna, di cui non attribuissero la causa a qualche Nume; e cos? i tragedi, giovandosi della fede universale nel fato, rappresentarono sopra le scene quegli orribili fatti, che diversamente non si sarieno potuti sopportare. E certo vive, piuttosto sembra talvolta vivere in noi qualche cosa che pu? meglio di noi; n? le nostre credenze, comunque tanto procedano lontane dalle dottrine antiche, vi repugnano affatto. Forse non crediamo noi, che la prima madre venisse tentata dal serpente? E da cotesta ora in poi le orecchie della donna si lasciano andare pi? facili delle altre alle insinuazioni del tentatore. Forse il tentatore non ist? fuori, ma dentro alla femmina, e le siede nel sangue sottile, nel finissimo tessuto delle vene, nei pori della pelle dilicata, nel mobile cervello, e nel cuore mobilissimo: e quando pur fosse cos?, il tentatore apparirebbe pi? inevitabile e gagliardo. Ma le donne sole cedono alle persuasioni di un demonio, che ora va tentando con l'odio, ora con la volutt?, ora con lo amore, ora con la copia dei beni, e, per non discorrerle tutte, con quante passioni hanno potenza di muovere il cuore dell'uomo? Oim?! a pochi bast? la costanza contro la lascivia e l'oro, crudelissimi, sopra ogni altro, tiranni dell'anima nostra. Personaggi incliti delle antiche e delle moderne storie, uomini venerati e venerabili, o per quanto dur? ai medesimi la vita ebbero a combattere siffatte passioni, o troppo spesso vi giacquero sotto: -- e se tra noi fu inalzata alla degnit? del sacramento la penitenza, parmi evidentissima prova, che neppure Dio sper? che ci avessimo a mantenere innocenti; no, non lo sperava, dacch? imponeva a Simone Pietro, che perdonasse non solo sette volte, ma bens? settanta volte sette.? -- Povera Isabella, chi ? senza peccato ti scagli la prima pietra....

Aveva ella torto?

Il primo sorso non inebbria mai, e chi vuole, pu? deporre la tazza, e dire: -- Basta! -- Che Amore nato appena, il grande arco crollando, e il capo, sieda re dello spirito, e gridi: -- Voglio, e vo' regnar solo, -- lo cantano i poeti immaginando;? ma la verit? non ? questa. Amore di momento in momento si compone l'ale di dolci pensieri e di ardenti desiri, e i suoi dardi si fanno duri in proporzione che il cuore, contro il quale si dirigono, diventa molle. N? Delia accecava perch? contempl? il sole una volta sola; e chi vuole fuggire le Sirene imiti lo esempio di Ulisse, e turi le sue orecchie con la cera. Noi fidiamo troppo, o troppo poco, in noi stessi. Quando la fiamma di uno sguardo, o il f?scino di una voce ci lusingano, e la Provvidenza con senso arcano ci avverte, non tenghiamo conto dell'ammonizione; e diciamo, -- "Non anche questo affetto trasmoda; ove trasmodasse, basteremo al riparo:" -- quando poi lo sentiamo soverchiare, differiamo il rimedio di giorno in giorno; vinti finalmente, accusiamo il destino, che ci siamo fabbricato con le nostre mani medesime. Cos? avendo il potere ci manca il volere, e avendo il volere ci manca il potere; noi siamo i nostri reziarj.? Delle leggi del fato l'uomo pu? subire quelle che stanno fuori di lui; le altre, che stanno dentro di lui, non hanno forza: vincesi il corpo, l'anima no. E se Dio ci concesse l'anima capace da poterne adoperare le facolt? perfino contro il suo trono immortale, perch?, o come vorremo incolparlo, se combattenti codardi gettammo lo scudo sul principiare della battaglia, o se aborrimmo adoperare la spada che ci fu posta nelle mani? Atomi queruli ed ingiusti, noi vorremmo che il Creatore, rompendo gli ordini eterni delle cose, s'inchinasse ad ogni momento dalla volta dei cieli per riparare ai nostri falli, e per acquietarci le procelle del cuore, che vi andiamo suscitando; egli.... il Creatore, che lascia rotare vorticosi nello infinito i frammenti di mondi lacerati, e distendersi nella orribile sua immensit? la tempesta dell'Oceano! Anche la colpa conosce una specie di dignit?; osiamo averla. Lucifero bandito dalle sedi celesti non accusava veruno, oppure incolpava s? stesso perch? non era riuscito nello intento; e Lucifero nella sua tetra grandezza ci apparisce tale, che se noi non possiamo desiderargli destini migliori, non ci possiamo astenere da imprecare per male augurato il momento nel quale egli provocava lo sdegno dello Eterno. Ma noi troppo siamo inferiori, sia nel bene sia nel male, alle angeliche nature. Per darci ad intendere che valghiamo qualche cosa, presumiamo farci l'onore di credere che Satana ne abbia tentato. Dove Satana potesse volgere sopra di noi i suoi sguardi di fuoco, non ci tenterebbe ma riderebbe. Pu? egli darsi Satana peggiore delle triste nostre inclinazioni, e del volere nostro intentissimo a educarle ed a crescerle? -- Io non voglio per certo togliere e diminuire alla povera anima d'Isabella la compassione degli uomini e la misericordia di Dio, ma solo persuadere che la misera morte alla quale venne condotta fu pena condegna ai meriti, o piuttosto ai demeriti suoi.

Mentre Isabella profferiva la strana preghiera che in parte ? stata riferita qui sopra, un cavaliere di fiera sembianza, aitante della persona, sporse la testa dal limitare della sala, e stette ad ascoltare le parole della donna; poi con placido passo le si accostava chiamando: -- "Isabella!...."

La donna a quella voce improvvisa rimase percossa: le si fece il volto pi? bianco, le labbra si mossero senza suono; e la palpebra pesa le cadde, mentre intorno l'occhio si diffuse un lividore cagionato dalla rete delle tenui vene diventate sanguigne, o di colore di piombo. Ella stramazzava per certo, se il cavaliere era meno pronto a sorreggerla. Dopo breve silenzio, il cavaliere riprese a dire cos?:

-- "Isabella! voi avete qualche cosa sul cuore, che desiderate celarmi: perch? questo, Isabella? Sono io forse cos? povero amico vostro, che non mi reputiate degno di essere messo a parte dei vostri pi? riposti segreti? O cos? mi credete voglioso delle mie contentezze, che non sappia anteporre loro, comecch? con mia angoscia inestimabile, il riposo e i desiderii vostri? Parlate; io per amor vostro mi chiamo parato a tutto, ma parlate una volta.... Ahi misero me! E quale vi ha bisogno, Isabella, che voi favelliate? Io ho inteso anche troppo: non mi credete animoso voi? Ecco che io vi provo il contrario. Voi pregate la mia morte; ed io posso, anzi voglio unire le mie preghiere alle vostre; io richiamer? sopra le mie labbra la pi? soave delle preghiere che m'insegnasse la madre dilettissima. Gi? via, Isabella, prostratevi; io, lo vedete, mi son gi? prostrato."

E la donna, male sapendo che cosa si facesse, cadde genuflessa; ed ambi pregarono.

Ma coteste non furono preghiere pure e serene, che s'inalzano al cielo come un profumo di anime innocenti, e gli angioli si piacciono portare sopra il dorso delle ale candidissime al trono dello Eterno, e Dio le accoglie come ospiti celesti, e le consola non altramente, che se afflitte figlie del suo amore si fossero. Coteste preghiere volarono dai petti anelanti, rubiconde e scomposte, per modo che non sarebbero apparsi diversi i delirii della lascivia; e per l'aria si aggirarono fosche, a guisa di nuvole sorte da impuri effluvii terreni; n? toccarono le soglie del cielo, ma ricaddero respinte come il fumo della offerta del primo omicida, ad accrescere la passione dei peccatori.

E fu ragione; imperciocch? coteste preci non uscissero sincere dal cuore, e chi le profferiva temeva venissero esaudite, e dette appena avrebbe voluto revocarle. -- Mente mortale, o come mal ferma nel desiderio del bene! Per? le guance accese si toccarono; le mani convulse si cercarono, e si tennero intrecciate; e le preghiere terminarono con giuramenti orribili di amarsi sempre in onta dei sacri vincoli, del decoro geloso di famiglia, della morte, e dello inferno. Tanto procederono immemori di loro, che dello iniquo giuramento chiamarono in testimonio la Donna divina, alla quale intendevano supplicare per salute; e la Madre della misericordia non torse altrove la faccia, persuasa che se bugiarde furono allora coteste preci, le avrebbe poi dovute ascoltare anche troppo sincere il giorno del pentimento.

Intanto la giustizia registr? la colpa nel libro ove nulla cancella se non che il sangue.

? Come raggio di sole in acqua mera.

? L'altro esempio fu, che si legge scritto da Cesario, che nel contado di Lovagno fu uno cavaliere giovine di nobile lignaggio, il quale in torneamenti e nell'altre vanitadi del mondo aveva speso tutto il suo patrimonio: e venuto a povert?, non potendo comparire cogli altri cavalieri, com'era usato, divenne a tanta tristizia e malinconia, che si voleva disperare. Veggendo ci? un suo castaldo, confortollo, e dissegli che s'egli volesse fare il suo consiglio, egli lo farebbe ricco, e ritornare al primo onorevole stato. E rispondendo che s?, una notte lo men? in un bosco: e faccendo sua arte di nigromanzia, per la quale era usato di chiamare i demonii, venne uno demonio, e disse quello che domandava. Al quale rispondendo com'egli gli aveva menato uno nobile cavaliere suo signore acciocch? egli lo riponesse nello primo stato, dandogli ricchezze e onore: rispose, che ci? farebbe prestamente e volentieri, ma che conveniva che in prima il cavaliere rinnegasse Ges? Cristo e la fede sua. La qual cosa disse il cavaliere che non intendeva fare. Disse il castaldo: Dunque non volete voi riavere le ricchezze e lo stato usato? andiamci: perch? m'avete fatto affaticare indarno? Veggendo il cavaliere quello che fare pure gli convenia se volea essere ricco, e la voglia avea pur grande di ritornare al primo stato, lasciossi vincere, e consent? al mal consiglio del suo castaldo; e avvegnach? mal volentieri e con grande tremore, rinneg? Cristo e la sua fede. Fatto ci?, disse il diavolo: Ancora ? bisogno ch'egli rinnieghi la Madre di Dio, e allora di presente sar? fornito ci? ch'elli desidera. Rispuose il cavaliere, che quello giammai non farebbe; e diede la volta, partendosi dalle parole. E vegnendo per la via, e ripensando il grande suo peccato d'avere rinnegato Iddio, pentuto e compunto entr? in una chiesa, dov'era la Vergine Maria dipinta col figliuolo in braccio, di legname scolpita; davanti alla quale reverentemente inginocchiandosi, e dirottamente piangendo, domand? misericordia e perdonanza del grande fallo che commesso avea. In quell'ora, un altro cavaliere, il quale avea comperato tutte le possessioni di quello cavaliere pentuto, entr? in quella chiesa; e veggendo il cavaliere divotamente orare, e con lacrime di doloroso pianto dinanzi alla imagine, maravigliossi forte, e nascosesi dietro ad una colonna della chiesa, aspettando di vedere il fine della lacrimosa orazione del cavaliere compunto, il quale bene conoscea. In tal maniera l'uno e l'altro cavaliere dimorando, la Vergine Maria per la bocca della imagine parlava s?, che ciascheduno di loro chiaramente l'udiva, e dicea al figliuolo: Dolcissimo figliuolo, io ti priego che tu abbi misericordia di questo cavaliero. Alle quali parole niente rispondendo il figliuolo, rivolse da lei la faccia. Pregandolo ancora la benigna madre, e dicendo, com'egli era stato ingannato, rispuose: Costui, per lo quale tu preghi, m'ha negato: che debbo fare a lui io? A queste parole la imagine si lev? in piede; e posto il figliuolo in sull'altare, si gett? ginocchione davanti a lui, e disse: Dolcissimo figliuol mio, io ti priego, che per lo mio amore tu perdoni a questo cavaliere contrito il suo peccato. A questo priego prese il fanciullo la madre per mano, e levandola su, disse: Madre carissima, io non posso negarti cosa tu domandi: per te perdono al cavaliere tutto suo peccato. E riprendendo la madre il figliuolo in braccio, e ritornando a sedere, il cavaliere certificato del perdono per le parole della madre e del figliuolo, si partia dolente e tristo del peccato, ma lieto e consolato della perdonanza conceduta. Uscendo dalla chiesa, il cavaliere, che dopo alla colonna avea ascoltato e osservato ci? che detto e fatto era, li tenne celatamente dietro, e salutollo, e domandollo perch? egli avea tutti gli occhi lacrimosi: ed egli rispuose, che ci? avea fatto il vento. Allora il cavaliere secondo disse: Non me lo celate tutto ci? che in v?r di voi ? stato detto e fatto. Onde alla grazia che avete ricevuta, per amor di quella che l'ha impetrata, io voglio porgere la mano. Io ho una sola figliuola et unica, vergine, la quale vi voglio sposare, se v'? in piacere: e tutte le vostre possessioni grandi e ricche, che da voi comperai, vi voglio per nome di dota ristituire, e intendo di avervi per figliuolo, e lasciarvi reda di tutti i miei beni, che sono assai. Udendo ci? il giovane cavaliere, consent? al proferto matrimonio. E adempiuto tutto ci? che promesso gli era, ringrazi? la Vergine Maria, dalla quale riconobbe tutte le ricevute grazie.

? Signore, quante volte, peccando il mio fratello contro a me, gli perdoner? io? Fino a sette volte? -- Ges? gli disse: Io non ti dico fino a sette volte, ma fin a settanta volte sette.

CAPITOLO SECONDO.

L'AMORE.

E bevea da' suoi lumi Un'estranea dolcezza, Che lasciava nel fine Un non so che di amaro. Sospirava sovente, e non sapeva La cagion dei sospiri. Cos? fui prima amante, che intendessi Che cosa fosse amore: Ben me ne accorsi alfin....

Messer Antonfrancesco Torelli era dei migliori uomini della terra di Fermo: copioso dei beni di fortuna, onorato dai suoi, riverito dagli stranieri, lieto di moglie egregia, e di un figlio in cui aveva riposta ogni speranza dei suoi anni cadenti.

Beato lui, se avesse creduto vero quello che pur troppo ? verissimo; cio?, il migliore ammaestramento che possono apprendere i figliuoli derivare dagli esempii degli ottimi genitori; e non avesse mai accomiatato da casa il dilettissimo suo Lelio! che non avrebbe prodotto contristati di amarezza i suoi ultimi giorni verso il sepolcro. Ma egli compiacendo ai tempi, desider? il figlio perito nelle arti cavalleresche, ed il suo cuore paterno esult? nel presagio che le gentili donne di Fermo salutassero il figliuolo suo pel pi? compito e cortese gentiluomo di tutto il paese. -- In questo pensiero, avendo Antonfrancesco servit? grande col cardinale dei Medici in Roma, gli venne fatto molto di leggieri accomodare nella corte del granduca Cosimo il suo Lelio in qualit? di paggio nero. Ma Cosimo, logoro per lo smodato esercizio di tutte le passioni, essendo venuto a morte non bene ancora maturo, Lelio, giovanetto di leggiadre maniere e di forme venuste, piacque a donna Isabella figlia di Cosimo, duchessa di Bracciano, la quale ottenne che il bel paggio si acconciasse al servizio di lei.

Corpo gigante, e gambe di fanciulla Ha il nuovo Perseo: sicch? tutto insieme Ti pu? bello parer, ma non val nulla.

Ma ritornando al nostro Lelio Torelli, egli era riuscito a maraviglia in tutti gli esercizi che desiderano forza e scioltezza di membra. Alle discipline, ove bisogna assottigliare lo intelletto, o non avea rivolta la mente, o non vi era arrivato; e nemmeno prendeva vaghezza dei suoni, dei canti, o dei balli; i suoi sguardi cadevano sopra un coro di femmine leggiadre, con minore compiacenza di quella che si fermassero sopra un cespuglio di rose, e infinitamente poi minore di quella, con la quale per piani o per boscaglie teneva dietro al cignale ferito. Nessuno pi? prestante di lui a balzare di un salto in sella; nessuno pi? infallibile a lanciare un dardo, o ad assestare un colpo di arcobugio; e per non distenderci in troppe parole, in ogni maniera di prodezza superava facilmente non pure tutti i giovani coetanei, ma si trovava appena chi, anche tra i maggiori, potesse vantarsi a seguitarlo di gran lunga secondo.

Per?, assai pi? che non conveniva a nobile fanciullo, si mostrava voglioso di garbugli e di risse, e in queste palesava indole feroce; imperciocch? se per forza o per inganno gli veniva fatto superare l'avversario, non cos? di leggieri si placava, ma chiuso ai miti sensi della piet? e del perdono, continuava a percuotere, finch? o la stanchezza, o gli accorsi al trambusto non glielo avessero cavato di sotto. E poi gli durava il rancore; e guai se un giorno avesse avuto luogo a sfogare il tesoro di vendetta accumulato nel profondo dell'anima! i suoi nemici avrebbero fatto bene a procedere, come suol dirsi, con l'olio santo in tasca. Del rimanente, tenace negli amori quanto negli odii, a esporsi nei pericoli sempre primo, anzi egli solo voleva correrli, e quelli che prediligeva avevano a ristarsene; e ci? non si creda gi? per amore di lode, o per istudio della gratitudine altrui, ch? queste cose non cercava, o sprezzava; ma per generosit? naturale, ed anche per un certo sentimento di prevalenza ai suoi compagni, di cui lo ascendente era pi? facile aborrire che evitare. Piuttosto temuto che amato, piuttosto riverito che seguitato, egli sembrava degnissimo d'impero.

Ma certa volta accadde, che donna Isabella avendolo chiamato a gran fretta, egli ebbe appena tempo di sbrigarsi dalle mani del suo avversario, e le comparve cos? com'era sanguinoso davanti. La nobile signora, vedutolo in cotesto stato, con voce sdegnosa gli disse:

-- "Toglietevi dal mio cospetto; voi mi fate orrore."

Da quel giorno in poi Lelio non sembra pi? lo stesso: se intende profferire qualche motteggio, che nei tempi passati avrebbe fatto rientrare in gola con furia di colpi allo incauto parlatore, oggi dal comprimere forte che fa delle labbra, dal rossore che gli accende il viso fino alla radice dei capelli, ci accorgiamo come usi violenza a s? stesso per frenarsi, e sorride pi? dolce, e benignamente guarda. Nella persona va pi? composto di prima, e cura con diligenza maggiore la chioma biondissima, e la mondizie degli abiti; per? quel bel colore di amaranto, che sfumato gli rendeva cos? fiorite le guance, adesso ? impallidito; il volto ha pensoso, e gli occhi azzurri un poco rientrati sotto le sopracciglia. Ma non ? tutto ancora: Lelio si apparta spesso dai compagni, e sta mesto e taciturno a considerare lunga ora o un fiore, o un falco che gira con magnifiche ruote per lo emisfero, una nuvoletta che oscilla perplessa pel sereno celeste, come se i venticelli innamorati se la contendessero; e molto pi? spesso la sera, sopra il pend?o di un colle, con ambe le mani intrecciate davanti alle ginocchia, e la faccia elevata con intentissimo sguardo, contempla il sole che declina, e l'oro, e la porpora, e i doviziosi colori della madreperla e dell'iride, co' quali il potente padre della vita circonda il suo sepolcro momentaneo. Appena guarda il suo giannetto spagnuolo, che si affatica invano risvegliare lo inerte signore co' nitriti, e invano il levriere gli corre davanti, poi cuccia uno istante, gli torna incontro, fugge di nuovo a precipizio, gli abbaia intorno, lo guarda, gli lambisce le mani, gli salta addosso: Lelio placidamente co' cenni e con voce gl'impone starsi quieto, sicch? il povero animale, veduti riuscire inutili tutti i suoi accorgimenti, con gli orecchi bassi e con la coda dimessa si pone a giacere ai piedi del padrone: n? incontravano sorte migliore le armi, quantunque talora le afferrasse come mosso da subita smania, e le trattasse cos? smoderatamente, da venirne tutto molle di sudore, e sentirsi per alcun giorno prostrato di forze.

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