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Read Ebook: Isabella Orsini duchessa di Bracciano by Guerrazzi Francesco Domenico

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Ebook has 1349 lines and 115397 words, and 27 pages

Da quel giorno in poi Lelio non sembra pi? lo stesso: se intende profferire qualche motteggio, che nei tempi passati avrebbe fatto rientrare in gola con furia di colpi allo incauto parlatore, oggi dal comprimere forte che fa delle labbra, dal rossore che gli accende il viso fino alla radice dei capelli, ci accorgiamo come usi violenza a s? stesso per frenarsi, e sorride pi? dolce, e benignamente guarda. Nella persona va pi? composto di prima, e cura con diligenza maggiore la chioma biondissima, e la mondizie degli abiti; per? quel bel colore di amaranto, che sfumato gli rendeva cos? fiorite le guance, adesso ? impallidito; il volto ha pensoso, e gli occhi azzurri un poco rientrati sotto le sopracciglia. Ma non ? tutto ancora: Lelio si apparta spesso dai compagni, e sta mesto e taciturno a considerare lunga ora o un fiore, o un falco che gira con magnifiche ruote per lo emisfero, una nuvoletta che oscilla perplessa pel sereno celeste, come se i venticelli innamorati se la contendessero; e molto pi? spesso la sera, sopra il pend?o di un colle, con ambe le mani intrecciate davanti alle ginocchia, e la faccia elevata con intentissimo sguardo, contempla il sole che declina, e l'oro, e la porpora, e i doviziosi colori della madreperla e dell'iride, co' quali il potente padre della vita circonda il suo sepolcro momentaneo. Appena guarda il suo giannetto spagnuolo, che si affatica invano risvegliare lo inerte signore co' nitriti, e invano il levriere gli corre davanti, poi cuccia uno istante, gli torna incontro, fugge di nuovo a precipizio, gli abbaia intorno, lo guarda, gli lambisce le mani, gli salta addosso: Lelio placidamente co' cenni e con voce gl'impone starsi quieto, sicch? il povero animale, veduti riuscire inutili tutti i suoi accorgimenti, con gli orecchi bassi e con la coda dimessa si pone a giacere ai piedi del padrone: n? incontravano sorte migliore le armi, quantunque talora le afferrasse come mosso da subita smania, e le trattasse cos? smoderatamente, da venirne tutto molle di sudore, e sentirsi per alcun giorno prostrato di forze.

Madonna Isabella possedeva un volumetto delle rime di messer Francesco Petrarca che si toglieva quasi sempre a compagno delle sue passeggiate solitarie: quel libro disparve, ch? Lelio se lo era appropriato, e non si saziava mai di leggervi dentro.

Com'era avvenuta tanta mutazione nel giovane? -- Un giorno, mentr'egli tutto sprofondato nel libro si avvolgeva a sghembo pei sentieri del bosco di Cerreto, certe sollazzevoli giovanette della villa lo aspettarono in cima del viale nascoste dietro alle roveri, e gittandogli copia di viole nella faccia, gli dissero ridendo: -- "E' non sono occhi cotesti da logorarsi su i libri: ridi, e fa all'amore!" -- E un castaldo giovialone, che passava portando un paniere di uva sopra il capo, ridendo pi? forte favell?: -- "O voi s?, che ve ne intendete! o mira come ei sia innamorato fracido! Si avvicina il finimondo, le nostre ragazze non conoscono pi? amore."

E quando nelle notti serene madonna Isabella, aperti i balconi della sala, diffondeva pel bruno aere torrenti di armonia, cantando e sonando, sia che ripetesse numeri e poesie gi? composte, o sia che lasciandosi andare alla ispirazione che l'agitava, componesse allo improvviso i versi, e le note alle quali gli sposava, Lelio, come cosa inanimata, se ne stava gi? nel giardino appoggiato a un tronco di albero, o ad un piedestallo di statua, e beveva uno incanto fatale, reso pi? intenso dal tempo, dall'ora, dagli odorosi effluvii, che l'erbe ed i fiori spruzzati di rugiada tramandano, e dalla luce dolcissima che piove dal firmamento stellato; e tanto cotesta estasi rapiva fuori di s? il povero giovane, che chiusi i balconi, remossi i lumi, abbandonati tutti gli animali alla quiete che loro persuade la natura, egli solo rimaneva, immemore, sempre fisso nel luogo medesimo, finch? i primi raggi del sole ferendogli gli occhi non lo richiamassero agli ufficii consueti della vita.

E prima ch'io continui nel racconto di questo amore, mi giovi dichiarare quello che accennava qui sopra; voglio dire come non per finzione di poeta, ma con verit? di storico affermassi la Isabella duchessa di Bracciano dotta in comporre versi e prose e musiche non solo pensatamente, ma anche allo improvviso. N? qui restavano le virt? della inclita donna, che oltre la lingua materna favellava e scriveva speditamente gl'idiomi latino, francese, e spagnuolo; nelle arti del disegno intendeva quanto qualsivoglia pi? celebrato maestro; ed in ogni ornamento, che a perfetto gentiluomo si addice, e in ogni maniera di donnesca leggiadria cos? compita, da esserne reputata meritamente piuttosto maravigliosa, che rara. E tutte le cronache che ci sono capitate tra mano, le quali parlano di questa infelice principessa, quasi concordi adoperano le seguenti parole: -- <>? -- Beata lei, se tanti bei doni di natura, e tanto frutto di discipline gentili avesse saputo, o potuto adoperare a rendere avventurosa la sua vita, e la sua memoria immortale!

Lelio, quando gli veniva fatto, s'introduceva nella sala d'Isabella, e quivi, speculato bene che nessuno l'osservasse, prendeva gli strumenti sopra i quali le agili dita della sua signora avevano volato, e li baciava smanioso, al cuore se li accostava e alla testa, e di largo pianto bagnavali; e se rinveniva fogli dove Isabella avesse vergato qualche verso, leggeva e rileggeva, e poi provava a formare rime egli stesso; ma comunque l'anima gli traboccasse di poesia, non rispondeva la voce amica a significare tanto e bollentissimo affetto, n? forse sarebbe riuscito a cui per lungo studio si fosse esercitato nell'arte del dire: sicch? fremeva, seco medesimo si corrucciava, e finalmente concludeva cancellando con le lagrime quanto aveva scritto con lo inchiostro. Per? quel conforto, seppure possiamo considerarlo tale, gli venne meno: donna Isabella, trovando le sue polite carte imbrattate, n? le riuscendo rinvenire il colpevole, di ora in avanti le ripose con molta avvertenza.

Ma veramente, eccetto quel guasto dei fogli, donna Isabella non poteva desiderare paggio pi? assiduo e pi? diligente di Lelio: dai moti del volto, tanto ei la contemplava fisso, aveva appreso a conoscere i pi? riposti pensieri dell'animo di lei, n? gli faceva mestieri di altra dimostrazione per soddisfare alla sua signora; la quale assiduit? poi cresceva al punto, da comparire fastidiosa quante volte la Isabella conversava col signor Troilo, dacch? egli allora immaginasse mille trovati, o per entrare non chiamato nella stanza, o per non uscirne pi?. E siccome di rado avviene, che due creature che si odiino, o che divisino nuocersi, per quanto s'ingegnino celare gi? nel profondo il proponimento loro, a cagione di qualche indizio non se ne porgano scambievole avviso, cos? gli sguardi di Troilo e di Lelio s'incontravano acerbi come due spade nemiche; e quanto pi? Troilo si ostinava a guardarlo bieco, perch? o per reverenza per timore Lelio declinasse gli occhi, questi tanto pi? si ostinava a tenerglieli fitti nella fronte con espressione inenarrabile di rabbia: il senso delle poche parole che si ricambiavano conteneva sempre qualche cosa di amaro; amaro il suono della voce; amari gli atti, il portamento, ed i gesti.

Lelio, certo giorno, insinuatosi secondo il costume nella stanza d'Isabella, si era recato in mano il suo leuto, e facendo sembiante tasteggiarlo, prese a cantare una canzone, che pi? di ogni altra piaceva alla Isabella: non si attentava spiegare tutto il volume della sua voce limpidissima, trattenuto dalla reverenza del luogo, e perch?, ignaro di musica, l'aveva appresa a aria ripetendola chi sa quante volte; ma infervorandosi a poco a poco, cesse allo impeto che lo moveva, e di rado, o non mai, gli echi di cotesto sale risonarono di canto cos? poderoso. Sopraggiunse inosservata Isabella, e commossa a tanta dolcezza, si accost? pianamente, e quando Lelio ebbe terminato la canzone, gli pose una mano sopra i capelli, palpandoglieli per vezzo, ed esclam?:

-- "Chi ti ha insegnato cotesto, mio bel fanciullo?"

-- "Amore.... grandissimo, che mi ha preso per la musica."

-- "E tu, segui i consigli di cotesto amore, perocch? lo esercizio delle belle discipline affinando lo intelletto ingentilisca il cuore."

E siccome la duchessa gli teneva sempre la mano sul capo, Lelio con voce sofferente cos? se le raccomand?:

-- "Madonna..., per amore di Dio, io vi supplico di levarmi la vostra mano dal capo...."

-- "Doveva io non porvela mai...." risponde la duchessa con voce un cotal poco risentita; e la ritira a s? prestamente.

-- "O signora mia, abbiatemi misericordia, ch? ella mi ardeva il cervello."

-- "Io non vedo perch? la mia mano deva farvi ufficio della camicia di Nesso."

-- "Non lo so neppure io.... ma lo sento." E queste parole profferiva il fanciullo con voce s? tremula, cos? pietosa, che la duchessa gli accost? il palmo della destra alla fronte, e come atterrita riprese:

-- "Dio mio, come ti brucia! povero Lelio!... non vorrei che male lo prendesse.... Aim?! ti svieni! E qui non giunge nessuno per soccorrerlo.... Lelio! Lelio! Ahi, che mi muore fra le braccia! Vergine santa, aiutatelo voi!"

E Lelio fattosi bianco in volto come voto di cera, tutto madido di freddo sudore, chiuse le palpebre, abbandonava il capo sopra il seno di donna Isabella, che lo reggeva con ambedue le braccia; ma di l? in breve rinveniva, e aperte con un gran sospiro le palpebre, poich? riconobbe dov'era, e ramment? il modo e la cagione del suo venir meno, disse mestamente:

-- "Mi era parso morire -- oh! perch? non sono io morto davvero?"

Allora la duchessa si affaccend? a prendere certe sue acque stillate preziosissime, e gliene bagn? le tempie, comunque il giovane per reverenza ripugnasse.

-- "Lascia, lascia," diceva la duchessa; "io vo' farti da madre: gi? per et? potrei esserlo....... quasi.... e per amore..... di certo. Bisogna bene ch'io ti ami, perch? tua madre vera ? lontana, e non pu? aiutarti, povero figliuolo. Ma che cosa sono queste smanie? donde viene questo disperarti? Parlami, aprimi il tuo cuore intero: io mi sono accorta del tuo impallidire, del tuo struggerti, e vedo come ti tremi il braccio allorch? me lo porgi per salire a cavallo. -- Ami forse? Male accorto, non lo celare a me! Anch'io conobbi gli affanni dello amore e so compatirli. Tu, gentile come sei, non puoi avere posto i tuoi affetti in basso luogo, e se fosse troppo alto, oltre che non vi ha disuguaglianza che amore non uguagli, tu, e per natali incliti, e per censo, e molto pi? per bont?, mi sembri degno di qualunque pi? illustre parentado; e se io nulla valgo, ti prometto adoperarmi con tutte le forze per vederti contento."

Frattanto Lelio era ridivenuto sano come se non avesse avuto nulla; anzi, deposta ogni tristizia, si mostrava ridente, e le guance gli comparivano floride del colore della giovanezza, primavera della vita.

-- "Oh! s?, giusto," rispondeva con finta verecondia; "sanno eglino di coteste cose i fanciulli? sono pensieri da diciotto anni? Che cosa ? amore? un frutto, un'arme, uno sparviero? Ho inteso sempre dire che crescendo il giovane smagrisce, ma torna poi pi? rigoglioso di prima. Io, signora mia, mi sento cos? lieto, cos? bene disposto, che non mi riesce desiderare di pi?; e profferendovi con tutte le viscere quella merc?, che io posso maggiore, per la vostra piet?, mi raccomando affinch? vogliate continuarmi la benevolenza di madre che voi mi avete promessa, dandovi fede di gentiluomo, che io dal canto mio mi studier? sempre a non demeritarla giammai."

-- "Lo far?, Lelio," soggiunse quasi suo malgrado Isabella: "perch? io abbisogni pi? che non credi di persone che mi amino davvero.... Io, vedi, Lelio, sono misera, ma misera assai, e nessuno sopra questa terra mi ama; mi amava, e svisceratamente, il padre mio, ma mi ha lasciata. O padre mio, perch? mi hai lasciata cos? sola.... senza consiglio.... derelitta da tutti....?" -- E mentre in siffatto modo favellava, Lelio, posto un ginocchio a terra, e baciandole il lembo estremo della vesta, profferiva queste parole:

-- "Io faccio voto a Dio essere tutto vostro fino alla morte."

La duchessa, come quella che per necessit? e per uso sapeva padroneggiare i moti dell'animo, accorgendosi essersi lasciata andare pi? che a lei non convenisse, per distrarre s? e Lelio dai mesti pensieri e dagli eventi.

-- "Ors?," disse, "Lelio, io non voglio che vada perduto il tesoro della voce che ho in voi discoperto: io intendo che non dobbiate pi? cantare ad aria, e mi vi offerisco disposta a insegnarvi la musica. Se voi proseguite con la medesima prontezza con la quale avete incominciato, non passer? molto tempo che non troverete pari in corte del serenissimo mio fratello Francesco. Prendiamo la musica della canzone che avete cantato pur dianzi; io vi mostrer? le note, e i luoghi dove conviene alzare, dove abbassare la voce: il signore Giulio Caccini, musico romano, l'ha composta espressamente per me; ella ? piana, e soavissima per melodia...."

-- "Se avessi saputo prima, onoranda signora, di cui ella fosse opera, mi sarei guardato bene apprenderla a mente, e molto pi? cantarla."

-- "Perch? questo, Lelio? avete per avventura inimicizia col signor Giulio?"

-- "Io non ci ho cambiato mai parola; ma cotesto suo volto mi torna sinistro, mi pare che abbia tutto intero un collegio di Farisei dentro il cuore...."

-- "A me sembra l'opposto: con tutti ? amorevole e discreto; dolce parla, e dolce ride; io mi vi confesserei...."

-- "Ed io lo tengo per il pi? solenne traditore che mai sia stato da Giuda in poi. Notate cotesto suo riso: non sembra suo; io credo che lo abbia accattato da qualche rigattiere; in quelle sue manine vellutate non vedete le zampe del gatto, che ha ritirato gli ugn?li? A tutti raccomanda carit?, amore del prossimo, ma per amore suo, perch? non trova conto che la gente cerchi pel minuto, e dopo giusto esame metta i bianchi co' bianchi e i neri co' neri."

Ed Isabella sorridendo: -- "Non giudicate, Lelio, se non volete essere giudicato."

-- "Queste sono parole sante, che devono intendersi per filo e per segno, avvegnach? bisognerebbe in caso diverso rinnegare la esperienza e la vita. E poi io posso giudicare, perch? non repugno di essere giudicato."

E Lelio aveva ragione; e ne fu prova un fatto di sangue. -- Le cronache raccontano, come il capitano Francesco degli Antinori dovendo portare a Eleonora di Toledo, moglie di Piero dei Medici, una lettera amatoria del cavaliere Antonio suo fratello, per cagione di cotesto amore confinato a Portoferrajo, aspettato il destro che don Piero uscisse con la sua comitiva, salisse subito in Palazzo-Vecchio, recandosi alle stanze di donna Eleonora, la quale allora abitava quelle dipinte che riescono sopra la Piazza del grano, e subito chiedesse udienza al portiere: ma questi aveva ordine assoluto di non lasciare passare anima al mondo, per? che la signora si acconciasse la testa. Il capitano instava trattarsi di cosa importantissima: non badasse a cotesto ordine; gli concedesse passare, o almeno andasse ad avvisarne la signora. Il portiere, nato ed educato in Inspruck, non volle intendere ragione; la signora aveva ordinato che per lo spazio di un'ora non consentisse lo ingresso a persona, e finch? tutti i sessanta minuti non erano scorsi, nessuno doveva passare: e non ci era rimedio. Il capitano prese a passeggiare su e gi? per l'anticamera sbuffando; e venutogli presto a fastidio quell'oscillare a modo di pendolo da orologio, vide che anche il mansueto Caccini stava aspettando udienza: mutate seco lui alcune parole di cortesia, e sembrandogli tutto dolcezza, e per di pi? svisceratissimo della signora Eleonora, cui egli con aria di compunzione e con le lacrime agli occhi chiamava la sua adorata e virtuosa padrona, gli dette incautamente la lettera, raccomandandogli che per quanto amore portava a Dio, guardasse bene di non consegnarla altrui, se non se proprio nelle mani di donna Eleonora. Il musico, appena il capitano ebbe voltato le spalle, si nascose nel vuoto di una finestra dietro la tenda, e aperta la lettera perfidiosamente, conobbe quello di cui correva generale il sospetto, cio? gli amori del cavaliere con la principessa; laonde, nella speranza della buona mancia, ne and? difilato al granduca, ove domandato prima umile perdono dello avere aperta la lettera, scusandosi col dire che a ci? lo aveva condotto lo infinito amore che portava alla dignit? del graziosissimo e serenissimo suo signore e padrone, gliela ripose in mano. Il granduca leggendo si mut? in volto; ma, terminata che l'ebbe, con apparente pacatezza la ripieg? a bello agio, e dopo aversela messa nel seno, a voce cupa, com'era il suo costume, cos? ? fama che gli favellasse in brevi parole: -- "Musico, qui vedo quattro colpevoli: il cavaliere Antinori che scrisse, il capitano Antinori che port?, Eleonora che doveva ricevere, e te che apristi la lettera: va; ognuno avr? mercede secondo i meriti."

Isabella per eccellenza di naturale singolarissima femmina, e dai casi ardui della vita resa mesta, non diffidente, di subito soggiunse:

-- "Chiunque mi vuol bene, ha da smettere questi mali umori senza ragione: a mio parere, sono disonesti ed ingiusti, e per lo pi? palesano indole inchinevole alla tristizia. Tutti abbiamo diritto di essere giudicati a seconda delle opere: tu fa, Lelio mio, di avere sempre migliore l'animo della mente, e ti parr? la vita meno infelice che agli altri figliuoli di Adamo. Ora vieni, e impara la canzone di questo valoroso Romano. Come vuoi tu che l'uomo capace di concepire cos? dolci note, abbia dentro di s? un cuore malvagio?"

Vedi maniera di giudicare degli uomini!

La duchessa, recatasi in mano la carta della musica, e ordinato a Lelio male repugnante le sedesse a lato, incominci? a indicargli dove la voce avesse a posarsi, e come e dove scorrere distesa, o avvolgersi in gorgheggi melodiosi; insomma tutti gli accorgimenti del musico arguto. Ma Lelio badava assai pi? alle mani candidissime, che non alle note; pi? che alle mani, al volto angelico che si animava al canto; e rimasto estatico, non pure cessava dallo accompagnare la signora Isabella, ma egli era gran fatto se durava in lui l'alito vitale. Ed Isabella gli diceva: -- "Ma seguita." -- Ed egli, traendo a fatica un filo di voce, continuava per tacere un momento dopo; ed Isabella di nuovo: -- "A che ti stai?" -- E cos? alternavano i rimproveri e il silenzio. Lelio poi, come lo persuadeva l'amoroso desio, accostava il suo al volto della duchessa; onde avveniva sovente che qualcheduno degli anelli della chioma nerissima di lei, agitati dal moto della testa, gli toccassero la guancia: allora vedevi trepidare il fanciullo per tutte le membra, corruscargli gli occhi di luce maravigliosa e di lacrime; le labbra aride crisparglisi; pareva gioia, ed era dolore. E poi la guancia nel punto tocco dai capelli diventava ad un tratto vermiglia come se vi avessero applicato una piastra candente di metallo, e la volutt? che ne veniva al giovane paggio cos? lo agitava acre e convulsa, da non la potere sopportare; ma riavutosi alquanto, tornava alla prova, in quella guisa appunto che vediamo la farfalla condotta dallo istinto fatale ostinarsi ad aleggiare intorno alla fiaccola che la consuma. Cos?, nulla badando al tempo che fuggiva, dimorarono lungamente i nostri personaggi; finch? la duchessa, levando a caso gli occhi, vide starle davanti messere Troilo Orsino.

Troilo dalla pallida fronte. -- I suoi occhi sotto le ciglia nere ed irsute sfolgoravano come quelli del milvio intenti alla preda. La destra teneva dentro la sopra-veste di velluto nero, con la sinistra sopra il fianco reggeva il cappello a larghe falde ornato di piume nere, immobile cos?, che lo avresti creduto inanimato. Isabella senza sospetto al mondo sostenne cotesto sguardo sinistro, e non lo bad?; e con modi facili disse

-- "Benvenuto, messere Troilo, prendete parte nelle mie contentezze: ecco che io ho scoperto in questo dabben giovane una nuova virt?; canta come un angiolo, ed io mi propongo coltivargliela, finch? arrivi alla eccellenza; onde tornato a casa, sua madre ne abbia gioia, ed egli sia la delizia delle gentildonne di Fermo."

E Troilo:

-- "Voi rinnoverete la ingiustizia di Amerigo Vespuccio, dacch? io prima assai di voi aveva scoperto che cotesto fanciullo col debito governo sarebbe riuscito, pi? che altro, musico maraviglioso."

Sent? Lelio l'acerba e disonesta puntura, e divamp? per la faccia; pur tacque.

-- "Signora duchessa," proseguiva Troilo "io ho da parlarvi di cose che non sono senza rilievo: piacciavi concedermi ascolto. -- Paggio, prendete; riponete nella mia stanza, e avvertite di non comparirci davanti prima della chiamata."

-- "Salvo il vostro onore, messere Troilo, io m'intrattengo qui ai servigi della clarissima duchessa mia signora; epper?, ove a lei non piaccia diversamente, pregovi a t?rre in pace s'io di qui non mi rimuovo."

Questa volta tocc? a Troilo farsi rosso; e gi? muoveva le labbra a qualche acerba risposta, quando Isabella interpostasi prestamente cos? favell?:

-- "Lelio, obbedite a messere Troilo."

E Lelio, presa spada, guanti e cappello, inchinatosi prima in atto di ossequio, s'incamminava lentamente verso la porta.

-- "Paggio!" gli grid? dietro l'Orsini, "fate di sostenere la mia spada con ambedue le mani; ? pesa, e potrebbe cadervi."

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