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Read Ebook: Memorie di un vecchio carbonaro ravegnano by Casini Tommaso Annotator Uccellini Primo

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Ebook has 1000 lines and 92316 words, and 20 pages

Ravenna, stabilimento tip. di G. Angeletti, 1865, in-8?, pp. 16.

MEMORIE

DI UN VECCHIO CARBONARO RAVEGNANO

O piccole o grandi le memorie patrie ? dovere il conoscerle, perch? nel passato ? gran parte del nostro avvenire.

N. TOMMASEO.

Nacqui nel 9 gennaro 1804, quando la Francia, sottrattasi gi? dall'assolutismo dei Borboni, reggevasi in repubblica e faceva prevalere pure in Italia i principi che essa aveva adottati; sicch? m'inspirai per tempo a sensi liberali.

Mio padre, conosciuto per l'amenit? del suo carattere e per l'originale gaiezza del suo umore, esercitava con somma maestria l'arte di tipografo; ed essendo di mente aperta pervenne ad arricchirsi di quelle cognizioni, che non ebbe agio d'acquistare nelle scuole. Di umore allegro dilettavasi di compor versi, che destavano lunghe risate nelle comitive, e molti ne corrono ancora per la bocca del volgo. Fervido partigiano della Francia, fu compreso tra i liberali condotti alle Bocche di Cattaro dopo i successi degli alleati in Italia; ma la battaglia di Marengo li salv? tutti da certa ruina. In seguito ebbe a soffrire alcune vessazioni a causa dell'atterramento delle Croci, operato da' Giacobini, al quale prese parte. Ma, caduto l'Impero, attese con zelo all'ufficio di commesso, conseguito nel Municipio.

Premuroso di iniziarmi presto negli studi mi assegn? per maestro un certo Coatti di Argenta che aveva nome di dotto. Ma alla fin dei conti il suo merito maggiore consisteva nell'imprimere sopra cartaccia imagini di sant'Antonio, colle quali ci carpiva una parte della colazione e della merenda. In seguito fui preso in casa da un certo Zavaresi, prete di qualche intelligenza, ma manesco all'ultimo segno; e non stava un minuto senza adoperare il nerbo.

Finalmente m'introdussero nelle scuole del Collegio come alunno estero. Allora presi alquanto gusto negli studi, e nella cattedra di diritto civile e canonico, diretta con somma lode dal professore avvocato Zalamella, conseguii il 2? premio. Ma il povero mio padre col peso di numerosa prole, e di continuo afflitto da malattie, non era pi? in grado a sostenere le spese degli iniziati studi di legge, specialmente quelle che occorrevano per la provvista dei libri, e m'indusse ad abbandonarli, per darmi alla carriera degli impieghi.

Incline a far versi ne tirava gi? d'ogni colore sempre sullo stesso soggetto, <>, e ci? mi diede nome fra i miei colleghi, che pensarono senza ritardo d'introdurmi nella Speranza.

Una riunione preparatoria si tenne dapprima con altri neofiti nella bottega del barbiere Medri; poi, tre sere dopo, accompagnato da chi mi propose all'ammissione, fui condotto nel Borgo Adriano in casa di Luigi Ghetti, ove stavasi adunata la presidenza della Carboneria. Appena entrato fui da ignota mano bendato, e, in seguito di alcune parole scambiate tra il proponente e chi guardava al di dentro l'adito della stanza in cui risiedeva il consesso, venni introdotto. Una voce imponente mi diresse varie interrogazioni, e quando ebbi data parola di esser pronto a tutto sacrificare pel bene della patria, e di concorrere energicamente alla depressione della tirannia, mi si fece porre la mano sopra un nudo pugnale e sul medesimo pronunciai il giuramento prescritto. Dopo di che mi si tolse la benda, e mi vidi attorniato da una siepe di pugnali. Allora il vecchio Andrea Garavini, che dirigeva la seduta, mi disse ad alta voce: <> Tosto mi venne indicata la squadra a cui apparteneva, comunicati i motti d'ordine che giovavano ad intendersi, e data ogni altra istruzione necessaria. Appena inscritto nel ruolo, ebbi ordine di provvedermi di un paio di scarpe da munizione, di un sacco militare; v'era chi ne fabbricava per conto della Societ?.

Certamente il Governo ignorava ci? che era a tutti palese: il crescere ed estendersi del partito che lo voleva abbattere; ma il fatto ? che rimase inerte ben sapendo che ogni ramo della pubblica amministrazione stava nelle mani della Carboneria, la quale avrebbe saputo rendere inefficace qualunque ordine contro di essa emanato, e sapendosi che l'Italia contava da 300 mila carbonari. Ma si scosse terribilmente quando pot? avere un punto d'appoggio sullo straniero, come vedremo in seguito.

Intanto gli agenti della forza, se capitavano in una bettola ove stavano carbonari, si univano ad essi, e col bicchier in mano cantavano in coro:

Uniti e concordi Scacciam lo straniero, Ognun sia guerriero, Sia pronto a pugnar.

Dall'Alpi scoscese All'Etna infocato Sia tutto uno Stato, Un popolo sol.

Uno dei gravi difetti degl'Italiani, e dei Romagnoli specialmente, quello si ? di darsi ad una smodata gioia in aspettativa di qualche lieto evento e di perdersi in feste e in divertimenti sempre di distrazione dagli assunti intenti. Vi sono ancora dei vecchi che ricordano le strepitose e dispendiose feste date nell'incontro della serata di una certa Morandi, prima donna in quei giorni nel nostro Teatro comunale: fu, ? vero, una dimostrazione politica, perch? i liberali la consideravano come il simbolo della libert? nazionale; ma la dimostrazione era fuor di proposito, e denari non pochi si dispersero senza frutto.

Il movimento appressavasi sempre di pi?, e seppi che si doveva iniziare nel regno di Napoli, ove stava il nerbo della Carboneria e dove la truppa era in pieno d'accordo coi capi delle s?tte. Quando gli Austriaci si fossero mossi contro Napoli, tutto il centro d'Italia, gi? pronto alla riscossa, doveva gettarsi sugl'invasori e contrastar loro il passaggio. Il Piemonte pure doveva insorgere. Ma un ordine spedito dall'Alta Vendita di Bologna, a quanto mi fu detto, dispose che si lasciassero passare gli Austriaci senza molestarli e che solamente al loro ritorno venissero da ogni parte assaliti. Liberi da ogni molestia, essi giunsero freschi ed intatti alla loro destinazione e dispersero senza stento le falangi patriottiche. E chi poteva seguire l'ordine di Bologna, quando trionfanti e pettoruti col mirto al cimiero retrocederono dalla loro impresa?

In quale agitazione fosse il paese ognuno lo pu? da s? arguire. Per? i carbonari, scampati dai rigori del cardinal Legato, non si perderono d'animo; anzi riordinarono in breve con maggior prudenza le loro squadre e si posero in condizione di sventare le sue mire. Quello che pi? premeva era di frenare la prepotenza e l'insolenza degli sbirri e dei gendarmi divenuti insopportabili.

Appena giunto a Ravenna con scorte di dragoni a cavallo, di cacciatori a piedi e di missionari--che bell'amalgama!--ordin? che si chiudessero gli spacc? di vino ed impose ad ogni cittadino che girasse di notte di munirsi di un lume acceso. Il paese mostr? subito con satire di ogni genere in qual concetto teneva tali provvedimenti. <> La lanterna divenne presto un sollazzo; se ne fecero di carta a tre colori nazionali, e si offerse una continua dimostrazione politica. In tutto ci? che il Rivarola faceva, nulla appariva che dovesse essere il rigeneratore delle Romagne. Ma i missionari? ecco il punto importante del dramma. Appena giunti, eressero nel mezzo del Duomo un gran paretaio, ove con ogni artificio di parole eccitavano i fedeli ad accostarsi al sacramento della penitenza; specialmente <>. N? bastavano le eccitazioni verbali. Il cardinale faceva percorrere in ogni strada pattuglie di dragoni, che imponevano la chiusura dei negoz?, ed agenti di polizia, che spingevano i ragazzi alle missioni; ci? che irritava anche i bigotti, perch? dicevano non doversi sforzare chicchessia in atti di religione. Io assistei per curiosit? ad una predica, e specialmente ad un dialogo tra il dotto e l'ignorante; e posso dire che trovai pi? di buon senso in una commedia di burattini che in simili dialoghi, e previdi sin d'allora un tristo successo. Intanto per favorire il concorso dei penitenti tenevasi aperta ogni sera nel palazzo arcivescovile sino ad ora tarda la cappella di San Grisologo, in cui erano confessionali ben disposti. ? fuor di dubbio che lo scopo dei missionari era quello di penetrare col mezzo della confessione ne' pi? reconditi segreti della Carboneria; come ? pur fuor di dubbio che il Rivarola mostr? all'arcivescovo Codronchi con lettera riservata il vivo desiderio che coadiuvasse all'opera dei missionari: ma l'aver lasciato cadere la lettera nelle mani del suo agente Zotti, il di cui figlio Giovanni, addetto alla s?tta, ebbe della medesima conoscenza, dimostra che il Codronchi non intendeva di soddisfare al desiderio espresso dal Legato, contrario ai principi di un degno cittadino e di un onesto sacerdote.

Inesprimibile fu l'avversione che concepi il Rivarola contro Codronchi. Essendo questi caduto ammalato, la Magistratura ordin? a spese pubbliche un triduo nella cappella del palazzo comunale; ma il Rivarola siccome era tempo di carnevale insisteva perch? nella sala contigua si aprissero durante il triduo feste da ballo. Ma la Magistratura fu abbastanza savia per non aderire alla volont? del Legato, che agiva solo per rabbia e dispetto, con scandalo del paese. Infine, stanco il Codronchi dei dispiaceri che gli venivano dal Legato, rinunci? all'arcivescovado. Ma il paese, memore sempre dei sommi benefic? da lui ricevuti, indusse la Magistratura a recarsi subito a Roma presso il sovrano, onde non accogliesse la data rinuncia, ed il v?to del paese fu compiuto. I missionari pure vollero esprimere il loro malumore al Codronchi, lasciandogli un foglio di ricordi pieno di insulti e di minacce.

Il Rivarola aveva l'incarico non solo di purgare le Romagne dalle sette, ma quello pur anche di dar termine ai processi politici iniziati nel 1821 dal Rusconi. Questi processi furono confezionati nelle tenebre, da persone scelte fra le pi? avverse ai princip? liberali, senza che fossero ammesse prove a favore degli imputati; senza difesa insomma e senza tutte le formalit? e garanzie che la legge esige: processi creati a seconda il sistema inquisitoriale che non ammette che due estremi, accusa e condanna. Il Rivarola sulla relazione dei giudici processanti da lui scelti, invocato con solennit? il nome di Dio, quando invece era da invocarsi quello del diavolo, pronunzi? il 31 luglio 1825 inappellabile sentenza sopra 508 cittadini di ogni rango e condizione, condannandone alcuni alla morte, var? alla galera, non pochi alla detenzione per diverso tempo, e sottomettendo moltissimi ad un precetto che, togliendo quella libert? di azione che ? ad ognuno necessaria per reggere i propri affari, era oltremodo pregiudicevole. Il Rivarola fu sollecito di far commutare la pena di morte in quella di galera o di accorciare il tempo delle pene agli altri inflitte. Non per questo l'atto da lui emanato cess? di essere una mostruosit?, un atto d'ingiustizia, di cui non si trova esempio nella storia dei tempi pi? barbari. Chi potrebbe calcolare i danni che produsse quell'atto nelle famiglie da esso colpite? Il malanimo fu intenso, persino nelle persone affezionate al Governo; onde non ? da stupire se si formarono complotti contro la vita del Legato. Gi? altri tentativi eransi fatti in questo senso, ma senza successo. Infine si risolse di assalirlo di fronte, come fece Louvel contro il duca di Berry. Il giorno destinato all'ardita operazione fu il 23 luglio , giorno sacro a sant'Apollinare, protettore di Ravenna, la quale in tale fausto incontro offriva nella sera della festa un'accademia di suono e di canto nella sala del Teatro, ove l'istituto era eretto, ed alla quale doveva intervenire il Legato; e si stabil? di assalirlo nell'istante che ritornava al palazzo. Ma non si trattenne che poco; e quando usc?, gli accessi della sala rigurgitavano di gente ivi raccolta per intendere la musica: onde convenne rinunziare al colpo, e i cospiratori seguirono la carrozza, che lo trasport? nel Corso in casa di Gabriele Rasponi. A chi stava l'eseguire l'operazione, si pose in agguato nell'angolo pi? oscuro del portone di casa Loreta, ora di Clemente Triossi, la quale viene ad essere dirimpetto a quella di Rasponi, ed ivi attese impavido il momento opportuno. Quando il Legato si mosse alla partenza, scesero sulla porta i servitori di casa con torcie accese, il comandante di piazza che era presso il Rasponi e l'ordinanza del medesimo, con altri inservienti. Chi stava in agguato corse allo sportello opposto a quello in cui il Legato doveva ascendere, contro il primo che pose piede in carrozza esplose un colpo di pistola, ritenendo che fosse il Legato; ma invece era il di lui segretario, il canonico Muti. L'ordinanza del comandante di piazza corse dietro a colui che vide fuggire; ma presto lo perd? di mira. Il canonico rest? gravemente ferito e venne ricondotto in casa Rasponi; si ? sempre detto che la di lui morte avvenuta pi? tardi fosse l'affetto di quella ferita. Si preg? pure il cardinale a non muoversi per timore di un altro assalto; ma volle partire ad ogni costo. Mi ricordo che io passeggiava nella piazza col tenente di guardia, quando s'intese venir con impeto insolito il legno del Legato; del che il tenente sorpreso corse al suo posto, e si permise di chiedere: <>--<>, rispose; e scese nel suo appartamento, nella di cui cappella or? tutta la notte, facendo v?to di erigere un altare nel Suffragio per l'ottenuto scampo. Fu in breve richiamato in Roma, ove gli fu conferita l'alta dignit? di prefetto delle acque: cos? il Mongibello tuffato nelle acque non pot? pi? vomitar fiamme.

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