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Read Ebook: Storie da ridere.... e da piangere by Morselli Ercole Luigi

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Ebook has 923 lines and 41274 words, and 19 pages

Storie da ridere.... e da piangere

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Storie da ridere.... e da piangere.

DEL MEDESIMO AUTORE

E. L. MORSELLI

STORIE DA RIDERE....

E DA PIANGERE

NOVELLE

MILANO

PROPRIET? LETTERARIA.

Tip. Fratelli Treves, 1919.

INDICE

Dove pu? rifugiarsi la felicit?!...

Eppure ho veduto poca gente pi? felice di quella.

Poich? quella sciagura delle braccia doveva aver anche richiamato sulla singolare coppia una nuova luna di miele, anzi addirittura un plenilunio di miele.

Una volta il mio ebreo polacco colse, non visto, quest'altro brano di idillio.

Dal modo come Otello aveva guardato la sua cicciuta Desdemona, si capiva bene che da tempo immemorabile non aveva pensato ad una simile possibilit?, tuttavia bestemmi? torvamente per dare una intonazione terribile alla sua prossima risposta; e finalmente disse: -- Adesso ti mangerei tutta, come un lupo.

-- Ah! sempre lui, il mio Otellino! -- aveva strillato la donna, -- quanto mi piaci! -- E gli aveva appiccicato due improvvisi baci sugli occhi ancora minacciosi, s? che lui aveva dovuto chiuderli e ridere.

Cos? erano arrivati a Buenos Aires. E prima ancora che egli avesse trovato quella tale osteria da rilevare, che facesse al caso suo, gli s'eran messi d'intorno, per naturale gravitazione, cinque o sei storpiati, come lui, non dalla natura, ma dalle pi? svariate applicazioni meccaniche del genio umano. Questi erano tutti pensionati delle ferrovie, delle compagnie di navigazione, delle assicurazioni, delle societ? di mutuo soccorso; e cos? non avevano preoccupazione maggiore di quella del buon vino, e gli promisero di strascinarsi dietro tutti gli storpi della capitale, purch? il vino fosse sincero e l'osteria fosse in qualche modo intitolata a loro.

L'aveva sempre passata liscia: non gli era mai toccato nessun incontro; ma in ogni caso, da che aveva perduto le braccia, da buon filosofo che egli era, aveva riposto una fiducia illimitata nella potenza delle sue gambe, e soleva dire: -- Io non ho paura: con un calcio ne stendo in terra quattro!

Arrivava la mattina verso le dieci sopra una comoda poltrona triciclo messa in moto dalle sue braccia, sempre ben vestito, benissimo pettinato, coi baffi irreprensibilmente arricciati e profumati alla violetta, la barba rasata sempre di fresco; dimostrava meno dei trent'anni che aveva, nonostante le proporzioni erculee del suo collo, del suo petto e dei suoi polsi.

La tavola dove si metteva lui in cinque minuti si riempiva di gente. Ne raccontava di storie buffe! Era stato atleta in un circo equestre per dieci anni e aveva visto tanto mondo; e poi faceva certi giuochi di prestigio da rimanere a bocca aperta. Le gambe glie le avevano, niente di meno, mangiate i pesci cani. In mezzo all'Oceano si era gettato in mare dal piroscafo per salvare la figlia di un banchiere italiano che s'era voluta uccidere. Era riuscito miracolosamente a salvare la ragazza, ma lui era stato issato a bordo che pareva una botte sfondata da tanto sangue buttava. Il banchiere l'aveva assistito come un padre. Appena giunti a Buenos Aires gli aveva comprato quella magnifica poltrona triciclo e gli aveva assegnato un mensile vitalizio che gli permetteva di bere vino in bottiglie e giocare ogni sera delle vere sommette. Questo gioco della sera attirava ogni sorta di gente quattrinaia nell'osteria di Otello, e le bottiglie pi? vecchie si vuotavano a dozzine; e Otello, il cui fiuto finanziario non fallava, se gli avessero ridato le due braccia per portargli via Peppino, avrebbe risposto: No!

Ci rivoltammo; l'interlocutore era sconosciuto a tutti: un basso spagnolo con un lungo soprabito giallo tutto sbrindellato, un largo cappello di paglia annerito dalle intemperie, i piedi calzati stranamente di rosa, piantati con gran fierezza dentro due scarpe di corda. Stava ritto dietro Peppino, con la sigaretta in bocca e le mani in tasca.

-- Non pu? essere! -- ripet? col suo pretto accento madrileno -- io sono dell'arte, sono atleta anch'io, atleta girovago perch? si sa pur troppo che nel mondo vale la fortuna e non il merito, ma sono uno dei pi? forti atleti che abbia oggi la Spagna e si sa che la Spagna ? la patria dei pi? forti atleti del mondo. Ebbene, io posso garantire, che n? io n? nessun altro atleta spagnolo pu? fare un esperimento di questo genere!

Peppino lo guardava pi? tranquillo di noi, senza ombra di risentimento. Quando ebbe finito, gli disse:

-- Qual ? il peso pi? grosso che alzi?

-- Il mio peso da un quintale verificato e bollato in dodici concorsi, col quale ho guadagnato le dodici medaglie d'oro d'argento e di bronzo che loro possono ammirare sul mio petto!

E cos? dicendo lo spagnolo si sbotton? con una sola stratta tutta la sua pelandrana e ci si mostr? in maglia rosa e brachette di raso viola, col petto trasformato in un vero medagliere.

-- E dove ce l'hai questo peso? -- domand? Peppino.

-- Nella mia carrozza! -- esclam? lo spagnolo presentandoci con un gesto solenne un orribile carretto a due ruote carico di ogni ben di Dio, cui era attaccato un cavalluccio tutto pelo e ossi.

-- Portalo qua.

Lo spagnolo si lev? la palandrana, estrasse dal carretto due enormi palle infilate ai capi d'una grossa sbarra di ferro, e venne tentennante ma sorridente a gettarle ai nostri piedi, facendoci balzare tutti sulle sedie per il contraccolpo.

-- Fammelo assaggiare, -- disse Peppino; e chinandosi sul suo triciclo, e con la destra afferrato nel giusto mezzo il peso, lo tenne per un momento sollevato, con una facilit? che preoccup? visibilmente lo spagnolo.

-- Se, cos? come son ridotto, senza gambe, t'alzassi questo peso e te seduto sopra, tutto di forza, senza spinta, perch? ho le spalle appoggiate, ci crederesti allora a quello che ho raccontato?

-- Allora s?! -- rispose lo spagnolo sorridendo incredulo.

Peppino si lev? la giacchetta e la dette in custodia ad un ammiratore vicino, poi si lev? anche la camicia e mise al nudo un torso candido e gigantesco come quello di Ercole.

-- Che bellezza di bracci, per Diana!

-- ? un pezzo che non vi sentite stringere la vita! -- grid? Peppino, ridendo con tutti i denti. -- Dite la verit? che n'avete voglia d'una strettarella, eh birbacciona? -- E aprendo le braccia: -- Volete favorire? Io ci sto di core!

-- Su! Su! la gran prova! -- dicevano gli amici di Peppino.

E Peppino allora mise in tensione tutti i suoi muscoli e tenendo le braccia piegate contro il petto disse: -- Avanti! mettetemi il manubrio qua sulle mani.

Glie lo alzammo in quattro e glie lo mettemmo come aveva detto. Le sue braccia non cedettero d'un centimetro, ma il triciclo ne parve sconfortatissimo.

-- Niente paura; cigola, ma non si rompe, -- disse Peppino ridendo. -- Qua a sedere, signor spagnolo, e attento all'equilibrio!

Mentre lo spagnolo sal? e si sedette agilmente sul lungo manubrio di ferro, il pianto del triciclo raddoppi?, ma le braccia di Peppino stettero salde come di ferro massiccio.

E l'ascensione del peso, con relativo atleta spagnolo, incominci? subito lenta e sicura. Lo sforzo era gigantesco: gli occhi bianchi di Peppino sembravano galleggiare nel sangue: l'Eracle di marmo in riposo s'era trasformato in un Eracle di porfido sollevante Anteo.

Ad un tratto, quando gi? la vittoria era sicura ecco si ode uno schianto secco e si vede il nostro Peppino abbassarsi di un palmo contro terra mentre lo spagnolo si getta impaurito sulle nostre spalle. Il mozzo d'una ruota del triciclo aveva ceduto. Lo spagnolo riprese prontamente dalle mani di Peppino il suo peso e, poggiatolo in terra per ritto, e impugnatone il manubrio a mo' di lancia, volle stringere la mano di Peppino dicendogli solennemente: -- Collega, ora credo a tutto quello che hai raccontato e che racconterai: saresti degno di misurarti col mio glorioso maestro Santiago Machacapulgas! e pi? non si pu? dire!

Ma aim?! avevamo fatto i conti senza l'oste.... il quale in quel momento, non visto da nessuno, era sopraggiunto di ritorno dalla sua operazione finanziaria; senza dir verbo aveva sfondato come un ariete il nostro cerchio plaudente, e, con pronta decisione, cacciava avanti uno dei suoi vasti piedi, dirigendolo sulle due teste colpevoli.

Fu un lampo. Il piede arriv? a destinazione.

Il faccione imperturbabile e ancora ridente di Peppino dimostrava apertamente il suo tranquillo piano di battaglia. Sembrava dire: Per conto mio, non ti lascio il piede sino a che non ti son passati i bollori.

Invece la faccia grifagna di Otello dimostrava un farraginoso rimugin?o interno, in cui tutti i pi? inverosimili disegni di difesa e di offesa venivano volta a volta accolti e scartati. Ma il piano del gran Peppino non era sbagliato: a lungo andare, quella forzata posizione cicognesca non poteva non ricondurre nell'animo di Otello quella serena e profonda filosofia che gli aveva sempre appianato ogni scabrosit? della vita.

-- Ti vien da ridere, di' la verit?, Otello! -- gli disse Peppino.

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