bell notificationshomepageloginedit profileclubsdmBox

Read Ebook: Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo v. 07 (of 16) by Sismondi J C L Simonde De Jean Charles L Onard Simonde

More about this book

Font size:

Background color:

Text color:

Add to tbrJar First Page Next Page Prev Page

Ebook has 439 lines and 114679 words, and 9 pages

Giovanni Paleologo, oppresso dalle armate di Amurat, aveva perduto Adrianopoli e la Romania, e, rinserrato nella sua capitale, temeva ogni giorno d'esserne scacciato, quando risolse di venire ad implorare contro i Turchi i soccorsi degli Occidentali. Abbjur? per la seconda volta lo scisma de' Greci; fu ammesso a baciare i piedi al papa; condusse la di lui mula per la briglia come aveva fatto Carlo IV, e divise gli onori e le umiliazioni degl'imperatori d'Occidente. Ma niun altro frutto raccolse dal suo abbassamento, che inutili bolle e vane raccomandazioni. Il re di Francia, sebbene eccitato in suo favore dal papa, non pot? accordargli verun soccorso; e quando il Paleologo, senza danaro e senza soldati, part? alla volta de' suoi stati venne per debiti imprigionato a Venezia. Andronico, il maggiore de' suoi figliuoli, ricus? d'impiegare una parte delle pubbliche entrate per liberarlo, ed il secondogenito, Emmanuele, non lo rese libero che costituendosi prigioniero in sua vece.

Urbano V aveva ottenuti pi? importanti vantaggi che non sono quelli d'abbassare i due imperatori ai suoi piedi. Durante la sua dimora di tre anni a Roma, a Viterbo, e a Montefiascone, ottenne, ci? che non osava sperare, di ridurre sotto il suo dominio tutto il patrimonio di san Pietro. La sola repubblica di Perugia erasi conservata indipendente in mezzo ai feudatarj della chiesa; Urbano risolse di forzarla a sottomettersi, e dopo una resistenza alquanto lunga, in ultimo i Perugini riconobbero la suprema signoria del papa, e chiesero per i loro priori il titolo di vicarj della santa sede.

Era questa citt? assediata da Giovanni Malatacca, di Reggio di Calabria. Questo capitano de' Fiorentini sembrava in sul punto di ridurre Samminiato, quando la signoria, che desiderava di terminare prontamente la guerra, gli ordin? di dare battaglia all'Acuto, ch'erasi innoltrato fino a Cascina. Il generale fiorentino ubbid? di mal animo, e fu battuto e fatto prigioniero con molti de' suoi migliori ufficiali. Fortunatamente aveva lasciato avanti a Samminiato Roberto, conte di Battifolle, con parte dell'armata. Questi, durante l'assenza del suo generale, guadagn? col danaro uno degli assediati, la di cui casa era appoggiata alle mura, e di concerto con lui vi pratic? una breccia, per la quale introdusse le truppe fiorentine il 3 gennajo del 1370.

Il papa si felicitava di vedere finalmente i Fiorentini impegnati con lui nella guerra contro il Visconti. Allorch? era stata conchiusa la nuova alleanza aveva spediti due legati a Barnab? per portargli una bolla di scomunica; era questa il segno delle ostilit? che in breve ricominciavano. Barnab? ud? con apparente calma il messaggio di cui erano incaricati il cardinale di Belforte e l'abate di Farfa; li condusse poi fino sul ponte del naviglio in mezzo di Milano: <> e perch? i legati sorpresi non rispondevano; <> I legati guardarono all'intorno, e si videro circondati dalle guardie del tiranno e da un popolo nemico; osservarono il fiume sopra cui si trovavano, ed uno di loro rispose: <> <> In vano i legati riclamarono contro la violazione del doppio loro carattere d'ambasciatori e di ecclesiastici, dovettero sottomettersi, ed eseguire l'ordine del tiranno sotto gli occhi delle sue guardie e di tutto il popolo.

Urbano V pens? meno a vendicarsi di tanta offesa che ad allontanarsi da un paese, ove trovavasi impegnato in una continua lotta. Egli regnava, gli ? vero, in Italia, ma regnando sospirava il riposo e la sicurezza d'Avignone. Tutta la sua corte lo andava continuamente sollecitando a tornare in Provenza; la sua stessa coscienza gliene faceva un dovere, perch? suppose di potere riconciliare i re di Francia e d'Inghilterra, tra i quali era ricominciata la guerra. Torn? dunque per mare in Avignone nel settembre del 1370; ma vi era da poco giunto quando cadde gravemente infermo, ed il 19 dicembre dello stesso anno mor? compianto da tutta la cristianit?. Molti fedeli in lui vedevano non solo un virtuoso pontefice, ed un buon sovrano, ma ancora un santo, dotato del dono dei miracoli.

I Fiorentini avevano mandato Manno Donati, uno de' loro compatriotti, a Bologna, con ottocento cavalli, per attaccare i Visconti in Lombardia; in pari tempo avevano chiamato Ridolfo di Varano, signore di Camerino, per comandare le truppe che opponevano in Toscana a Giovanni Acuto.

Questo generale di Barnab?, dopo avere fatto con infelice esito un tentativo sopra Lucca, erasi avvicinato a Pisa con Giovanni Agnello, il deposto doge, e coi Raspanti fuorusciti. Nella notte del 20 al 21 maggio ottanta de' suoi soldati, diedero la scalata alle mura, e sorpresero la prima guardia senza lasciarle tempo di dare l'allarme; ma un ufficiale dei Gambacorti scopr? gl'Inglesi, che salivano in silenzio sulle loro scale tinte di colore oscuro. Fece suonare campana a martello, ed i Pisani corsero alle armi con tanta celerit? e coraggio, che rovesciarono nella fossa o fecero prigionieri i nemici, che di gi? occupavano la muraglia. Pietro Gambacorti, che si distinse in quest'occasione, fu da' suoi riconoscenti concittadini nominato capitano generale e difensore del comune, coll'autorit? ch'ebbe altra volta il conte Fazio della Gherardesca. Dopo tale epoca il Gambacorti fu il capo costituzionale della repubblica.

Acuto dopo ci? condusse la sua armata nelle Maremme. Saccheggi? il castello di Livorno, e guast? parte del territorio pisano. I Fiorentini fecero avanzare contro di lui l'armata della lega, che avevano richiamata in Toscana per opporla a questo generale, e gli mandarono il guanto della sfida; ma egli non giudic? a proposito di accettarlo. Si ritir? da prima nella valle del Serchio, nello stato lucchese, indi prese la strada della Lombardia, passando per Pietra Santa e per Sarzana.

Verso lo stesso tempo un'altra armata di Barnab?, che assediava Reggio, fu obbligata a ritirarsi. I confederati in tali circostanze ricevettero la notizia della morte d'Urbano V, per lo che risolsero di non ispinger pi? oltre i loro vantaggi, ma di dare orecchio alle proposizioni d'accomodamento che loro facevano i Visconti; la pace fu ben tosto conchiusa, e con questa venne mantenuto ognuno ne' possedimenti che aveva.

Questa breve guerra, non illustrata da veruna importante azione, ebbe non pertanto il vantaggio d'unire in una sola lega tre repubbliche lungo tempo rivali, Firenze, Pisa e Lucca. Il risultato della loro alleanza doveva essere quello di dare a Firenze la direzione di tutte le forze della Toscana; perciocch? questa citt?, superiore in potenza a tutte le altre, era in oltre la sola la di cui prosperit? non fosse stata turbata negli ultimi anni; ella aveva date prove di saviezza e di energia; e le rivoluzioni de' vicini stati avevano fatto conoscere i talenti degli uomini che dirigevano i suoi consigli. Tra questi si distinguevano particolarmente Pietro degli Albizzi, Lapo da Castiglionchio e Carlo Strozzi. Tutti tre appartenevano alla fazione, che fino dal 1357 faceva servire l'autorit? de' capitani del partito guelfo, e le procedure dell'ammonizione ad allontanare i loro avversarj dal governo. Uguccione dei Ricci, capo d'una famiglia gelosa degli Albizzi, e ben conosciuto per Guelfo, era stato l'inventore di queste parziali leggi. Credevansi gli Albizzi usciti da' Ghibellini d'Arezzo, ed i Ricci avevano pensato che potrebbero venire esclusi dagl'impieghi a cagione della loro origine. Ma le leggi di cui Uguccione aveva voluto valersi contro i suoi rivali, furono rivolte a danno de' suoi partigiani. Gli Albizzi avevano contratta alleanza coi Bondelmonti e coi capi dell'antica nobilt?; erano essi potenti presso i capitani di parte guelfa, e sebbene non osassero attaccare i Ricci essi medesimi, avevano di gi? fatti ammonire, o escludere dalle magistrature pi? di duecento dei loro amici, e procedevano con estremo ardore nel far nascere nuove accuse di ghibellinismo.

I Ricci avevano da principio tentato di ristrignere l'autorit? de' capitani di parte, ma mutarono pratica quando videro i Guelfi acquistare maggior credito colla lega conchiusa col papa: allora cercarono ancor essi di guadagnare il favore della Chiesa, ed ottennero coi maneggi qualche influenza sopra i capitani di parte; allora si videro le procedure contro i Ghibellini, dirette a vicenda dagli Albizzi e dai Ricci, moltiplicarsi, e tenere tutta la repubblica inquieta ed agitata.

Il nuovo papa ebbe presto motivo di lagnarsi dei Visconti. Feltrino Gonzaga, tiranno di Reggio, era uno degli alleati della Chiesa, come pure il marchese d'Este, signore di Modena e di Ferrara. Quest'ultimo non per tanto prese parte in una congiura tramata contro Feltrino, e fece avanzare verso Reggio una compagnia di mercenarj tedeschi, comandata da un fratello del conte Lando. I nemici di Feltrino, d'accordo col marchese d'Este, aprirono Reggio ai Tedeschi, i quali, dopo avere saccheggiata la citt? coll'estrema barbarie, invece di consegnarla al marchese d'Este, la vendettero il 17 maggio 1371 a Barnab? Visconti per venticinque mila fiorini.

In principio del 1373, Barnab? sped? un corpo di tre mila cavalieri per guastare il territorio di Bologna. Quest'armata s'innoltr? fino a Cesena, ma nel suo ritorno venne sorpresa, mentre passava il Panaro, da Acuto, e rotta. L'armata del papa penetr? subito dopo ne' territorj di Piacenza e di Pavia, ove tutti i Guelfi dei due stati aprirono i loro castelli a Pietro di Beziers, cardinale legato di Bologna. Questi s'avanz? in seguito fin presso Brescia, col conte di Savoja, sperando di approfittare delle intelligenze che aveva in questa citt? ed in Bergamo. Giovanni Galeazzo, per impedire che scoppiasse qualche congiura, si port? sul fiume Chiesa contro le truppe del papa; ma fu attaccato da Acuto l'otto maggio del 1373, e dopo un'ostinata battaglia rotto e fatti prigionieri quasi tutti i suoi capitani. Dopo tale rotta i Guelfi degli stati de' Visconti si ribellarono da ogni banda. Barnab? incaric? suo figliuolo naturale Ambrogio di ridurre al dovere quelli delle Valli del Bergamasco; ma i contadini della Val san Martino sorpresero Ambrogio il 17 agosto, lo uccisero, e dispersero la sua armata.

Nel susseguente anno gli affari dei Visconti non procedevano con migliore fortuna; la citt? di Vercelli cadde in mano de' confederati, e gli stati di Parma e di Piacenza furono guastati dal marchese d'Este. Per altro la guerra non facevasi vigorosamente, perch? le inondazioni, e dopo la peste la carestia travagliarono la Lombardia. Per procurarsi un poco di riposo in mezzo a tante calamit?, il papa ed i Visconti, egualmente spossati dagli sforzi che fatti avevano, conchiusero il 6 giugno del 1374 una tregua d'un anno, durante il quale speravano di mettere fine alle loro contese con una pace generale.

Ma Guglielmo di Noellet, cardinale di sant'Angelo e legato di Bologna, lusingavasi di approfittare di questa tregua per mandare ad effetto un'importante intrapresa. La Toscana, non meno che la Lombardia, aveva avute le piogge e le inondazioni che avevano distrutte le sementi, di modo che il frumento scarseggiava ed era carissimo. In Firenze si era manifestata la peste, e dal mese di marzo a quello di ottobre aveva portate al sepolcro sette mila persone. La gelosia eccitata tra gli Albizzi ed i Ricci, non era spenta, e la repubblica chiudeva ancora nel suo seno molti semi di discordia. I Fiorentini, trovandosi in pace con tutti i loro vicini, non avevano sotto le armi che poche truppe, come pure i Sienesi ed i Pisani. Il legato di Bologna, giudic? i Toscani, dice Poggio Bracciolini, a seconda della leggerezza francese; e pens? che s'egli rendeva la carestia pi? sensibile, il popolo, stretto dalla fame, prenderebbe le armi contro il suo governo, e che la citt? travagliata dalle sedizioni interne, quanto dalla guerra, si rifugierebbe sotto il suo potere.

<>

I Fiorentini tiravano ogni anno una parte de' loro grani dalla Romagna e dal Bolognese; il legato per raddoppiare le difficolt? che provavano, ne viet? tutto ad un tratto l'esportazione. La signoria col sagrificio di sessanta mila fiorini acquist? il frumento in lontani paesi; pass? l'inverno, e si vedeva vicino il nuovo raccolto che doveva riempire i vuoti granai. Il legato per privare i Fiorentini di tale speranza fece entrare in Toscana Giovanni Acuto il 24 giugno del 1375 con una numerosa armata, ordinandogli di bruciare le case del territorio fiorentino. Dall'altro canto Gerardo Dupuis, abate di Montmayeur, che comandava a Perugia, colse il pretesto d'una guerra tra i Sienesi ed i gentiluomini della casa Salimbeni, per far guastare il territorio di Siena dalle truppe della Chiesa.

Per salvare almeno le apparenze, il legato scrisse ai Fiorentini che Acuto aveva formata una compagnia d'avventurieri colle truppe che la Chiesa ed i Visconti avevano licenziate; ch'egli attaccava la Toscana senza l'assenso della Chiesa, ma che la signoria potrebbe forse farlo ritrocedere col sagrificio di cento, e fors'anco di soli sessanta mila fiorini. In questo medesimo tempo, una congiura scopertasi a Prato, il di cui oggetto era quello di sottomettere questa citt? alla Chiesa, fece conoscere quale fede meritavano tali proteste.

Gli otto della guerra, che volevano prima di tutto salvare il raccolto, aprirono subito un trattato con Acuto, e spedirono in pari tempo ambasciatori al legato, pregandolo di richiamare questo generale. Il legato rispose che Acuto pi? non trovavasi al suo soldo, e diede copia agli ambasciatori del congedo che diceva di avere dato a questo capitano. Nello stesso tempo diede al capitano segreto ordine di offrire ai Fiorentini di risparmiare il loro territorio contro il pagamento d'una taglia, ma di domandare una cos? enorme somma che facesse rompere il trattato. Acuto chiese cento trenta mila fiorini, che gli furono pagati senza difficolt?, avendone caricati pi? della met? sul clero fiorentino. Il legato si affrett? di scrivere al capitano inglese di rompere ogni mercato, ma questi, cui gli ambasciatori fiorentini avevano mostrata la copia del congedo, che avevano portato da Bologna, non volle perdere cos? ragguardevole somma, ed in oltre prendere sopra di se l'altrui mala fede. Continu? dunque la sua strada a traverso la Toscana, tirando dai Sienesi trentacinque mila fiorini; indi si mise al soldo dell'abate di Montmayeur, legato di Perugia.

I primi a dichiararsi furono gli abitanti di Citt? di Castello, l'antico Tiferno. Essi attaccarono furibondi la guarnigione ecclesiastica, e la forzarono a ritirarsi nel castello. I Fiorentini mandarono subito soccorsi ai Tifernati, onde la guarnigione assediata non tard? ad arrendersi.

L'abate di Montmayeur aveva spedito Acuto con parte delle sue truppe per liberare gli assediati; ma tosto che i Perugini lo videro partito, presero ancor essi le armi, attaccarono le due fortezze che il legato aveva innalzate in citt?, le presero in pochi giorni, e le spianarono. Nello stesso tempo Giovanni di Vico, prefetto di Roma fece ribellare Viterbo, di cui era stato lungo tempo signore. Si sollev? pure Montefiascone, e ben tosto con sorprendente rapidit? la ribellione si dilat? in tutti gli stati della chiesa. Foligno, Spoleto, Todi, Ascoli, Orvieto, Toscanella, Orti, Narni, Camerino, Urbino, Radicofani, Sarteano, riacquistarono la libert?. Nello spazio di dieci giorni ottanta tra citt? e castelli scossero il giogo della chiesa. Molti vollero darsi ai Fiorentini, ma questi loro mandavano per risposta lo stendardo della libert?, e gli invitavano a costituirsi in repubbliche indipendenti. Frattanto altre citt? approfittarono del loro soccorso per rimettere i loro antichi signori. Forl? chiam? Sinibaldo degli Ordelaffi, figliuolo di Francesco e di Marzia, suoi eroici difensori, e gli restitu? la signoria.

Di quanti signori dipendevano dall'abituale dominio della Chiesa, le si conserv? fedele il solo Galeotto Malatesti, e mantenne ubbidienti al papa le citt? governate dalla sua casa. Galeotto era succeduto nel 1373 a suo fratello Pandolfo, e suo nipote Malatesta Unghero era morto nel precedente anno. Nel cominciamento di questa guerra la Chiesa possedeva sessantaquattro citt? e mille cinquecento settanta sette castelli. Perdette nel corso di un anno tutti i suoi stati ad eccezione di Rimini e delle sue dipendenze.

Il papa, spaventato da cos? subita ruina, cerc? di svolgere i Fiorentini dalle prese risoluzioni coll'intimidire le loro coscienze. Li cit? il 3 di febbrajo del 1376 a comparire innanzi al sacro concistoro per giustificare la loro condotta. In fatti i Fiorentini mandarono tre ambasciatori per trattare la loro causa in Avignone, cio? Domenico Barbadori, Alessandro dell'Antella e Domenico di Silvestro. Vennero introdotti l'ultimo giorno di marzo avanti ai cardinali ed al santo padre; ed in quest'assemblea Donato parl? col coraggio e colla forza di un uomo libero. Dichiar? che nulla avrebbe potuto muovere i Fiorentini a prendere le armi contro la Chiesa, fuorch? la difesa della loro libert?; <>

Quando Donato Barbadori ud? la lettura di questa sentenza, rivoltosi ad un crocifisso, che stava in mezzo all'assemblea. <>

Mentre il papa agitava in Avignone la sua lite coi Fiorentini secondo le forme giuridiche, cercava a Firenze di terminarla con un trattato, e vi aveva spediti ambasciatori; ma il trattato fu improvvisamente rotto dalla rivoluzione di Bologna. Gli otto della guerra, che il popolo, malgrado la scomunica del papa, chiamava comunemente gli otto santi, cercavano da lungo tempo di mettere in movimento la fazione dello scacchiere a Bologna; poich? sapeva che l'opposto partito dei Maltraversa godeva del favore del legato. Ma il popolo pareva determinato a rimanere sotto l'ubbidienza della chiesa; quando il legato, che non sapeva in qual modo soddisfare Acuto ed i soldati, ai quali doveva molti soldi arretrati, risolse di cedere loro i due castelli di Castrocaro e di Bagnacavallo che dipendevano da' Bolognesi e dalla chiesa, e che furono dai soldati saccheggiati con inaudita crudelt?. Nello stesso tempo si vocifer? che il legato trattava di vendere Bologna medesima al marchese d'Este; onde i Bolognesi pi? non frapposero dimore, e scossero un giogo, che ogni giorno rendevasi pi? pesante.

Il pi? ragguardevole uomo di Bologna era Taddeo degli Azzoguidi del partito dello scacchiere, ed in sua casa la notte del 19 al 20 marzo Roberto de' Salicetti adun? i capi delle due fazioni. Tutti i patriotti di Bologna giurarono nelle sue mani di deporre le antiche loro nimicizie, e di sacrificare, quando il bisogno lo richiedesse, i loro beni e le loro vite per ricuperare l'antica libert? della patria. Frattanto Ugolino di Panico, il conte Antonio Bruscolo, ed alcuni altri gentiluomini avevano adunata una truppa di montanari degli Appennini, che segretamente introdussero in citt?. I cittadini, dopo essere andati alle case loro a prendere le armi, eransi di nuovo raccolti in silenzio presso Taddeo degli Azzoguidi. Riunironsi le due truppe avanti la croce del mercato, ove ad una sola voce rinnovarono il giuramento d'esporre i loro beni e le loro vite per ricuperare la libert? bolognese. Roberto Salicetti dispose senza rumore la sua truppa presso il castello, ed occup? tutti i capi strada della piazza, indi Taddeo fece chiedere al legato, che fin allora non erasi accorto di verun movimento, le chiavi della fortezza e delle porte della citt?, dichiarandogli che i Bolognesi d'ora innanzi intendevano di guardarsi da se medesimi. Il legato atterrito fece aprire il castello a Salicetti, ma perch? tardava a dare altres? le chiavi della fortezza, Taddeo si avanz? immediatamente per attaccarla. Tutte le uscite della piazza erano di gi? state occupate, onde la compagnia inglese non pot? montare a cavallo per difendersi; la prima porta della fortezza fu atterrata, mentre da un'altra banda Antonio di Bruscolo occupava il palazzo alla testa de' contadini e lo abbandonava al saccheggio. E perch? si cominciava ad insultare il legato, Taddeo degli Azzoguidi accorse in suo ajuto, e, presolo sotto la sua protezione, lo fece passare nel convento di san Giacomo.

Quando si lev? il sole alla mattina del gioved? 20 marzo la rivoluzione era di gi? compiuta; il gonfalone del popolo volteggiava sulla gran piazza; le trib? e le compagnie delle arti erano adunate per nominare dodici anziani ed un gonfaloniere di giustizia; e subito dopo il consiglio generale pubblic? un'amnistia per tutti i fuorusciti.

Quando i Fiorentini ebbero avviso di questi avvenimenti, spedirono ai Bolognesi lo stendardo della libert? con due mila cavalli, cinquecento fanti, e grosse somme di danaro: le fortezze di Bologna vennero spianate, e la nuova repubblica prese parte nella lega formata contro la chiesa.

Acuto trovavasi a Granaruolo colla maggior parte della compagnia inglese quando intese la ribellione di Bologna. Sospettava che Faenza s'apparecchiasse a fare lo stesso, e per tale sospetto vi entr? tutt'ad un tratto il 29 di marzo per abbandonare i cittadini al ferro de' soldati: vennero uccise quattro mila persone; molti fuggirono ad Imola o a Forl?, ma le donne e le vergini medesime consacrate agli altari furono ritenute per essere disonorate. Dopo tale carneficina Acuto conchiuse una tregua di sedici mesi coi Bolognesi, per riavere a tale condizione i suoi due figliuoli, e molti suoi capitani, ch'erano stati sorpresi e fatti prigionieri a Bologna nell'istante della rivoluzione.

Roberto di Ginevra, attraversando il territorio di Galeazzo Visconti alla testa di questa formidabile armata, entr? con lui in trattato, e lo persuase a segnare una pace particolare col papa; pace vergognosa per la Chiesa, perch? abbandon? senza guarenzia ai loro oppressori tutti i Guelfi, ch'ella aveva indotti a ribellarsi contro i Visconti.

Mentre Roberto di Ginevra, dopo essersi lasciate a dietro Alessandria e Tortona, si dirigeva per la strada di Piacenza sopra Ferrara, gli otto della guerra a Firenze avevano scelto per loro generale Rodolfo da Varano, signore di Camerino; l'avevano mandato a Bologna, e posto sotto i suoi ordini un'armata di due mila lance, e sei mila cavalli. Nel medesimo tempo avevano fortificati e muniti di truppe tutti i passaggi degli Appennini, ordinando ai contadini di riporre ne' castelli e luoghi forti i bestiami loro, ed i raccolti.

Barnab? Visconti aveva mandati all'armata della lega a Bologna cinquecento lance, sotto il comando del conte Lucio Lando, ma d'altra parte non aveva opposto verun ostacolo alla compagnia de' Bretoni, quando attraversava i suoi stati; suo fratello aveva di gi? fatta la pace colla Chiesa, ed egli stesso offriva di acquistare dal papa la citt? di Vercelli per cento mila fiorini. Rodolfo di Camerino credette adunque di dover diffidare del conte Lando e dei soldati di Barnab?. D'altra parte i Bolognesi temevano di qualche trama nella loro citt?: vedevano di mal occhio Taddeo degli Azzoguidi, il capo della fazione dello scacchiere, essere troppo premuroso pel richiamo de' Pepoli, antichi capi dello stesso partito; mentre che questa famiglia, doppiamente odiosa per avere usurpata la tirannide, e per avere in seguito venduta la citt?, era stata la sola eccepita dalla generale amnistia. Rodolfo di Camerino, per questo doppio sospetto, n? volle azzardare una battaglia contro i Bretoni quando giunsero nello stato di Bologna, n? aspettarli in aperta campagna. Roberto di Ginevra per provocarlo ad una battaglia, lo fece interpellare perch? si rimanesse ozioso e chiuso entro le mura d'una citt?. <>

Quando la notizia del massacro di Cesena fu portato alle citt? della lega, vi cagion? pi? sdegno ancora che spavento. La signoria di Perugia fece celebrare l'ufficio de' morti in tutte le chiese, ordin? una pompa funebre per gl'innocenti uccisi dalle armi dei preti; e tutte le citt? in guerra colla Chiesa ne imitarono l'esempio.

Gli otto della guerra di Firenze, informati di questo trattato, addirizzarono, il 26 dicembre 1376, la seguente lettera ai banderali per incoraggiarli a difendere la loro libert?.

<

<>

Il conte Lucio Lando di Svevia and? allora ad attaccare Rodolfo, con tre mila cavalli fiorentini, quasi alle porte di Camerino, sua capitale; gli uccise dugento soldati, gli prese lo stendardo con mille prigionieri, e lo sforz? a fuggire quasi solo a Tolentino. In appresso i Fiorentini presero san Lupidio, santa Maria Serra, e pi? altre castella nella Marca d'Ancona.

Il papa desiderava la pace coi Fiorentini, ma voleva che la loro devozione la rendesse per lui pi? vantaggiosa. Mentre trovavasi ancora in Avignone, la signoria gli aveva spedita santa Catarina da Siena per cercare d'addolcirlo. Il papa rimand? la santa a Firenze, assicurandola che avrebbe poste in sua mano le condizioni della pace. Ma sebbene le virt? e la conosciuta santit? di Catarina ispirassero la pi? alta venerazione ai capi della repubblica, essi non credettero di dover consultare intorno agl'interessi della loro patria gli scrupoli d'una donna entusiasta. Gregorio mand? dal canto suo ambasciatori a Firenze; e questi, che speravano di fare maggiore impressione sul popolo che sul governo, non vollero esporre la loro missione che in presenza d'un parlamento adunato. In questo recitarono un artificioso discorso: il pontefice, essi dissero, ben sapeva che il popolo non voleva la guerra; la quale era l'opera di alcuni capi ambiziosi che si arricchivano nella pubblica miseria, che di gi? avevano conservato il loro impiego oltre il tempo fissato da tutte le leggi, e si lusingavano di ridurre ben tosto in servit? quel popolo, che traviavano in nome della libert?. Gregorio chiedeva soltanto che i Fiorentini deponessero i loro perfidi magistrati, ed in appresso era disposto ad accordar loro la pace a quelle condizioni ch'essi medesimi avrebbero desiderato. Il gonfaloniere rispose agli ambasciatori a nome del popolo. Che lunghe ingiurie abbisognarono, e le prove della pi? sfrenata ambizione degli ecclesiastici per istaccare i Fiorentini dal partito della Chiesa, cui si mostrarono tanto tempo fedeli: che tante offese avevano finalmente stancata la loro sofferenza, ond'erano unanimi nella presa opposizione: che non pertanto desideravano sempre i Fiorentini la pace, ma che dovevasi ben credere che le condizioni della pace dovessero essere svantaggiose a coloro che avevano imprudentemente provocata la guerra.

Il pontefice, irritato da questa risposta, raddoppi? le pene ecclesiastiche pronunciate contro i Fiorentini, e scrisse di nuovo, non pi? a tutti i sovrani, ma a tutte le citt?, per persuaderle a confiscare le propriet? de' suoi nemici. Dall'altro canto i Fiorentini, che fino a tale epoca avevano osservato gl'interdetti pronunciati dal pontefice, risolsero di non rimanere soggetti ad un'ingiusta sentenza. Fecero aprire tutte le chiese, e costrinsero i preti a celebrare l'ufficio divino colla stessa solennit?, come se l'interdetto non fosse stato pronunciato.

Un nipote del papa aveva tentato, alla testa de' Bretoni, di entrare nella Maremma di Siena, e fu forzato di dare a dietro in faccia ad Acuto. Ma pi? che le armi tornarono utili gl'intrighi alla corte pontificia. Erasi scoperta in Bologna una congiura in favore dei Pepoli, in sul finire del precedente anno, e Taddeo degli Azzoguidi era stato esiliato da questa citt? con una parte della fazione dello scacchiere. Il restante di questa fazione, fedele alla libert? ed agl'interessi de' Fiorentini, mut? nome in quest'occasione, e si chiam? Raspanti. Le famiglie de' Bentivogli, Salicetti, Azzoguidi, Bianchi e Gozzadini entrarono nella nuova fazione de' Raspanti, e sotto questo nome governarono la repubblica.

Circa lo stesso tempo il prefetto di Vico fece pure una separata pace colla Chiesa; onde i Fiorentini, vedendosi abbandonati dai due pi? potenti alleati, pensarono seriamente a mettere fine alla guerra. Il vescovo d'Urbino, ambasciatore del papa, propose loro di prendere per arbitro un loro alleato, Barnab? Visconti, ed infatti i Fiorentini acconsentirono di aprire, sotto la sua mediazione, un congresso a Sarzana. Barnab? recossi il primo in questa citt? in principio del 1378. Vi giunsero poco dopo il cardinale d'Amiens e l'arcivescovo di Narbona legati del papa. Il conte di Brienne e l'arcivescovo di Laon arrivarono in appresso come ambasciatori del re di Francia; ed in breve vi si adunarono i deputati fiorentini e quelli delle citt? alleate.

CAPITOLO L.

La chiesa romana aveva allora ventitre cardinali, sei de' quali erano rimasti in Avignone, ed un altro trovavasi legato in Toscana. Soli sedici entrarono dunque in conclave nel palazzo del Vaticano, de' quali undici erano francesi, uno spagnuolo, e quattro italiani.

Ecco la nota di tutti i cardinali che componevano allora il sacro collegio; che ? necessario di ben conoscere per intendere la storia dello scisma.

I cardinali assistenti al conclave furono

Pietro di Luna, cardinale diacono, del titolo di santa Maria in Cosmedin 1375 1424

Francesco Tebaldeschi, romano, cardinale prete del titolo di santa Sabina, arciprete di san Pietro 1368 1378

Pietro Corsino, fiorentino, card. prete del titolo di San Lorenzo 1370 1405

Giacomo Orsini, romano, card. diacono del titolo di san Giorgio in Velabro 1371 1379

Simone da Borsano, milanese, card. prete di san Giovanni e Paolo 1375 1381

Guglielmo d'Aigrefeuille, card. prete di santo Stefano 1367 1401

Add to tbrJar First Page Next Page Prev Page

 

Back to top