Read Ebook: In faccia al destino by Albertazzi Adolfo
Font size:
Background color:
Text color:
Add to tbrJar First Page Next Page
Ebook has 3243 lines and 92657 words, and 65 pages
In faccia al destino
ROMANZO
DI ADOLFO ALBERTAZZI
MILANO FRATELLI TREVES, EDITORI Quarto migliaio.
PROPRIET? LETTERARIA.
Milano, Tip. Treves -- 1921.
IN FACCIA AL DESTINO
PARTE PRIMA.
Ero da pochi giorni a Valdigorgo, e gi? deluso nel tentativo estremo per cui mi ero trasportato da Molinella, alla casa dell'amico Moser, alle Prealpi.
Non avevo avuto la speranza che l'aria di lass? mi purificasse lo spirito; soltanto avevo pensato che la famigliarit? con gente di cuore potrebbe scuotermi il cuore. Tre anni innanzi, quando combattevo i primi fieri assalti del nemico insorto in me, non avevo attinto lass?, nuove forze alla resistenza? l? non avevo provato il sollievo di lunghe tregue?
Claudio Moser con animo aperto e affetto antico; Eugenia, sua moglie, con la bont? che io non sapevo paragonare se non alla bont? di mia madre; le figliole -- Marcella e Ortensia -- soavi e liete; il piccolo Mino, instancabile al trotto delle mie ginocchia, quante volte parlandomi nella memoria mi avevano chiamato a loro, come in porto e a rivivere!
Ma invano! Avevo fatto invano il lungo viaggio! Fortunatamente, se io ero a tal punto da non sentire pi? nulla e da rincrescere agli altri oltre che a me stesso, fortunatamente io avevo trovato la famiglia Moser in condizioni diverse: Claudio, sovraccarico di faccende, s'assentava interi giorni; la moglie, non era ancora in piena convalescenza d'una malattia quasi mortale; Marcella, da brava massaia diciannovenne, s'intratteneva a diriger la casa; Ortensia, assisteva la madre; e il fanciullo, prossimo ormai all'et? della discrezione, preferiva, al trotto delle mie ginocchia, tamburi, pifferi e schioppi.
-- Qua sei il padrone tu -- mi aveva detto Moser. -- Fa quel che vuoi per annoiarti pi? o meno, secondo la tua filosofia.
Pur troppo io non volevo nulla: soltanto restar solo. Dal d? dell'arrivo non avevo pi? varcato il cancello. Mi appartavo nel giardino a giacere e a sonnecchiar ignaro.
Cos? indifferente ero divenuto, che non mi ero accorto della differenza delle cose intorno; non avevo riconosciuto i vecchi alberi, non osservate le nuove piante e le recenti aiuole, quasi fossero per me luogo e paesaggio nuovi ma senza novit?, o vecchi e sempre uguali, e sempre visti uguali.
E non per intimo impulso, ma come per inerzia, salivo ogni d?, alle ore solite, dall'inferma. Ne' suoi occhi freddamente io scorgevo un velo di rassegnazione se la fede di guarire le venisse meno; e al suo orecchio le mie parole giungevano fredde, perch? non confortavano, ma soltanto confermavano una cosa certa alla mia scienza: la guarigione. N? a vederla cos? emaciata mi veniva fatto di ripensarla quale era ancora in salute, tanto bella e fiorente una volta! Quanti anni innanzi? Non pi? di quattordici. Allora io, ero appena laureato; essa aveva Marcella di cinque o sei anni e Ortensia piccolina. Che bellezza a vederla con la fanciulletta a lato e quell'angiolo biondo in braccio! Una bellezza materna. E come Eugenia era bella allora, io ero baldanzoso e ambizioso. Rapito nel mio sogno di scienza e di gloria, appena mi accorgevo di quel fiore di donna; e non l'invidiavo all'amico. Restavo chiuso nella mia camera quasi tutto il giorno a studiare; non mi distraeva la delizia del luogo; non mi rimproverava la cortesia della buona signora, a cui tenevo s? povera compagnia.
Talvolta, nella passeggiata avanti desinare per andar incontro a Claudio, Eugenia, come senza volere, ingenuamente, mi aveva detto di essere troppo racchiuso in me stesso, richiamando la mia attenzione alla vita esterna, ai bei tramonti, al bel paesaggio; e che soggezione era in lei se io mi inducevo a discorrere delle mie idee e dei miei studi! Mi ascoltava avvolgendomi del suo sguardo; lo sguardo che abbelliva ora Marcella. Per la via chi ci vedeva sogguardava forse malignamente: Eugenia non aveva ombra di alcuna malizia; e quando incontravamo Moser ed essa sorrideva e s'accendeva di gioia, oh allora io mi compiacevo che neppur l'ombra di un pensiero sinistro offendesse, entro di me, l'amore e la gioia di Claudio! Non avevo avuto mai, non ebbi mai per Eugenia un pensiero di profanazione; sempre ebbi per lei una devozione affettuosa e pura.
Finch? un giorno, mentre Ortensia usciva dalla stanza, dissi senza intenzione di recar piacere, senza intenzione alcuna:
-- Sono belle, Eugenia, le vostre figliole.
La madre non neg?. Afferm?:
-- Sono buone.
Ma quello stesso giorno, avanti desinare, Ortensia mi sorprese laggi?, sotto i tigli.
Disse scherzosa: -- Riverisco! -- e s'inchin?.
-- Chi t'ha svelato il mio rifugio? -- domandai a mezza voce.
-- Lo sapevo -- ella rispose. Poi aggiunse franca: -- E voglio saper tutto, tutto!
-- Che cosa?
-- La mamma lo dice da un pezzo: Sivori ? mutato. Si pu? sapere cos'ha?
Quantunque ardita innanzi a me, Ortensia m'interrogava con un sorriso incerto; col dubbio manifesto che non le rivelerei il mio segreto, e col rammarico che neppur lei, la mia <
-- Sono stanco -- dissi; e la guardai in modo da toglierle il sospetto del mistero.
-- Stanco fin di parlare?
-- S?....; non d'ascoltare, per?. Parla tu.
-- Santa pazienza! Parlare? Ma di che, con lei?
Frattanto siede nell'erba e s'abbandon? non scomposta, reclinando il capo a un tronco, e chiese:
-- Che debbo dirle? Su! presto!
Ma io non avevo ancora parlato ch'essa si rialz? d'un tratto a seder meglio.
E fermando al petto un grosso mazzo di margherite:
-- ? stanco anche dei fiori?
Non risposi.
Allora venne a pormi due margherite all'occhiello della giacca, mentre ripeteva: -- Sivori non ? pi? lui! non ? pi? lui!
Ed io scossi le spalle, impaziente:
-- Parla d'altro!
-- Cosa debbo dirle? Andiamo!
-- Raccontami della tua vita in citt?, quest'inverno. Andavi a scuola?
-- A scuola, io? a diciassette anni? Ho diciassette anni!
Ne pareva meravigliata essa stessa.
-- E ne sai abbastanza?
-- Eppoi?
-- Eppoi cosa?
Non trovai altra domanda che intorno i divertimenti di lei, all'inverno.
Conversazioni? Ma che! non andavan da nessuno; non ricevevan nessuno. A teatro s?, qualche volta....; a opere o a commedie, di cui finsi ignorare l'argomento per non aver necessit? d'interloquire e per lasciar dire a lei, chiacchierina agile e fervida. Nell'esprimere impressioni lontane e ancora sensibili essa aveva una prontezza insolita, e s'arrestava a quando a quando per esser confermata nel suo entusiasmo. Domandava: -- Non ? forse un bel dramma? Che bella musica, ? vero?
Ma tosto io non le badai pi? affatto. Mentre proseguiva a discorrere, io, non so perch?, o perch? talora ella acuisse la voce al tono fanciullesco e da ci? fossi condotto a ripensarla ragazzetta, o perch? in quell'ora i suoi occhi avessero una luce pi? viva, o perch? la tinta rossa del tramonto mi rappresentasse, d'improvviso, un altro simile tramonto; non so perch? e come, io ebbi l'istantaneo presentimento d'un risveglio in me nel rinnovarsi d'un ricordo. La memoria, repentinamente e spontaneamente ridesta, mi ridiede in quello stato mortale una fugace coscienza di vita.
Add to tbrJar First Page Next Page