Read Ebook: Ginevra o L'Orfana della Nunziata by Ranieri Antonio
Font size:
Background color:
Text color:
Add to tbrJar First Page Next Page
Ebook has 924 lines and 103133 words, and 19 pages
GINEVRA
L'ORFANA DELLA NUNZIATA.
GINEVRA
L'ORFANA DELLA NUNZIATA,
TERZA EDIZIONE Ordinata e corretta dall'Autore.
NOTIZIA INTORNO ALLA GINEVRA.
Non si appartiene a me di giudicare questo libro. Il supremo giudice de' libri, ? il tempo. Un libro pu? essere tre cose: una cosa nulla, una cosa rea, una cosa buona. Il tempo risponde con un immediato silenzio alla prima; con un meno immediato alla seconda; con una pi? o meno continua riproduzione alla terza. E il suo giudizio ? inappellabile.
Fra il 1830 e il 1831, esule ancora imberbe, capitai in Londra, o, pi? tosto, mi capit? in Londra alle mani un aureo lavoro d'un altro esule, assai pi? riguardevole e provetto di me, il conte Giovanni Arrivabene: nel quale egli mostrava partitamente tutto quanto quella gran nazione ha trovato, in fatto di pubblica beneficenza, per lenire, se non guarire del tutto, quelle grandi piaghe che le sue medesime instituzioni le hanno aperte nel fianco.
Alcuna volta, il cortesissimo autore, pi? di frequente, il suo giudizioso volume, mi fu guida e scorta nelle mie corse per quegli ospizi. Ed allettato da s? generosa mente a s? generosi studi, li perseverai per quasi tutta Europa, e preparai e dischiusi l'animo a quei grandi dolori, ed a quelle pi? grandi consolazioni, che l'uomo attinge, respettivamente, dallo spettacolo de' mali de' suoi fratelli pi? poveri, e da quello delle nobilissime fatiche e de' quasi divini sforzi di coloro che si consacrano a medicarli.
Surse finalmente per me il grande ???????? ????, il gran d? del ritorno.
Mia madre non era pi?. Essa aveva indarno chiamato a nome il figliuolo nell'ora suprema, che l'era battuta ancora in fiore. E quel bisogno di effondersi e di amare, che, secondo l'antica sapienza, dove non ascenda o discenda, si sparge a' lati e si versa su i fratelli, mi rimen? a' pi? poveri di essi, negli ospizi... negli ospizi di Napoli, che s'informavano inemendabilmente dal prete e dal Borbone.
Io vidi, e studiai, l'ospizio de' Trovatelli, che quivi si domanda, della Nunziata: e scrissi le carte che seguiranno. E ch'io dicessi la verit?, lo mostrarono le prigioni ove fui tratto, e dove, a quei tempi, la verit? s'espiava.
Ve n'era, nel libro, per la Polizia e per l'Interno: bench? assai meno di quel che all'una ed all'altro non fosse dovuto.
Francesco Saverio Delcarretto e Niccol? Santangelo, ministri, l'uno dell'una, l'altro dell'altro, vanitosi amendue, e nemicissimi fra loro , si presero amendue di bella gara; prima, di opprimermi; poi, di rappresentare, l'uno, pi? furbo, lo scagionato, quasi morso solo l'altro; l'altro, pi? corrivo, l'inesorabile, quasi morso lui solo: e, dopo aver domandato, prima, amendue di conserto, isole ed esilii; poi, il pi? furbo, una pena rosata, il pi? corrivo, il manicomio; Ferdinando secondo, furbissimo fra i tre, mi mand?, dove solo non potevo pi? nuocere, a casa.
Ma le furie governative furono niente a quelle dei preti; dei quali, ritorcendo un motto famoso, si pu? affermare francamente, che, ovunque sia un'ignobile causa a sostenere, quivi sei certissimo di doverteli trovare fra i piedi.
Ma, qualunque fosse stata l'imperfezione mia e del mio libricciuolo, la Gran Fonte di ogni bene non lasci? senza premio la nobilt? o l'innocenza dell'intenzione. L'onnipotenza dell'opinione pubblica, ch'? la pi? bella e pi? immediata derivazione dell'onnipotenza divina, dilegu? vittoriosamente tutti que' tetri ed infernali fantasmi.
Distrutta la prima nitida e correttissima edizione, la cupidit? ne partor? una seconda, che il pericolo rendette grossolana e scorretta, e che il desiderio e la persecuzione consumarono di corto.
Ora compie il ventunesim'anno che qualche esemplare strappato n'? pagato una cosa matta. E l'ottenere quello sopra il quale ? segu?ta questa terza edizione, ? stato un miracolo dell'amicizia.
GINEVRA O L'ORFANA DELLA NUNZIATA.
Volume Primo.
AL LETTORE.
GINEVRA o L'ORFANA DELLA NUNZIATA.
PARTE PRIMA.
Mi volsi altrove, e vidi le oppressioni che si commettono sotto il sole, e le lacrime degl'innocenti, e nessuno che li consoli; n? potere questi, abbandonati d'ogni umano soccorso, resistere alla violenza dei loro oppressori.
E giudicai pi? felici i morti che i vivi.
E pi? felice degli uni e degli altri giudicai colui che ancora non nacque, e mai non vide i mali che seguono sotto il sole.
GINEVRA o L'ORFANA DELLA NUNZIATA.
PARTE PRIMA.
LETTERA DI GINEVRA AL PADRE PENITENZIERE DON...
Io ho bisogno, padre mio venerabile, che voi non ignoriate nulla dell'essere mio. Sento alla fine che Iddio, fatto pietoso alle mie spaventevoli calamit?, ? vicino a liberarmene, chiamandomi alla sua pace. Padre mio adorabile, fate che io non mi rappresenti al suo cospetto senza la vostra assoluzione. Il cospetto di Dio ? tanto terribile! io sono tanto debole ed infelice! tremo tutta... non mi reggo... Padre mio, come potr? sostenerne lo sguardo?
Ma gi? vaneggiavo. Voi mi dite sempre che l'anima mia, non questo corpo fragile e macerato, dovr? fra poco comparire al cospetto di Dio. L'anima passata per la tempera della morte, sanata e fortificata dalla vostra assoluzione, trasparente innanzi all'occhio del suo Creatore, sar? sciolta da ogni infermit? umana.
Padre mio, io gi? credo tutto quello che voi mi dite. Ma com'? possibile che una povera donna, quale io sono, senza ingegno, senza lettere, possa comprendere uno stato cos? diverso dal presente? Io non ve lo nego, padre mio: per quanto io mi sforzi, sempre mi rappresento Iddio come un uomo, maestoso, tremendo, divino ancora quanto la mia fantasia pu? immaginarlo: ma sempre come un uomo. Concepirlo in ispirito e sciolto dalle forme umane, io non posso. Cos? dell'anima mia non so immaginare uno stato che non somigli il presente. Se ora tremo, se ora piango, o pi? tosto vorrei piangere e non posso... tutto questo sparir?... ed io allora che sar??... prover? dolore o gioia?... Ah! purch? io non senta dolore, della gioia non mi curo. Ma se anche nell'altra vita si soffrisse!... O Dio... se anche nell'altra vita si soffre, io ti domando il mio totale annullamento... o se questa ? bestemmia, e tu d? fine al mio dolore. Tu sei infinitamente buono: potrai consentire che la tua creatura soffra in eterno?...
Padre mio, questi estremi giorni della mia vita si annegano in un mare troppo tempestoso e troppo buio di dubbi e di spaventi.
Perdonate la confusione delle mie parole. Voi mi avete imposto di scrivervi filo per filo la mia vita, perch? in voce io non so seguitarne l'ordine e confondo me e voi stesso. Ed io, anche scrivendo, comincio gi? dal principio a confondermi. Ma voglio farmi la maggior forza ch'io posso. Spero che Iddio mi conceder? tanta lena... tanta mente. Ah padre! s'io giungo al termine, e voi non mi assolvete, chi altro assolverete sulla terra?
GINEVRA O L'ORFANA DELLA NUNZIATA
PARTE PRIMA.
Io non so nel seno di qual donna, n? per saziare le voglie di qual uomo, io fui concepita. Non so chi, levatami dal sacro fonte, mi battezz? nel nome di Ginevra. Non conobbi mai colei che mi nutr? col suo latte, n? mi sovviene di nessun volto umano che abbia sorriso alla mia infanzia.
La mia prima memoria ? l'aver rotto la tenera fronte allo spigolo d'una tavola di marmo, ch'era nel mezzo d'un lugubre corridoio della Casa della Nunziata. Questo mi avvenne per un calcio che mi scagli? una di quelle furie che quivi si chiamano nutrici, della quale mi si ? dileguata ogni sembianza. Questa memoria ? come un lampo, che mi traluce talvolta alla fantasia e sparisce. Poi tutto ? buio: e solo mi sovviene ch'io piangeva molto, abbandonata quasi ignuda sul freddo pavimento, ch'io bagnava delle mie lacrime: ma le cause del mio dolore mi sono fuggite.
Il primo avvenimento, onde mi ? possibile di cominciare il racconto di questa mia povera vita, ? il seguente.
Era uno di quei giorni cupi e piovosi, nei quali la natura sembra piangere insieme con noi delle sciagure alle quali ella medesima ci ha abbandonati. Io povera bimba, gittata al solito per terra fra le centinaia di mie coetanee, morta del freddo ed estenuata dalla mancanza di nutrimento, era fra questa vita e l'altra, in uno di quei momenti di assenza totale di sensazioni, che si provano nei primi giorni in cui la propria coscienza comincia a riconoscersi ed a contare, per cos? dire, una storia di se stessa. Una nutrice, e di costei ho presentissimo il laido e sozzo viso, appressandosi a me, mi sollev? di peso per il sinistro braccio, di s? mala maniera, che mi slog? la spalluccia. In vano tenterei di esprimere con parole la fierezza del dolore ch'io ebbi. Le mie strida acutissime avrebbero riscosso il carnefice. Ma la donna parve non avvertirle, e sempre nella medesima attitudine mi port?, o pi? tosto strascin?, in una specie di tenebroso parlatorio.
Quivi, sopra molti rozzi scanni che l'ingombravano, erano assai bambini di ambo i sessi, in varie positure, e tutte penosissime. Alcuni avevano le mani e i piedi cos? stretti e chiusi nelle fasce, che il sangue, come poscia ho capito, pi? non circolando, regurgitava alla testa. Per? mostravano il viso tutto livido ed annerito, ed erano prossimi a rendere lo spirito. Altri erano sciolti e scalzi; anzi tanto sciolti, e tanto scalzi, che nel cuore dell'inverno altro non avevano indosso che una sorta di grembiule, dal quale parevano, ma non erano, coperti. Giravano per la squallida sala alcune figure come di contadine, brutte, le pi?, come la mala ventura. Queste davano di piglio a vicenda, chi a questo, chi a quell'altro bambino. Lo tastavano tutto, gli squarciavano la bocca, gli storcevano le palpebre, venendolo considerando come ogni altra merce. Molti ne rifiutavano con quel garbo che potete immaginare. Qualcuno che andava loro a grado, lo toglievano in braccio e portavano via senza pi?. Solamente un vecchio bianco e calvo, che, con larghi occhiali sul naso e con un grosso libro innanzi, sedeva a una tavola in un canto della sala, mentre la donna portava via il bambino, notava non so che in quel libro.
Arrivata nel mezzo della sala, l'arpia che mi aveva ghermita apr? l'artiglio e mi lasci? cadere sopra uno scanno. Io fui presa e ripresa, per quel medesimo braccio ch'io aveva slogato, non so quante volte da non so quante persone. Fui stazzonata, sgualcita, pesta in tutte le forme possibili. L'eccesso del dolore mi aveva renduta in apparenza tranquillissima, togliendomi interamente la forza di piangere. Alla fine una donna di mezzana et?, ch'avea un occhio cieco, e l'altro cos? orrido e spaventato, che pareva una lammia, dopo avermi straziata in mille guise, e postemi le mani in bocca e altrove, come si fa dei cavalli, visto che io n? pure fiatava, disse alle nutrici in quel suo rozzo linguaggio:
Questa bimba mi conviene. Io non posso patire i fanciulli che piangono. Dall'aurora si vede il buon giorno. Io voglio farmene un aiuto alle mie fatiche, ed ho bisogno ch'ella sia d'indole quieta ed obbediente. Che tempo ha ella?
Quattro anni nei cinque, le fu risposto.
Or bene, la prendo, disse la donna.
Allora il vecchio scrisse nel libro, e la donna me ne port? in braccio sulla via.
Io era stata fino a quel momento come impietrita dal dolore. Quando, per la prima volta della mia vita, mi vidi sulla via all'aria aperta, allora finalmente cominciai a comprendere il senso della scena avvenuta, la quale fino a quel momento io aveva stupidamente guardata senza intendere.
Chi pu? esprimere l'impressione di dolore che mi caus? il vedermi fuori del luogo, dove fino a quel momento io aveva creduto che si chiudesse l'universo! Quella poca luce, che ancora tramandava il sole a traverso le tenebre che lo circondavano, mi ruppe come un ghiaccio che mi si era addensato intorno agli occhi, ed io cominciai a versare lacrime tanto disperate, quanto mai non furono le infinite altre che poscia sparsi per le pi? terribili sciagure della mia vita.
La donna intanto, senza punto scrollarsi, e solo un poco infastidita del mio pianto, mi pose in una maniera di cesta, ch'era sul dosso d'un asino macro e sparuto, ch'ella aveva lasciato alla cantonata a mano ritta, propriamente dove ? quella grande immagine della Vergine Annunziata. Quivi, assicuratami con alcune corde che mi segavano tutta la persona e m'impedivano di cangiare di sito, mont? sul basto ch'era medesimamente indosso all'asino dietro della cesta, e dato a quello d'una gran mazza nei lombi, c'inviammo in questa forma per la via di san Pietro ad Aram.
Add to tbrJar First Page Next Page