Read Ebook: Ginevra o L'Orfana della Nunziata by Ranieri Antonio
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Ebook has 924 lines and 103133 words, and 19 pages
La donna intanto, senza punto scrollarsi, e solo un poco infastidita del mio pianto, mi pose in una maniera di cesta, ch'era sul dosso d'un asino macro e sparuto, ch'ella aveva lasciato alla cantonata a mano ritta, propriamente dove ? quella grande immagine della Vergine Annunziata. Quivi, assicuratami con alcune corde che mi segavano tutta la persona e m'impedivano di cangiare di sito, mont? sul basto ch'era medesimamente indosso all'asino dietro della cesta, e dato a quello d'una gran mazza nei lombi, c'inviammo in questa forma per la via di san Pietro ad Aram.
Intanto io poveretta, fra l'incredibile dolore che avevo alla spalla, lo spavento di vedermi strascinare via da una brutta figura ignota, e l'acqua e il vento che mi battevano sul viso, mi pensava, nella mia infantile fantasia, di andare a qualcosa di peggio che la morte: onde il mio piangere era sterminato. Eravamo giunti al Carmine, e gi? svoltati per la via della Marina che conduce a Portici, quando la strega parve di avvertire un istante lo stato mio moribondo e la spalla che io, quanto la mia et? e la tortura in cui era lo consentivano, mi sforzava di accennarle. Fermato l'asino, parve ch'ella si accingesse a scendere, forse per disciogliermi ed aiutarmi. In quel momento medesimo veniva di gi? a tutta furia uno di quei calessi che fanno ancora fede qui della durante barbarie. Il quale, urtato l'asino mentre che la donna ne scendeva, quello, la donna e la cesta dove io era, gitt? malamente per terra e tir? via. Potete giudicare voi, o padre, s'io ne fossi pesta e malconcia. La donna si leva furibonda, rialza l'asino, e con infami bestemmie accusando me del sinistro segu?to, mi scioglie un momento, non per sollevarmi, ma per finirmi a furia di battiture; poi mi leg? tanto stretta, quanto le bast? la rabbia, e seguit? il suo cammino.
Sono pochi d?, una povera suora di questo convento, che l'atrocit? de' suoi genitori ha sforzata a seppellire qui la sua giovanezza, mi diceva che il deliquio era il pi? gran dono della natura. Quando il dolore, ella diceva, oltrepassando le forze umane, ucciderebbe, la natura ci soccorre col deliquio, e ci sospende un momento la vita per conservarcela.
Ma questo estremo conforto del dolore mi ? conceduto assai di rado. Io sono facile a svenirmi; ma lo svenimento, togliendomi tutte le facolt? con le quali potrei resistere al dolore, non mi toglie la conoscenza e il senso di esso. Resto immobile e muta come un sasso; ma vedo e odo tutto quello che mi avviene intorno, ed assaporo a sorso a sorso tutto l'orrore della morte senza ottenerla. Cos? mi ricordo di aver letto d'un moribondo, che prima di chiudere gli occhi alle tenebre dell'eternit?, vedeva volteggiargli intorno l'avvoltoio, il quale, come ? natura di quell'animale, attendeva ch'egli spirasse per divorargli le viscere.
Insino da quella tenerissima et?, io ebbi il primo esempio di questo mio sinistro naturale. Perch?, seguitando la donna il suo spietato cammino verso il ponte della Maddalena, e piovendomi e ventandomi e fulminandomi nel viso, perch? s'era il cielo cos? sdegnato che mai non fu rovescio d'acqua simile a quello, io non poteva pi? n? muovermi n? piangere, e posso dire ch'io non era pi? viva; e pure non perdetti mai il conoscimento.
Giunti che fummo al ponte della Maddalena, una gran mano di stradieri, gabellieri, birri, grascini ed altre spie, ci furono tutti addosso. Alcuni diedero di piglio alla donna, e la venivano tastando e ricercando per tutta la persona. Altri si spinsero addosso all'asino. frugando nelle bisacce, che gli pendevano da ambo i fianchi, e di sotto il basto, e per entro un fascio di paglia che gli era in groppa. Un brutto ceffo fra costoro, con lunghi mustacchi e barbe interminabili, e con uno di questi sigari in bocca, accostatosi alla cesta dov'era io meschinella, la sciolse dall'asino e la pose a terra. Vedendo ch'io era assicurata alla cesta con infiniti giri di corda, fu infastidito di sciogliermi. Ma non voleva lasciare intentata quella poca di paglia sopra la quale io giaceva. Per?, impugnata una sorta di bacchetta di ferro puntuta e molto somigliante a un lungo stile, cominci? a ficcarla da tutte le parti in quella paglia, non senza rischio di passarmi fuor fuora, n? senza ferirmi nel petto che n'ho ancora il margine. E intanto che m'era sopra, pure fumando e dimenando quel sigaro alla sgherresca, mi cadevano quale sul viso e quale altrove, ch'ero tutta ignuda, molti minuzzoli della paglia del sigaro ancora ardenti, e mi bruciavano or qua or l? queste misere carni.
La donna non rifinava di gridare fortissimo, ch'ella non entrava nella citt?, ma ne usciva per tornare a Sant'Anastasia dov'ella abitava. Allora uno di quei manigoldi che l'erano addosso, cavandole una pollastra della tasca:
Oh! perfida maliarda, grid?, non isquittire pi?. Tu devi essere impiccata per la gola, perch? ci hai la peste qui dentro. Or non sapevi tu ch'e' v'? la peste a Nola e che le galline ve l'hanno appiccata? e che per? le si debbon tutte lasciare ai sergenti della corte? Ora non ci tornerai a Sant'Anastasia.
Alla vista della pollastra, tutta quella canaglia fu speditissima a strascinare l'asino, la donna e la cesta in una stanza terrena perfettamente buia, dove era il maggior puzzo che si possa immaginare, perch? serviva di privato a quei mascalzoni. Stemmo col? dentro tutto quel giorno e la notte seguente, piangendo e schiamazzando la donna in un modo assai pietoso. Poco prima che spuntasse il nuovo giorno, venuta come una maniera di muta al proposto e ad alcuni di quei masnadieri, il nuovo ufficiale ci lasci? andare alla nostra ventura.
Io, come potete immaginare, aveva perduti affatto i sentimenti, e mi risentii soltanto sulla via di Portici, parte per effetto del sole che, innalzatosi dal Vesuvio, mi feriva vivissimamente gli occhi, e parte per un poco di pane bigio, masticato prima da lei, che la donna m'introdusse in bocca a tutta forza.
Giunti al posto che domandasi lo Sperone, svoltammo a mano manca, e camminato un pezzo avanti, arrivammo a uno squallido villaggio domandato la Madonna dell'Arco. Quivi, mentre che passavamo, venivano alcune donne, conoscenti forse della mia novella madre, e si affacciavano alla cesta per vedere la fanciulla della Nunziata. Mi consideravano un poco come si considera un uccello strano o altro nuovo animale; poi partivano con un viso dov'era scolpita l'indifferenza e la salvatichezza.
Indi pervenimmo presso a Sant'Anastasia. L'asino si ferm? da se all'usciolino d'un tugurio tutto affumicato, d'un sudiciume e d'una miseria che non si pu? descrivere. Volti a caso gli occhi a sinistra, vidi un altissimo ed ombroso pino, la cui vista, non so perch?, mi caus? un'impressione di malinconia profondissima. La donna smont? dell'asino, con una rozza chiave aperse l'usciolino, dietro al quale un gatto ed un grosso cane da pagliaio si lagnavano della lunga fame: ed entratasene dentro, tosto l'asino l'entr? appresso.
Il tugurio era cos? fatto. L'usciolino gli serviva a un tempo di finestra, perch? non altronde passava quel poco di luce che l'illuminava. A mano sinistra era gran copia di strame sparso per terra. Nel mezzo del muro era un pozzo aperto, e pi? in l? una mangiatoia, dove ruminavano due macri buoi, che mostravano essere la ricchezza della casa. Sullo strame si voltolava e fregava un maiale di maravigliosa grossezza, che grugn? forte al nostro entrare. A mano dritta presso all'uscio era un acquaio, ed appresso un focolare con un cammino nerissimo. Nel fondo usciva dal muro un muricciuolo, dove era un pagliaccio: e questo era il letto della padrona.
La donna tolse il basto all'asino, che se n'and? alla mangiatoia accanto ai buoi. Poi mi sciolse e sollev? dalla cesta; ed ammucchiato un poco di strame sotto il parapetto del pozzo, fra l'asino ed il maiale, quivi riponendomi, m'accenn? minacciosamente ch'io stessi cheta. Di poi tratti fuori i buoi con l'aratro, m'inchiav? dentro al buio con quattro de' sei quadrupedi coabitanti con lei, ed and? via.
Padre mio amoroso, io non imprendo a raccontarvi quello ch'io soffersi in quell'infame borgo tutto l'inverno e tutta la seguente state. I miei patimenti furono inauditi, e s'io li raccontassi, sarebbero incredibili. Ah padre mio! cos? divisa, come mi sento, da ogni cosa terrena, cos? vicina, quale sono, al sepolcro, a quel porto che tanto sospirai, pure s'io mi rivolgo a contemplare l'oceano di dolore dal quale approdo, non posso fare che non mi prenda un'infinita piet? di me medesima, e ch'io non versi un torrente di lacrime. Ah padre! se un lampo di piacere balen? nella vita, si dilegu? per sempre; e se traluce un istante al pensiero, non ? pi? piacere: ma la memoria del dolore, ? dolore sempre.
Come io guarissi della spalluccia slogata e della ferita nel petto, non mi rammento. Ma certo la sola natura n'ebbe il merito. Io passava i giorni e le notti scalza e presso che ignuda fra la pi? mortale umidit?, e sentivo quasi sempre quel senso di smania inenarrabile, che poscia intesi essere la febbre. Un tozzo di nerissimo pane inzuppato nell'acqua era tutto il mio nutrimento; quello squallido tugurio era tutto lo spazio ove mi era conceduto di estendere i miei mal fermi passi; quel poco di strame tutto il mio letto; e le pi? barbare e spietate percosse erano il solo avvenimento che veniva a rompere l'orribile uniformit? della mia giornata. O Dio pietoso! se nella tua ineffabile bont? hai impresso nel cuore di ogni animale un instinto d'amore per il suo simile, come puoi consentire che la creatura umana odii tanto la creatura umana?
La donna vedendomi malandata e quasi vicina a morire, e per la inferma et? ancora incapace di poterle essere utile di nulla, cominci? a pentirsi fieramente della sua risoluzione. S'ella mi dava un bandolo d'una matassa per isvilupparla, io lo smarriva e pi? inviluppava la matassa. S'ella mi dava a tenere l'asino per la cavezza, quello o me la strappava di mano, o, s'io teneva forte, mi gittava per terra e mi strascinava. S'ella mi comandava la sera di destarla la dimane innanzi giorno, io, giusto quando dovevo destarla, m'addormentava: e se di notte era picchiato all'uscio alla sprovvista, la donna, che non voleva levarsi dal caldo pagliaccio, mandava me, ch'ero nuda sullo strame, acciocch'io lo aprissi; ed io, con le mie tenere mani, non bastava a dischiavarlo. Tutte queste o simili colpe erano punite con pugni, con calci, con ceffate; con l'afferrarmi pei capelli e gittarmi a furia sullo strame, o, tenendomi forte per quelli, percuotermi la tempia al muro, e rialzarmi talvolta il viso in su a tutta forza per battermi, quasi togliendo la mira, su gli occhi, e lasciarmi per pi? giorni come cieca.
In tanta disperazione d'ogni umano soccorso, trovai qualche sentimento di compassione e di benevolenza, in fine, di quello che troppo malamente chiamasi umanit?, in qualcuno degli animali che vivevano con noi. Tutte le volte ch'io rimaneva chiusa al buio, il gatto, con que' suoi occhi lucenti rompendo quasi le tenebre, veniva a adagiarsi sullo strame allato a me, e, come tenendomi compagnia, mi comunicava un poco del suo calore. Il maiale veniva spesso come a fiutarmi ed a riscaldarmi col suo grifo in atto pi? tosto benigno, e senza mai farmi un male al mondo. Ma quello che mi concep? un'amicizia di cui nessun uomo non ? capace, fu il cane. Questo mi stava sempre accanto, se non se quanto la crudele donna a furia di vergate lo menava alla campagna. E sempre che m'era accanto, tutta mi veniva leccando e carezzando, e vedendomi, io credo, cos? ignuda e prossima a morire del freddo, cercava, quanto pi? poteva, di riscaldarmi col suo alito. Questo, tutte le volte che la rea femmina mi si stringeva addosso per istraziarmi, tentava ogni via di difendermi, baiandole contro, afferrandola per la gonna e talora perfino accennando di volerla mordere.
Durante la state, io soffocava dal caldo umido e dall'abbominevole sito di quel tugurio. Quando la donna, di fitto meriggio, tornava e m'apriva, s'ella andava attorno per sue faccenduzze, io, appena gli occhi, stati lungo tempo al buio, potevano sostenere la luce, mi conduceva chetamente sotto quel pino. Quivi all'aria aperta la respirazione mi diveniva pi? libera. L'ombra del pino e un venticello, che spira sempre a quell'ora dal mare e quasi sente l'alga, mi rinfrescavano il viso e tutta la persona, ch'io aveva arsa e divorata dagl'insetti che brulicavano nello strame. ? cosa maravigliosa come in un istante io mi annegava nella pi? profonda dimenticanza de' mali miei e di me stessa: come la quiete universale, la contemplazione della natura tutta in pace con se medesima e il tenue stridore delle cicale ch'erano fra i rami del pino, m'inducevano la pi? dolce malinconia ed alla fine il pi? dolce sonno, ch'io abbia mai delibato nella mia vita. Allora io sognava felicit? di paradiso, beatitudini ineffabili, quali sola la fantasia de' bambini pu? sognare, perch? quella dei giovanetti ? gi? troppo inferma dal dolore. Questi sogni erano rotti dai gridi e dalle percosse della donna, che voleva ch'io stessi dentro a guardare le sue masserizie; perch? il cane era a guardare un vicino pagliaio.
Io aveva una cos? infinita necessit? di prendere qualche volta questo sollievo, ch'ero rassegnata e ferma nel mio fanciullesco cuore di sopportarne con costanza la pena consueta: e sempre che potevo, me n'andavo al pino. Il cane, pare incredibile, avvistosi del tutto, sempre che il fatto si rinnovava, abbandonava il pagliaio e si poneva in agguato. Appena scorgeva la donna di lontano, ratto correva a me, e, prendendomi dolcemente il piccolo braccio con la bocca, m'aiutava a condurmi prestamente dentro, e mi riponeva sullo strame; poi, come un baleno, era di nuovo al pagliaio.
Un giorno, era del mese di ottobre, venne alla strega una donna, a un di presso della medesima et? di lei, ma assai male in arnese, tutta lacera e scalza, con un pannaccio in capo, e tale, in sostanza, che me ne parve vedere il ritratto, quando, svolgendo un libro di viaggi, vidi le figure di certe donne dei selvaggi che abitano presso alle sorgenti del fiume Colombia, nelle estremit? settentrionali dell'America. Io non so quali magiche parole le bisbigliasse costei all'orecchio, che la mia strega, dopo avere come fermato una specie di contratto, accostandosi a me e ghermendomi alla peggio, me le diede, cos? ignuda con un piccolo cencio indosso, dicendo:
Badate ve', se in questo mezzo ella morisse, fate che il curato della pieve di Resina ve ne dia il contrassegno. Io non voglio avere a inzeppar la bocca a' birri con qualche danaro de' miei, per la morte di cotesta cagna, che Iddio o il diavolo se la pigli presto; che son proprio stucca di udirla piangere. Che se non fosse stato un voto per una grazia che mi fece Maria Vergine Annunziata di far morire una mia vicina, che m'ammaliava tutto con gli occhi, io non mi sarei mai messo questo fistolo addosso.
Quello che a voi nuoce, comare mia, a me giova, rispose l'altra. Io ho bisogno d'una bimba che pianga e guaisca d? e notte; e questa mi pare il caso mio. Per questo mese, adunque, voi ne starete franca. Avete il pegno per la sicurezza della restituzione; e quando ve la riporter?, ve ne dar? la ricompensa promessa. Ora state con Dio.
E cos? dicendo, s'invi? per un solitario ed intricato sentiero, quando portandomi in braccio, e quando strascinandomi per la mano. Riuscimmo a San Giorgio a Cremano. Quindi ci conducemmo a Portici; e poscia a Resina. Ivi la donna, svoltata per un viottolo che riusciva nella strada maestra, aperse l'uscio d'un tugurio simile a quello di Sant'Anastasia, salvo che somigliava meglio una caverna, e che non v'era animale di sorta alcuna, altro che noi due. Qui l'egualit? era pi? esatta, perch? la donna ed io dormivamo entrambe sulla paglia, ch'era la sola suppellettile della casa. Era gi? notte quando vi pervenimmo; onde s'and? subito a letto. La dimane alla prima luce, la donna si lev?, mi tolse in braccio, aperse e richiuse l'uscio della sua casa, e venne sulla strada maestra.
Quivi, adagiatasi sopra un rottame di colonna antica, e scoperte alcune luride piaghe ch'aveva nelle gambe e sul collo, e distesa me sopra i suoi ginocchi, cominci? a domandare pietosamente la vita per Dio ai passeggieri. Quando la via era deserta, ella si riposava e prendeva fiato dal continuo lamentarsi. Appena appariva o una vettura, o una brigata di villeggianti, che in quel mese sono frequenti in quei luoghi amenissimi, cominciava a rammaricarsi ed a piangere s? pietosamente, che avrebbe mosso a compassione ogni cuore pi? duro.
Io passava, come voi potete immaginare, tutta la mia giornata a piangere non per finto ma per verissimo dolore e per verissima mancanza d'ogni umana necessit?. Per?, senza saperlo n? volerlo, secondavo maravigliosamente gli sforzi scenici della donna. Pure avveniva talvolta che la stanchezza causata dal lungo pianto m'abbatteva in modo, ch'io m'addormentava in quel duro letargo che solo gl'infelici conoscono. Allora se un qualcuno compariva, la donna mi destava a furia di pizzichi e di schiaffi, e mi ammoniva ch'io dovessi piangere. E se il passeggiere seguitava la sua via senza muoversi a piet? di noi, quando quegli s'era bastantemente allontanato, la donna con graffi, con pugni e con calci mi puniva della durezza del passeggiere, dicendo che se io avessi pianto pi? forte, quegli si sarebbe commosso. Ed allora, appena le appariva alcun altro di lontano, prima che quegli s'appressasse, ella mi lacerava e mi straziava in tal guisa, che mi era impossibile di non dare alla fine uno sfogo di disperatissime lacrime al mio dolore, in modo ch'io mi trovava nel forte del mio pianto all'appressarsi di quello. In questo mezzo la donna cominciava anch'ella a lamentarsi; e non v'? dubbio che riusciva pi? facile di scrollarlo.
Cos? passammo tutto il mese d'ottobre e i primi d? di novembre. Poi, essendo la villeggiatura finita, e quei luoghi divenuti assai solitari, un giorno la donna s'incammin? con meco verso Sant'Anastasia, mi restitu? alla sua comare, e datole un compenso in danari per il nolo della mia persona, e ripreso il suo pegno, ne and? con Dio a rappresentare sola la parte di mendicante o d'altro pi? degno personaggio. Ed io, campata appena dai suoi artigli, solo Iddio sa con quanti sospiri e con quanti gemiti preparai l'anima agli usati strazi che mi attendevano a Sant'Anastasia.
Ricondotta a Sant'Anastasia, quivi ritrovai e la primiera carit? negli animali che domandiamo bruti, massime nel cane, che non trovava luogo dalla consolazione d'avermi rinvenuta; e la primiera ferocia nella donna, che gi? cominciava a farmi menare la solita vita; quando giunse il suo marito. Questi, per la povert? che regna nei dintorni di Napoli, era ito in Basilicata al taglio d'un gran bosco; dove era stato presso che un anno. Era circa la mezza notte quando la strega ne ud? il fischio. Scese lentissimamente del pagliaccio, dicendo:
Ora torna col malanno.
Poi aperse l'uscio, donde entr? dentro una brutta figuraccia di brigante, in abito di pecoraio, qual era, con una grande scure in ispalla e un gran coltellaccio al fianco.
Ci sei tornato alla fine, disse la donna.
Quegli non rispose una sillaba. Lasci? la scure e il coltellaccio in un canto, si spogli? la pelle di montone ch'aveva indosso, e gittatosi sul pagliaccio, s'addorment? profondamente. Lo stesso fece la donna allato a lui.
Il d? seguente al primo crepuscolo, destosi il marito e postosi indosso la pelle, venne a' buoi per trargli fuori. La sua maraviglia fu grande quando col piede urtando il mio corpicciuolo, ch'era sulla paglia, si fu accorto di me. Volto alla moglie, disse:
Donna, che vuol dir questo?
L'? una bimba della Nunziata, disse la donna, ch'io aveva tolta per un voto fatto a Maria Nunziata, ed anche per mia compagnia e per mio aiuto, quando la sar? fatta grandicella.
Ah maladetta sia tu e la mamma che ti port? nel ventre, grid? quegli in capo alla donna. Or non sapevi tu che noi non s'ha da vivere noi, che tu mi porti i figliuoli d'altrui da nutrire? Va all'inferno, brutta guercia di stregaccia, che da ch'io son teco, non m'ebbi altro bene da te se non che tu non mi partoristi alcun figliuolo, cos? ammalazzata e incancherita come tu sei; e tu mi cacci i putti della Nunziata in casa?...
Poscia, datile due grandi sgrugnoni, bravando e minacciando, soggiunse:
Or fa ch'io non la trovi a casa stasera.
E tirati i buoi per la cavezza, ne and? nella sua malora.
La donna, com'? il costume di questi selvaggi, si vendic? sopra me, pi? debole di lei, de' due sgrugnoni ch'ella aveva avuti dal pi? forte. Questa ? la scala mirabile dei compensi che regna nell'ordine universale. M'afferr?, mi percosse, mi calpest?, gridando con fiera voce che per causa mia ne aveva toccate dal marito. Di poi, imbastato l'asino, mi vi leg? sopra alla peggio: e tiratolo fuori, e chiuso l'usciolino, si sedette sul basto, e s'incammin? per la via onde, dieci mesi prima o circa, eravamo venuti.
Io non vi racconter? tutto quello ch'io soffersi durante il viaggio, e nella visita che s'ebbe al Ponte, che fu anche pi? rigorosa della prima. Allo Sperone ci apparve il cane, il quale in sull'alba era andato via col padrone. Io non so come si facesse quella povera bestia a sapere che noi si partiva, n? a fuggirsene dal padrone per raggiungerci. Ma mi rammento che quando io lo vidi, tutto ansante, con la bocca aperta, con la lingua di fuori, venire verso noi come per dimandar ragione alla strega del dove ella strascinava l'infelice creatura ch'egli aveva preso a proteggere, io provai un sentimento di gratitudine e di affezione cos? vivo e cos? doloroso a un tempo, che anche ora mi torna nella fantasia come uno dei pi? strani fantasmi della mia vita.
Entrati nella citt?, pervenimmo in fine alla casa della Nunziata, sotto quella medesima immagine della Vergine di questo nome, dove la donna aveva lasciato l'asino quando venne la prima volta per prendermi. Anche ora ferm? quivi l'asino, e smontatone, mi sciolse con pi? garbo del solito, o che la certezza di non vedermi pi? ammollisse un poco l'animo bench? salvatico, o che la trattenesse l'aspetto della gente ch'era sulla via, e di certi vecchi custodi, che siedono sempre in cerchio presso alla porta della Casa, e guardano, con ammirabile impassibilit?, il continuo ritorno della scena che leggerete.
Nella muraglia ch'? fra l'immagine e la porta, ha una buca d'un mezzo braccio di diametro, io credo. A questa dalla parte di dentro ? aggiustata una di queste ruote di ferro che s'usano ne' conventi, la quale cede leggermente a qualunque spinta le sia data di fuori, ed agevolmente si gira. Dalla parte di fuori, sopra questa buca ? una lapida di marmo con questa scritta mezzo barbara:
O PADRE E MADRE CHE QUI NE GETTATE ALLE VOSTRE LIMOSINE SIAMO RACCOMANDATE.
? legge antica di quell'ospizio che non possa essere rifiutato un fanciullo, qualunque siesi l'et? sua, purch? quella buca non sia incapace al suo corpicciuolo. Questa legge, come voi intendete, ha messo a repentaglio la vita di molti bambini. Ed allora messe in pericolo la mia. Perch? la donna, pentitissima del fatto suo ed avidissima di levarmisi dinanzi, girata con la sinistra mano la ruota e con la destra tenendomi forte per la vita, mi cominci? a ficcare il capo e poi le spalle dentro della buca e spingeva forte: ma quella non era capace.
Quando il cane si fu accorto che mi perdeva per sempre, divenne furioso. Si scagli? addosso alla donna, mordendola rabbiosamente e cercando ogni via di strapparmele di mano. Ma pi? il cane mordeva, e pi? la donna raddoppiava le spinte per cacciarmi dentro. Ecco tutta la plebaglia ch'era in sulla via, gridare verso il cane che mordeva la cristiana, ed assalirlo con una pioggia di sassi e di bastonate. Io udii il cane lamentarsi miserabilmente, e parvemi che allora allora rendesse lo spirito. La donna, liberata dal cane, mi diede una terribile spinta, per la quale mi sentii stringere la gola e stillare il cervello. La ruota si rivolse in un attimo, ed io mi trovai agonizzante sulle ginocchia d'una religiosa.
Ritornatomi nella mente l'ordine de' miei pensieri, sospeso dalla pressione ch'io aveva sofferta al cervello, diedi le pi? amare lacrime al cane, perch? udii, o mi parve almeno, che il popolo sulla via, strascinandolo, gridasse sollazzevolmente: ? morto. Dal d? ch'egli mi aveva posto amore, io aveva provato per la prima volta della mia vita il dolcissimo sentimento della compagnia. Poich? una creatura vivente, un abitatore, come me, di questa lacrimevole valle, mi amava, prendeva cura di ogni istante della mia giornata, vegliava i miei sonni e preferiva la mia alla propria sua conservazione, io non poteva chiamarmi pi? n? sola n? infelice nell'universo.
Quando sentii d'averlo perduto, il sentimento spaventevole della solitudine m'occup? tutto il cuore, e mi lasci? di ghiaccio. La vista di quei chiusi e tetri corridoi, dove ignara di tutto l'essere mio e di me stessa, io aveva bevuto il primo sorso alla tazza amara della vita, la memoria dell'inedia, del freddo e delle prime lacrime, onde mi era stato rivelato il mio essere, e quel non so che di profondamente lugubre, ch'? sempre proprio di tutte le grandi comunit?, mi gettarono nella pi? disperata tristezza. Allora non mi tornava pi? alla mente lo strame, o il tugurio, o l'umidit?, o il buio, o le spietate percosse di quella strega, ma le ore tepide e serene del pino, e l'aura odorata e fresca, e l'ineffabile dolcezza de' miei sonni meridiani. O padre, come presto impara l'uomo a fabbricare la propria infelicit?!
La monaca che mi aveva raccolta dalla buca, mi condusse per mano adagio adagio per molti corridoi, dove io camminava quasi brancolando, sentendomi ad ogni passo mancare. Giungemmo finalmente a un corridoio largo assai e di sterminata lunghezza, che udii chiamare, la sala grande. Oh Dio pietoso! qual aria, o pi? tosto quale peste, si respirava l? dentro. Ogni volta che la necessit? della natura mi costringeva ad inghiottire di quell'aria, io sentiva scendermi per la gola e per il petto non so che di acre e di velenoso, che mi parea ch'andasse dritto al cuore per uccidermi; e sentivo come approssimarsi la morte, e mi gocciolava dalla fronte un sudore gelato. Ma a poco a poco il senso vi si aus?. Riavutami appena, volsi gli occhi intorno, e vidi da ambo i lati non so quante centinaia di meschini e squallidi letticciuoli, coperti tutti d'un pannicello giallo di canape grossa. Sopra ognuno di questi era una donna con tre bambini, brutti per lo pi? e malaticci, perch? i belli li prende quasi tutti la gente di fuori, chi per divozione, chi per l'utile fine della donna di Sant'Anastasia e chi per altro. Le donne rotolavano i bambini su pe' lettucci o su per le spalle e le cosce loro, a guisa di pallottole: e le pi?, in luogo di farli poppare, inforcavano loro la bocca con le dita per non udirli piangere. Assai altre donne giravano per la sala, con bambini un poco pi? grandicelli; chi ne strascinava due, chi tre per la mano, di cos? mala grazia, che ancora mi fa sdegno a pensarlo. Qualcuna si portava un bimbo in braccio, e lo baciava con tenerezza materna; perch? non ? nuovo il caso che qualche infelice donzella, dopo avere nascosto in quella buca il tenero frutto d'alcun suo errore, corra poscia, spinta dalla miseria o dall'amore infinito di madre, a presentarsi alla Casa come nutrice, e conscia ella sola del suo mistero, porga al fanciullino quel latte medesimo che gi? la natura gli aveva destinato. Oh! forse quel fanciullino sente su quel seno una pace, che mai nel seno di nessun'altra donna non avrebbe sentita!
Nell'ultimo fondo di questa immensa sala era un letto meno iniquo degli altri. Presso a quello sedeva una monaca di aspetto pi? tosto dignitoso e grave: ma le traspariva non so che di acerbo e di crudele dagli occhi. A costei, che udii chiamare la monaca di guardia, mi consegn? l'altra monaca di meno austera presenza, che mi aveva raccolta d'in sulla ruota.
Era cosa troppo naturale, che nel mio viso fossero scolpiti i segni degli orrendi e lunghi patimenti dai quali venivo, e delle angosce mortali che avevano accompagnata la mia entrata nella buca. La monaca di guardia mi consider? un momento con un volto arido, che faceva fede della lunga familiarit? ch'ella aveva con simile sorta di scene. Poscia disse, in un modo freddissimo e come si fa della cosa pi? indifferente del mondo:
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