Read Ebook: Prose (1880-1890) by Pascarella Cesare
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Ebook has 931 lines and 87760 words, and 19 pages
CESARE PASCARELLA
PROSE
S. T. E. N. SOCIET? TIPOGRAFICO-EDITRICE NAZIONALE Torino, 1920.
TUTTI I DIRITTI DI RIPRODUZIONE, DI TRADUZIONE, D'ADATTAMENTO E D'ESECUZIONE SONO RISERVATI PER TUTTI I PAESI
Copyright 1920, by the SOCIET? TIPOGRAFICO-EDITRICE NAZIONALE , Turin.
MEMORIE D'UNO SMEMORATO
Nello studio dove eravamo non si poteva pi? vivere. Si stava in una soffitta al sesto piano di un casamento altissimo, dove, nell'estate si bruciava come in un forno, e nell'inverno, nei giorni di pioggia, anche i quadri ad olio diventavano all'acquarello. E come se questo fosse poco, sotto a noi abitava la pi? numerosa e pi? filarmonica famiglia che io abbia mai conosciuto, il cui capo, un omone con un barbone nero che gli scendeva fin sulla pancia, era impiegato nelle regie poste e suonava il trombone. Quando tornava in casa, mentre la moglie gli apprestava il desinare, egli si metteva a soffiare nel suo strumento e cominciava il terremoto.
Le sue figliuole poi, non facevano altro che tormentare un povero pianoforte con la coda, il quale mandava certi suoni, emetteva certi lamenti e certi guaiti, come se gliela pestassero.
Un giorno, mentre il trombone del nostro vicino brontolava pi? fastidiosamente del solito, il mio compagno di studio, misurando l'angusta soffitta col passo dell'uomo che ha da dire cose gravi, mi confid? come un nuovo tormento venisse ad aggiungersi al trombone e al pianoforte.
-- A coda! -- mormorai io.
-- Gi?. Ed ? a coda anche il nuovo istrumento di tortura.
-- Cio??
-- Guarda! -- mi disse allora l'amico; e aperta la finestra mi accenn? una gabbia di vimini, entro la quale nereggiava un merlo spennacchiato. Poi richiuse le imposte e incominci? a discorrere per provarmi che noi due, l? dentro quella soffitta, ci logoravamo inutilmente l'intelligenza; che bisognava trovare uno studio decente; che non era possibile rimanere pi? a lungo in quel bugigattolo. E incrociando le braccia sul petto concluse: -- Non hai mai pensato che se ci dessero l'ordinazione di dipingere un gran quadro saremmo costretti a rifiutarla per mancanza di spazio?
-- Sarebbe doloroso.
-- Per noi e per l'arte nazionale.
Insomma, restammo d'accordo sulla necessit? assoluta di metterci alla ricerca di uno studio, dove, se mai qualcuno ce l'avesse chiesto, avremmo potuto dipingere il gran quadro, senza i borborigmi del trombone, senza i guaiti del pianoforte e senza i fischi del merlo.
Di studii se ne videro molti in via Sistina e lungo la via Margutta, nei nuovi quartieri e pei vicoli popolosi e pittoreschi della vecchia Roma. Alcuni avevano l'ampio finestrone aperto sui giardini e sui cortili, altri ricevevano la luce da una larga finestra aperta nel mezzo del soffitto. Quasi tutti conservavano sulle pareti le tracce di coloro che li avevano abitati, e sulle porte riverniciate di fresco si leggevano ancora nomi d'artisti e di modelle, sentenze e appuntamenti commentati allegramente da caricature e disegni.
Quale dramma, racchiuso in cos? poche parole!
Fra i tanti studii da noi visitati l'unico che ci piacque fu un comodo stanzone in via Margutta; ma quel che non ci piacque affatto furono le ottanta lire al mese che ne chiedevano di pigione.
-- Ottanta lire, come vedono, ? tutt'altro che caro -- ci diceva il suo proprietario accompagnandoci e sbatacchiando due chiavette con la destra. -- E poi, come vedono -- proseguiva -- questo studio ha tutti i comodi: due porte, -- e strizzava maliziosamente un occhio -- acqua da bere...
-- E questo ? il guaio.
-- Perch??
-- Perch?, -- ripresi subito io mestamente -- c'? qui il mio amico che all'et? di sette anni ebbe la sventura di morire annegato nel Tevere, e da quel momento non pu? pi? soffrire la vista dell'acqua. -- E mentre il padrone, che aveva finito di giocherellare con le chiavette, ci guardava trasecolato, noi ce ne andammo.
Finalmente, lo studio che ci conveniva lo trovammo in un misero fabbricato fra le vigne e gli orti, fuor di una porta della citt?.
Il fabbricato dai muri scalcinati e anneriti, sui quali si abbarbicavano piante parassite, si sarebbe scambiato a prima vista per un vecchio fienile se sulla porta d'ingresso non vi fosse stata inchiodata una targa di legno su cui sbiadita dal tempo si leggeva questa iscrizione: STABILIMENTO DI STUDII DI PITTURA E SCULTURA.
-- Andateci pure -- ci disse -- e il triestino prima di andarsene vi consegner? le chiavi.
Un concerto di furiosi abbaiamenti e guaiti ci rispose dal fondo del corridoio.
S'ud? una voce urlare per rabbonire i cani irritati, e poi... Silenzio.
Bussai di nuovo pi? forte.
-- E avanti perdio! -- tuon?, allora, una voce minacciosa di dentro allo studio. E noi, entrammo e restammo ritti, impalati vicino all'uscio.
Nello stanzone un giovinotto radunava in una cartella alcuni disegni. Qualche quadretto stava gittato in terra, e un tavolino a tre gambe s'appoggiava al muro per non cadere.
-- Buon giorno -- disse il giovinotto senza neppure guardarci.
-- Buon giorno! -- rispondemmo noi all'unisono, e, posate in terra le nostre cartelle, restammo silenziosi a guardare la figura magra e donchisciottesca del pittore che dopo di aver chiuso nella cartella i disegni s'era messo a raccogliere in una piccola valigia alcuni pezzi di stoffa.
Quand'ebbe chiuso con una cordicella la valigetta si volse verso di noi e: -- Se vogliono accomodarsi -- ci disse -- non facciano complimenti. -- Nella stanza non c'era neanche l'ombra di una sedia.
Il pittore, allora, radun? entro un largo foglio di carta sudicia una quantit? di boccette vuote, di pennelli logori e di colori andati a male; s'avvicin? al finestrone e li gitt? fuori; quindi and? in un angolo dello studio, prese due ciabatte vecchie e le lanci? con forza fuori della finestra. Le due ciabatte mulinarono un istante sul cielo nuvoloso come due uccellacci neri, e scomparvero.
Intanto aveva cominciato a piovere, e il giovinetto come se ne provasse piacere, seguitava sempre a gittare gli oggetti inutili dalla finestra; poi, crescendo la furia dell'acqua, richiuse la vetrata e portandosi le mani ai fianchi, facendo arco della schiena, mugol? con voce nera: -- Accidenti alla pittura e a chi l'ha inventata -- E volgendosi ancora a noi, che eravamo sempre l? ritti come due coristi, seguit?: -- Me lo sanno dire loro chi l'ha inventato questo flagello di Dio?
-- I greci! -- risposi io prontamente.
-- Allora accidenti alla Grecia! -- riprese con voce sicura il giovinotto; e appoggiando i gomiti al davanzale della finestra, rimase a guardare, col naso sui vetri, la campagna grigia che si distendeva sotto la pioggia dirotta fino ai colli ultimi ove si perdeva nel cielo tempestoso.
-- Bah! -- borbott? poi volgendosi bruscamente, come se volesse scacciare i pensieri tristi -- non ci pensiamo! -- E presa la valigetta e una cartella, soggiunse: -- Stiano bene. Me ne vado. Ecco la chiave.
-- Con quest'acqua?
-- Ci sono abituato -- ribatt? il pittore alzando le spalle; e pigliato un disegno che aveva lasciato sul tavolino a tre gambe porgendolo a noi, disse sorridendo: -- Lo terranno per mio ricordo.
-- Grazie! Ma lei non se ne va, ora. -- disse il mio amico sbarrandogli la via dell'uscio.
-- Non posso trattenermi, debbo partire.
-- Parte?
-- Vado a Napoli.
-- Ma allora, le vogliamo augurare il buon viaggio. Qui sotto c'? un'osteria?
-- Pur troppo! -- fece il pittore.
L'acqua intanto rinforzava e il mio amico usc? e torn? di l? a poco, con un litro e tre bicchieri.
-- Alla vostra salute e alla vostra fortuna.
-- Alla vostra -- soggiunse il pittore, e urtammo i tre bicchieri che mandarono un trillo allegro in quello stanzone triste.
-- Evviva... Evviva... -- esclam? allora una voce di sotto alle tavole del pavimento. -- Nel mio studio piove acqua e nel tuo piove vino, eh!
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