Read Ebook: Scritti editi e postumi by Bini Carlo Mazzini Giuseppe Commentator
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Ebook has 704 lines and 114693 words, and 15 pages
Commentator: Giuseppe Mazzini
SCRITTI
EDITI E POSTUMI
CARLO BINI
LUGANO TIPOGRAFIA DELLA SVIZZERA ITALIANA 1849.
Poich? la carit? del natio loco Mi strinse, raunai le fronde sparte
DANTE.
AI GIOVANI
GOETHE.
Gli scritti in parte editi, in parte inediti, raccolti in questo volume, sono l'unico indizio ch'oggi ci avanzi d'una santa anima che pass?, alla quale Dio aveva largito tanto tesoro d'amore da benedirne un'intera generazione, e che gli uomini e i tempi costrinsero a riconcentrarsi in s? stessa: sono il profumo d'un fiore calpesto da molti, inavvertito dai pi?, al quale mancarono l'aria e il sole, pur nondimeno sacro e bello di divina bellezza a quanti adorano nella povera modesta rosa dell'Alpi un simbolo di poesia, e dell'eterna vita che Dio diffonde, a conforto e promessa, anche fra i geli dell'inerzia e le nevi dello scetticismo.
Condannato dalla fortuna a occupazioni dalle quali si ribellavano tutte le tendenze dell'animo suo, affannato dal desiderio d'un Ideale ch'ei disperava di raggiungere in terra, roso, - e questo ? tormento che i pi? negano, e nessuno forse, se non chi lo prova, pu? intendere, - dalla potenza che gli fremeva dentro e rimanevasi, per disconforto dell'Oggi, inoperosa al di fuori, CARLO BINI tra l'esser frainteso o profanato nell'espressione del suo pensiero, scelse il silenzio; ma lo ravvolse di tanta dignit?, che parve, a chi lo conobbe dappresso, pi? eloquente d'ogni parola. Non si lagnava; avido d'amore, sdegnava il compianto; fors'anche lo tratteneva il timore di aggiungere, snudando le proprie piaghe, allo sconforto dell'anime giovani, che guardavano in lui ed erano men forti a reggere che non la sua. La sua era di quelle che s'affinano nella sventura. Tutta la vita sottratta all'intelletto di BINI si riversava nel cuore; n?, s'egli avesse trovato l'esistenza simile fin da' primi suoi giorni a un letto di rose, avrebbe potuto mostrarsi pi? affettuoso ai viventi che s'abbattevano in lui. Dall'attivit? d'amico ch'egli pi? anni addietro, spieg? per giovare, nelle strette d'una crisi di povert?, chi scrive codeste pagine, fino alla traduzione dal Tedesco ch'egli imprese poco tempo innanzi la morte, e quando il male che ce lo rap? lo travagliava minaccioso, per soccorrere col ricavato della vendita a un conoscente, io potrei citare una serie d'atti tali e tanti da onorare qualunque vita; ma non li cito perch? mi parrebbe offendere la santit? del pudore ond'ei ricopriva le belle azioni della sua vita: ei benediceva, come soffriva, tacendo. Non so quanti vivano grati a BINI per aiuto, consiglio o conforti; son certo che non esiste un sol uomo il quale possa dolersene. Tendente al frizzo, s'adoprava continuo a correggere la natura, e lo temperava di tanta benevolenza che nessuno poteva patirne o adontarsene: intollerante e santamente sdegnoso solamente all'ipocrisia. Lento, ma tenacissimo, negli affetti, non li trad? mai per tempo, lontananza, o vicende: tradito egli stesso, rispett? il passato e non rispose che col silenzio. Serb?, perseguitato, contegno virilmente decoroso dell'uomo che dal primo all'ultimo anno della sua vita avea, com'egli stesso scriveva, <
Mor? c?lto d'apoplessia, il 12 Novembre 1842 nell'et? di trentasei anni, dopo quaranta ore pi? che di agonia di letargo, in Carrara, dov'ei s'era per affari recato. Ma le sue ossa, trasportate devotamente per voto di tutti ed opera degli amici a Livorno, riposano dov'io forse non potr? mai pi? visitarle, a Salviano, nel cimitero.
N? gemo per lui; perch? gemerei? Il suo pensiero gli sopravvive, pi? potente a spandersi invisibile dal mondo migliore, ov'egli soggiorna, tra' suoi fratelli di patria; ed egli ? salito a vita meno infelice e pi? pura. Gemo per noi che abbiamo perduto un amico, e non siamo certi fino all'ultimo giorno di meritar di raggiungerlo: gemo pei giovani che avrebbero potuto abbandonatamente specchiarsi e fidarsi in lui, e ai quali son tanto rare in oggi siffatte guide. E gemo dal profondo dell'anima pensando alle tante anime mie sorelle, simili a quella di CARLO BINI, che onorerebbero d'opere generose e di nobili scritti l'Italia, e si consumano, mentr'io scrivo, ignote a me, ignote a tutti, nel tormento d'un'impotenza decretata dai tempi, dall'egoismo ognor pi? invadente, e dall'inerzia vostra, o Italiani. Provvedete a quest'anime, o Giovani: ? BINI che prega per esse. Voi avete dato onore d'esequie solenni e di tomba alla sua spoglia mortale: sia con voi il suo spirito e fate del vostro cuore un santuario della sua vita. Operate come se aveste raccolto in voi l'alito estremo del pensiero d'amore che lo animava. Educatelo devotamente attivi e diffondetelo sulla terra che BINI piangeva caduta. Amate la Patria come ei l'amava: ribeneditela d'entusiasmo, di fede, di Poesia: preparate ai vostri ingegni privilegiati quel popolo di credenti che BINI invocava. Oggi, comunque facciate d'abbellirle e onorarle, l'Angiolo dello Sconforto siede sulle tombe de' vostri cari, e la voce che noi moviamo per essi, e dovrebbe innalzare in religiosa lietezza l'inno della nuova vita, suona lamento inconsolabile e amaro.
NOTE:
PRIMA PARTE.
MANOSCRITTO DI UN PRIGIONIERO
- 1833 -
You smile? t'is better thus than sigh.
BYRON.
V'? pi? ragione di ridere quando sei in fondo, che quando sei in cima; - almeno tu non temi pi? di dare la balta. Il riso dell'uomo felice pu? essere smentito da un punto all'altro. La Fortuna non fa contratti perpetui con nessuno. Il suo corso ? a spirali, e non rettilineo. Oggi t'abbraccia, e ti mette sul capo un diadema; dimani ti taglia la testa, e la d? per balocco all'abietto, che faceva da sgabello ai tuoi piedi.
EPIGRAFE, CHE VA PER CONTO MIO.
Il cervello dell'uomo appena ? in istato di esercitare le sue funzioni pu? rassegnarsi in tre scuole. Di queste una infallibilmente ne conoscete, - senz'altro le conoscerete anche tutte, perch? non sono arcani di astronomia; - son cose semplici, e dappertutto si sentono dire. Io nondimeno, a scanso di equivoci, mi stimo in dovere di nominarvele tutte e tre, secondo l'ordine naturale in cui giacciono fino dal principio dei secoli. Elle pertanto sono queste:
Scuola della Fede;
Scuola del dubbio;
Scuola dell'Incredulit?.
Un tempo io mi dava a credere, che un effetto solo e determinato fosse prodotto sempre da una causa sola, determinata, immutabile. Un tempo io lo credeva, - e la Logica anch'essa mi accennava col capo ad una certa distanza. A me pareva allora che volesse darmi ragione, - e forse invece voleva dirmi di no.
Lo conoscete voi Sancio Pansa? Quel tipo verace di buon senso gregio e originale, tale e quale come la natura se lo cava di manica? - Ma diamine! v'? mestieri di domandarlo? Prendete l'uomo il pi? idiota, e rammentategli Sancio Pansa, si mette subito a ridere. Sancio Pansa ? conosciuto in Europa, ? conosciuto in America, e sar? pur conosciuto in Africa e in Asia, quando queste due parti del globo vorranno leggere nei nostri libri. Sancio Pansa ? il buon umore incarnato, - grazioso nei suoi sali, grazioso nelle sue balordagini, grazioso a piedi, grazioso sul'asino. - Sancio Pansa ha ormai la sua nicchia nella storia, e vi sta saldo, inchiodato, imperterrito; - potete scuotere a vostra posta, Sancio Pansa non si muove, non crolla. Egli e il suo asino occupano pacificamente tante miglia quadrate di fama, quante il primo conquistatore di prima classe: citate pure Alessandro, citate Cesare o Buonaparte.
Eterne grazie a Cervantes che me lo diede a conoscere! Io l'ho benedetto le mille volte Sancio Pansa, perch? mi ha fatto del bene. L'ho benedetto come il maestro, che mi ha insegnato tante cose, che l'accigliata filosofia non sapeva insegnarmi; - l'ho benedetto come il sogno allegro delle mie veglie, - come l'amico che nell'ora nera veniva di mezzo a mettermi in pace meco stesso e col prossimo. - Sia lieve la terra sulle sue ossa; - sia lieve ancora su quelle del suo asino. - Quest'ultima prece consoler? il suo spirito quanto la prima.
Sancio Pansa dunque era quell'uomo, che voi tutti ben conoscete. Aveva anch'egli una madre, perch? Sancio Pansa fu una persona vera e viva di questo mondo, battezzata e sepolta in Ispagna. Ora non mi ricordo appunto in qual parte del libro Sancio Pansa racconta, che sua madre, per arguzia di natura e per vecchiaia, era una donna pratica assai delle cose umane. Narra di pi?, che un giorno ragionando di nobilt?, di casate illustri, di origini antiche, sua madre chiuse il discorso affermando sinceramente di non aver conosciuto al mondo se non due sole famiglie: quella di coloro che hanno tutto, e quella di coloro che non hanno nulla. E la vecchia soggiungeva candidamente, che non so come l'istinto la portava a dirsela pi? volentieri colla famiglia dei possidenti.
Dunque nota bene: Chi va in prigione ? povero o ricco.
Quando va in prigione un signore ? un avvenimento che nessuno se lo aspettava. Tutti se ne fanno le maraviglie; tutti ne parlano in mille voci, in mille maniere. Chi bisbiglia, chi grida, chi dice di s?, chi dice di no.
La citt? ? seminata di gruppi, e per mezza giornata almeno non fanno pi? nulla, se non ciarlare del caso, e da un gruppo cacciarsi in un altro: precisamente come quando segue l'eclisse del Sole. Un signore in prigione pare alla plebe impossibile. - La plebe, che somma fatta in capo all'anno sta sei mesi in prigione e sei mesi in una soffitta, ? inutile, non se ne persuade, perch? non ce ne vede mai dei signori; e cos? di rado che non se ne rammenta. Crede le prigioni fabbricate unicamente per s?; e se v'entra alcuno che non sia de' suoi, ? un fatto che la percuote, le sembra quasi una usurpazione. - Tanta ? la potenza dell'uso. - La plebe non crede che la colpa possa vestirsi di panno fine,... crede che la colpa vada solamente vestita di cenci, scalza, e col capo ignudo. - E s? che tutto il giorno ha in bocca un proverbio pieno di verit? che dice: L'abito non fa il monaco. - Non giova: - quel proverbio erra per tradizione cos? sulla lingua, ma la mente non l'accorda. - La plebe crede pur troppo nell'abito, e cotesta persuasione oggimai s'? ossificata con lei.
Tuttavia, volere o no, di rado, ma qualche volta un signore va in prigione.
Egli, appena ha varcato di tre o quattro passi la soglia, si volta risoluto, - fa il viso pi? imperioso del solito, - squadra il carceriere dai capelli alle piante, - poi gli ficca gli occhi negli occhi. - Lasciatelo fare: il signore legge qualche cosa in quegli occhi. ? una lettura rapida, che dura un attimo, ma basta, - e il signore se ne trova contento.
Se ne trova contento, e mette mano alla borsa: - la dondola con due dita un momento per aria, - la fa suonare, - dice qualche cosa che non vuol dir nulla, e il soprastante che ? un gran chierco in tutte le lingue, - anche in quella dei muti, - risponde subito; comandi, comandi; - in quella stessa maniera, n? pi? n? meno, che rispondevano gli spiriti in quei secoli d'oro, quando un mago o una strega con un tocco di verga o con un ribobolo erano padroni dell'aria, della terra e dell'inferno....
In questo mentre il signore ha girato per tutti i versi la nuova abitazione; - ha veduto e riveduto minutamente, - ha disposto dove far la tal cosa dove far la tal altra; - dove dormire, - dove vegliare, - dove pensare, - dove non pensare. Ha fatto di quando in quando diverse dimande, e il soprastante spesso gli ha risposto un no invece di un s?, e viceversa. ? un cattivo momento per discorrer con lui, - ha l'animo troppo internato nell'assetto delle tre camere, e cotesto pensiere gli ha rubato la mano. Ella ? finita, - vuol farsi onore, nessuno lo frastorni, - tanto non d? retta a nessuno.
Laudate Iddio! l'assetto ? finito, - si pu? respirare, - respiro anch'io. Con un'occhiata i valletti son licenziati, e se ne vanno. Alla buon'ora. Adesso il soprastante ? contento; - se lo guardate bene nella statura, vi pare un dito pi? alto. - Si asciuga il sudore della faccia, - si raffazzona i capelli, - compone lo scompiglio delle vesti, - si scuote d'indosso la polvere, - si mette in somma in buono stato, - nello stato di comparire come un galantuomo. Dopo si rivolge al signore con un mezzo sorriso tra la compiacenza e l'orgoglio, e il signore gli corrisponde tentennando con bel garbo la testa. Ora ? tempo che anch'ei se ne vada. E di fatti vedetelo l? col cappello in mano, che se ne va all'indietro fino alla porta. E non crediate che se ne vada alla muta. Oh! il soprastante ? un uomo di mondo. Sicuramente ha detto: servo devoto. Io l'ho sentito con queste orecchie, - e l'ha detto in tono di basso assoluto.
Ora manca null'altro? - Non saprei: - v'? la prigione, e il signore v'? dentro. Oh! le belle prigioni che son quelle dove vanno i signori! La povera gente le scambierebbe volentieri con la sua libert?. Cosa manca al signore l? dentro? Il soprastante gli ha pur detto: comandi, comandi; - ed egli non ha inteso a sordo. Gli d? noia il divario, la novit? del locale? Pu? immaginarsi finita la scritta della casa abitata prima, e che gli sia convenuto tornare in un'altra; - pu? immaginarsi il suo palazzo in mano alle maestranze per bisogno di certi restauri, e che per questo abbia condotta a pigione provvisoriamente una casa, come veniva veniva. Gli d? noia forse il non potere uscir fuori? - Bene, pu? mettersi in capo che non ha voglia d'uscire, - che l'acqua vien gi? a rovesci, - che si ? stravolto un piede montando a cavallo, - che cerca la solitudine per comporre un'opera, per farsi anch'egli un bel nome. In somma a lui tocca a scegliere. - L'immaginazione ? l? come un merciaiuolo alla fiera, e gli va mostrando uno dopo l'altro i suoi mille fantasmi, e si protesta di vendere a buon mercato.
Eccoli insieme alle carceri; - gi? salgono una scala, - due scale, - tre scale; eccoli sul pianerottolo. Il soprastante avanti, il trattore dietro. Ecco, che il primo mette adagio adagio la chiave, - la gira lentamente, quasi che la serratura fosse di vetro, - e prima di sospigner l'uscio ingentilisce la voce, e la manda dentro dicendo:
- ? permesso? si pu? passare?
- Oh bella! se non passate voi, che avete le chiavi, chi deve passare?
- Vossignoria ha sempre ragione; ma io conosco con chi ho da trattare, e i miei doveri non li so d'oggi.
- Bene, bene. Che abbiamo di nuovo?
- Son venuto a sentir quel che occorre, conducendo meco quest'uomo.
- Avete fatto bene. Galantuomo, chi siete?
- Sono un trattore bello e buono, ai servigi di Vossignoria.
- Ah! siete un trattore? siete una cosa pi? necessaria della prigione.
- Viva la faccia di Vossignoria! in questi luoghi vuol essere borsa, e buon umore.
- Come vi chiamate?
- Marco Trappolanti ai servigi di Vossignoria.
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