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Read Ebook: I filtrati dolci Monografia della filtrazione dei mosti e della preparazione dei cosidetti filtrati dolci e lambiccati. by De Astis Giuseppe

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Ebook has 393 lines and 57544 words, and 8 pages

Quando il commerciante va ad acquistare al palmento il mosto per filtrare, come frequentemente suole avvenire nel circondario di Barletta e in altri comuni vinicoli della Puglia, d'ordinario ? il produttore stesso che, in base a criterii proprii, eseguisce la svinatura per far trovare il mosto pronto al momento del contratto. Una volta si usava di andare a fare il saggio, anche di notte, commerciante e produttore insieme, nel tino stesso di fermentazione, forando col succhiello una doga, per stabilire preventivamente, di comune accordo, il giusto punto della svinatura; ora invece il commerciante, ovvero il suo mediatore, si disinteressa della svinatura, limitandosi a scegliere, fra le partite pronte nei sottotini, svinate di recente dal produttore, quelle che all'assaggio meglio corrispondono per qualit? e per prezzo alla preparazione del filtrato.

I criter? che servono di base per l'apprezzamento della materia prima, in tale circostanza, sono sempre la densit?, il colore e il gusto del mosto. Non tutti i commercianti per? si avvalgono del densimetro o del gleucometro per accertare la densit? o la gradazione zuccherina, qualcuno ricorre sovente ai mezzi empirici, quali, ad esempio, quello di immergere le dita della mano destra nel mosto e sentire se questo vi aderisce pi? o meno, oppure di farlo scorrere nella tazza di argento, sopra un pezzo di porcellana ecc.

In generale nel mosto per filtrato si richiedono un'alta gradazione zuccherina, accompagnata da una forte intensit? colorante, caratteri questi che tendono ad elidersi scambievolmente, perch? l'intensit? colorante ? in diretto rapporto coll'alcool prodottosi nella fermentazione, a spesa dello zucchero. Occorre quindi, da parte del produttore, di saper determinare il giusto punto di fermentazione, per la svinatura, nel quale al voluto grado di dolcezza nel mosto corrisponda la massima colorazione possibile.

Si richiedono inoltre nel mosto un sapore franco alla degustazione, quasi vellutato, e la schiuma rossoviva, poco persistente.

Pei novelli, come si dice, del mestiere possono giovare molto le indicazioni che abbiamo date innanzi e le analisi dei filtrati esposte a pag. 15-16 di questo lavoro.

Preparazione dei filtrati rossi. Processi e pratiche speciali di vinificazione.

I filtrati rossi, rispetto ai bianchi, hanno un'importanza, dicemmo, assai pi? notevole, sia per il largo impiego che trovano nelle cantine dei produttori settentrionali, sia per le contrattazioni numerose cui d?nno luogo nel periodo della vendemmia e la facilit? di acquistare la materia prima adatta anche nei palmenti, allo stato di mosto grezzo. L'industria dei filtrati rossi ha preso infatti uno sviluppo fortissimo in questi ultimi anni, specialmente in Puglia, ove la ricchezza zuccherina elevata, l'intensit? colorante e le materie estrattive, anche abbondanti, nei mosti, permettono di soddisfare a tutte le esigenze degli osti dell'alta Italia.

I filtrati rossi pugliesi inoltre sono i primi della penisola a comparire sul mercato nazionale, per la precocit? di maturazione delle uve, che nel Leccese cominciano a vendemmiarsi ai primi di settembre, e durano poi sino a tutto ottobre con la vendemmia del circondario di Barletta.

Offrono essi anche tutte le gradazioni di colore, di dolcezza, di acidit?, di gusto, e infine di prezzo per le svariate qualit? e la celerit? di trasporto verso il nord, a confronto di altre regioni pi? meridionali ed insulari.

Le uve vendemmiate a perfetta maturazione, per utilizzare tutto il principio zuccherino che si forma sotto l'azione benefica del sole, o per avere la materia colorante ad uno stato pi? facilmente solubile, si diraspano a mano, o alla diraspatrice, e si pigiano su graticcio di legno o su palmento in muratura se coi piedi nudi dell'uomo, in pigiatolo meccanico se non si voglia o non si possa adottare il primo modo di pigiatura. Non ? per? indifferente scegliere l'uno piuttosto che l'altro sistema, dovendosi tener presente che allorquando non si abbiano da lavorare forti masse di uve, i piedi nudi dell'uomo sono sempre da preferirsi al pigiatojo meccanico.

In Puglia, i metodi di preparazione dei filtrati, direttamente dalle uve, variano alquanto nei loro particolari, da contrada a contrada, e qualche volta anche da uno stabilimento all'altro; tutti per? si prefiggono lo scopo di ottenere mosti che, ad una massima gradazione zuccherina possibile, uniscano i pregi di una forte intensit? colorante, con schiuma rosso-viva, ed un gusto netto, rotondo come dicono i pratici.

Ecco come il prof. Casoria si esprime riguardo al metodo di preparazione del lambiccato:

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La durata della fermentazione ? subordinata a varie condizioni, la principale ? la temperatura dell'ambiente, nonch? la qualit? del prodotto che si vuole ottenere. Essa varia dalle 24 alle 48 ore.

La svinatura si compie, per giudizio dei pratici, quando il mosto comincia ad avere sapore di vino e di questa ne avverte il gleucometro o qualunque altro areometro.

Gli agricoltori torresi, che sono molto esercitati in tale preparazione, misurano la temperatura, introducendo, nel tino a fermentazione, il braccio oltre il gomito; e per giudicare del momento pi? opportuno per svinare, essi praticano il seguente saggio:

Si versa il mosto in un piatto e lo s'inclina: il liquido dev'essere scorrevole pi? del mosto primitivo e deve formare un'onda ascendente per l'alcool che si evapora.

A questo ingegnoso mezzo, con maggior criterio, si supplisce usando il gleucometro, e procedendo alla svinatura quando il liquido vinoso segna il 3 al 5% d'alcool in volume.

Riassumendo quanto si ? fin qui esposto, emerge chiaro, che lo scopo al quale si mira nella preparazione del lambiccato ? quello di ottenere un liquido vinoso, limpido, parzialmente fermentato; sceverato dal maggior numero di fermenti e contenente poco alcool od eccesso di glucosio.

I metodi di preparazione sono, per?, suscettibili di modificazioni, ed infatti, la filtrazione quale ora si pratica attraverso i cappucci, ? troppo lenta e non si eliminano del tutto i fermenti. Occorrerebbe in tal caso sostituire uno dei tanti filtri meccanici, che meglio rispondono allo scopo.

In tal modo si avrebbero dei lambiccati meno soggetti a rientrare in fermentazione e pi? adatti all'esportazione>>.

Mano mano che le uve si pigiano, il mosto scorre dalla vasca, o dal palmento, per un foro, in un fosso sottostante, scavato nel suolo, mentre la pasta si diraspa colle mani, in tutta o in parte, e si ammucchia in un canto dello stesso pigiatoio. Di solito si preferisce lasciare una piccolissima parte dei graspi per non avere poi una poltiglia soverchiamente densa, e perch?, sollevandosi quelli nella massa fermentante, assieme al capello, spogliano il mosto dalle sostanze mucillagginose.

Quando si ? giunto a una certa quantit? di uva pigiata, si ottura il foro di scolo, si distende la pasta, formata dalle bucce e dai pochi graspi, a strato sul pigiatoio e si versa su il mosto estratto dal fosso, col mezzo di pompe, o, pi? comunemente, colle secchie di rame.

La prima passeggiata incomincia, per lo pi?, verso sera, dopo cessa e segue, durante la notte, il riposo; indi, alla mattina si pratica la seconda passeggiata, che ? una vera follatura diretta ad affondare bene il cappello delle vinacce. Segue ancora un riposo di tre a quattro ore, indi si svina, al mosto fiore si uniscono le prime torchiature leggere e si comincia subito la filtrazione.

Dall'arrivo al palmento del primo carro di uve, sino alla svinatura che si effettua all'inizio della fermentazione tumultuosa, passano, in condizioni normali di temperatura ambiente, 28 a 30 ore.

I criterii che servono a fissare il momento opportuno della svinatura, si basano, in genere, sull'impiego di un mostimetro il quale deve segnare da 17 a 19 gradi di zucchero indecomposto pei mosti di prima vendemmia e 19 a 21% per quelli provenienti da uve ben mature.

I primi getti del filtro segnano le gradazioni di 20 a 18, che poi scendono, alla fine della filtrazione sino 12-10, perch? nel filtro continua il moto fermentativo; si ha quindi una massa con la gradazione media di 14 a 16% di glucosio.

Il metodo di preparazione differisce dai precedenti, specie da quello adottato a Brindisi, perch? non ci sono a Barletta palmenti in muratura per la vinificazione, ma si usano invece, da tutti, i tini di legno, della capacit? di 50 a 60 ettolitri. Inoltre sono assai poche le ditte commerciali che sogliono lavorare direttamente le uve per proprio conto; la gran maggioranza ricorrendo agli acquisti del mosto grezzo nei pubblici palmenti. Tra queste ditte sono da notarsi specialmente i signori Francesco Piccapane e figli; Pasquale Fusco; B. Palmieri, di Barletta; Maurizio Annese e Vito Balacco di Molfetta; M. Fabiano di Trani; fratelli Lembo di Canosa; Riccardo Fuzio di Andria ed altri.

Le uve del circondario di Barletta raramente sono trasportate alla tinaia intatte nelle ceste o nelle cassette, esse si diraspano dapprima e si pigiano grossolanamente nel vigneto, si trasportano quindi in citt? coi tinelli o grossi bottoni, adagiati sui carri, oppure nelle bigonce. Giunte allo stabilimento se ne completa la pigiatura su graticci di legno, a piedi nudi dell'uomo, o al pigiatolo meccanico, la pasta col mosto vengono posti a fermentare nel tino, che si riempie sino ai 5/6 dell'altezza interna, lasciando cos? alla parte superiore uno spazio vuoto sufficiente per non fare emergere dall'orlo delle doghe il cappello e per potere eseguire comodamente le frequenti follature. La bocca del tino si copre poi con un fondo libero, di legno, oppure con stuoie; molti per? trascurano questa semplicissima precauzione, indispensabile a impedire il libero afflusso dell'aria sulle vinacce e mantenervi costante uno strato di gas acido carbonico, che mette al sicuro il cappello da possibile inacidimento.

Le follature si ripetono tre a quattro volte nella giornata, poscia, dopo 24 a 48 ore, secondo la temperatura ambiente, quando si ? appena iniziata la fermentazione tumultuosa, in modo che il mosto abbia acquistato i voluti caratteri, si svina, ed il mosto fiore, assieme alla prima torchiatura moderata si passa alla filtrazione.

Per eseguire il rimontaggio si fa cadere il mosto in una sottotina e di qua, con dei mastelli, o con una pompa, si riversa sul tino di fermentazione, avendo cura nel caso che s'impieghi la pompa, di suddividere il getto, o di spostare continuamente l'estremit? del tubo di gomma per inaffiare tutta la superficie del cappello.

Nel barlettano la svinatura del mosto-vino da destinarsi alla preparazione del filtrato, si fa dai pi? in base a criter? empirici, quali, ad esempio, l'osservazione ad occhio della intensit? colorante e l'assaggio organolettico. I pi? intelligenti ricorrono all'aiuto del gleucometro o di un areometro, specialmente quando nel contratto di compra-vendita si garantisce la densit? che deve avere il filtrato.

Pei filtrati di qualit? finissima, alcuni non mescolano nessun torchiato al mosto fiore svinato dal tino, allo scopo di ottenere un sapore pi? delicato e neutro; per? giova rilevare che il mosto proveniente da una leggera torchiatura delle vinacce, quando si lavorano uve sane, piuttosto che nuocere al filtrato giova, perch? ne aumenta la intensit? colorante, le sostanze tanniche ed anche il grado zuccherino. La separazione completa del torchiato ? invece consigliabile quando le uve, pure essendo di ottima qualit?, avessero sub?to qualche piccolo guasto causato dalla cochylis, o da altre malattie, oppure fossero imbrattate di terra, affine di evitare, o quanto meno attenuare, qualche difetto di gusto.

Le vinacce, leggermente torchiate o non torchiate affatto, vengono poi adibite alla fabbricazione di vinelli, o di vini da taglio, lasciandole, in quest'ultimo caso, fermentare col solo mosto naturale di cui sono impregnate. Sovente per? si torchiano subito per ricavare quel tanto di mosto che possono cedere, e si vendono senz'altro ai distillatori.

Il processo di vinificazione qui sopra descritto viene seguito da quegli industriali, o grossi proprietar?, che lavorano le uve proprie, o acquistate da terzi, nei loro stabilimenti, espressamente per la preparazione dei filtrati dolci.

A Squinzano , per esempio, non si hanno n? i larghi palmenti brindisini, n? i tini di legno come nel barlettano, ma il mosto o le bucce diraspate si pongono a fermentare in vere fosse di circa 80 ettol., a forma di botte, scavate nel suolo e cementate, ove la follatura del cappello delle vinacce viene eseguita coi piedi d'uomini. A Gallipoli, nell'elegante stabilimento Brunelli e Gatti, si adottano pure le vasche in muratura, della stessa forma tronco-conica dei tini di legno, ma sono costruite alla superficie del suolo. Queste ultime vasche, cos? emerse possono andare bene in sostituzione dei comuni tini di legno, specialmente nei luoghi soggetti a grandi calori, ma le altre infossate, di Squinzano, non ci sembrano punto consigliabili, anzitutto per l'incomodo che cagionano nel governo della fermentazione in secondo luogo presentano il brutto inconveniente di facilmente comunicare al mosto cattivi odori, di sentina o simili, in terzo luogo; essendo tali fosse piuttosto numerose e vicine, disposte ordinariamente come un cinque d'oro, con le bocche allo stesso livello del suolo, possono occasionare facili disgrazie o accidenti nel personale lavorante.

Il miglior sistema di preparazione dei filtrati da grande commercio, nei paesi caldi, a noi sembra sia il brindisino, almeno per quelle uve che d?nno mosti n? soverchiamente densi, n? troppo poveri di acidit? naturale. In quelle larghe vasche di muratura, della superficie libera di 20 metri quadrati, la massa fermentante, che non supera mai lo spessore di 50 a 60 centimetri, disperde rapidamente il calore sviluppato dalla fermentazione, non si scalda perci? che lentamente e lascia il tempo necessario alle energiche e prolungate follature, con le quali meccanicamente; prima di iniziarsi la fermentazione tumultuosa, si arriva ad estrarre la massima parte della materia colorante, tanto apprezzata nei filtrati rossi da taglio, e si provoca una forte ossidazione delle sostanze azotate.

Per mosti assai densi che avessero da 24% in su di glucosio, e un'acidit? inferiore al 6?, come a Barletta, il metodo brindisino non ? pi? consigliabile, perch? si otterrebbe una materia prima quasi melmosa, di difficile filtrazione. Nei siti caldi per?, dove la fermentazione del mosto si svolge, in certe annate, con estrema rapidit?, da doversi svinare dopo 36 ed anche 24 ore appena, il metodo brindisino potr? convenientemente adottarsi, quando si vogliano preparare i filtrati dolci, restringendo soltanto un poco le follature se i mosti fossero troppo zuccherini.

Il metodo barlettano invece ? da preferirsi nelle regioni pi? temperate, o fredde, dove si adoperano esclusivamente recipienti di legno, di capacit? moderata per la fermentazione.

Dicemmo che queste due qualit? tendono ad elidersi scambievolmente, perch?, nelle condizioni ordinarie, il principale solvente della sostanza colorante ? l'alcool, che si produce colla fermentazione a spese dello zucchero.

La sostanza colorante dell'uva rossa risiede nelle piccole cellule della pellicola che riveste l'acino, e secondo gli studi fatti in Francia dal Gl?nard, dal Cazeuneuve, Duclaux ed altri, nonch? in Italia dai professori Comboni e Carpen?, essa ? solubile nell'alcool etilico o nell'acqua acidulata, ma il potere solvente di questi due liquidi cresce parecchio se interviene in aiuto il calore. In ogni caso per?, perch? la dissoluzione avvenga, ? necessario che sia rotta o lacerata la parete delle cellule, ove trovasi racchiuso il principio colorante e che questo venga a intimo contatto coi solventi.

Ora, il mosto fresco, o succo dell'uva, in massima parte non ? che acqua zuccherata e acidulata da diverse sostanze acide: esso pu? quindi, anche senza intervento dell'alcool, disciogliere la materia colorante, se si ha cura di realizzare le condizioni test? accennate e di accrescere il potere solvente col mezzo del calore artificiale.

Da qui emerge chiara la grande utilit? anzitutto di una buona pigiatura delle uve da vinificare e poi delle energiche e continuate follature, dirette a estrarre meccanicamente il principio colorante dalle bucce. Un moderato riscaldamento della massa, o di parte di essa, potr? infine completare l'azione efficace delle follature, purch?, come tosto vedremo, non si giunga ad alterare la natura chimica della sostanza colorante.

La pratica locale ? quella che deve in questo caso servire di guida per ben misurare il limite delle follature, in armonia alla colorazione e alla filtrabilit? del mosto di cui si dispone, astrazione fatta dal perfezionamento degli apparecchi filtranti.

Gli acidi liberi, o i sali acidi del mosto, agiscono come mordenti sulla materia colorante, la rendono cio? pi? brillante e ne facilitano la dissoluzione; ond'? che giova molto accertarsi se l'acidit? naturale del mosto ? soverchiamente scarsa come non di rado suole presentarsi nelle regioni meridionali e, all'occorrenza, correggerla con una moderata aggiunta di acido tartarico del commercio, o di altri acidi organici permessi dalle vigenti leggi.

La gessatura permette di raggiungere il medesimo effetto in riguardo alla materia colorante, per? essa tende a produrre una rapida spogliazione del mosto, al quale toglie spesso la rotondit? di gusto che ? un carattere assai apprezzato nei filtrati dolci.

Allorquando occorre di correggere la deficiente acidit? di un mosto conviene farlo in ristretti limiti, non superando la quantit? di 50 a 100 grammi di acido tartarico per ettolitro. Molti sono addirittura contrarii a qualunque aggiunta di acidi, appunto per insuccessi avuti, ma fa d'uopo rilevare che tali insuccessi si sono verificati quando l'acidulazione ? stata fatta senza criterii razionali, senza cio? analizzare prima il mosto per constatarne il grado di acidit? naturale.

Spesso si sono acidulati erroneamente dei mosti che non ne avevano bisogno; si tenga dunque presente che un'acidit? del 5? in media ? sufficiente, ma un'acidit? pi? scarsa del 3 al 4? ? bene sia corretta, elevandola nella proporzione sopra accennata di 50 a 100 grammi per ettolitro, se si vuole rinforzare l'intensit? e la vivacit? del colore nel filtrato, ed anche creare condizioni pi? propizie al regolare e breve periodo della fermentazione.

Non pochi viticoltori e industriali ricorrono al riscaldamento di una piccola parte della massa, per rendere la materia colorante delle bucce pi? prontamente solubile. Ecco come si suole procedere in questa operazione, che si fa per lo pi? dai piccoli produttori in campagna stessa, al momento della vendemmia.

Si scelgono un po' di uve delle variet? pi? colorate, come ad esempio, la Lagrima di Barletta, il Sussimanniello di Brindisi, ecc., si ammostano e si riscalda il tutto, liquido e bucce, a fuoco diretto, in caldaia di rame stagnata, quasi sino all'ebollizione .

Qualcuno acidula prima il mosto coll'acido tartarico per ottenere un effetto maggiore. Gli acidi organici, a quanto afferma il Miroy, impediscono al mosto di contrarre il gusto di cotto, durante il riscaldamento, e ostacolano la coagulazione delle sostanze albuminoidiche.

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