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Read Ebook: Il Sacro Macello Di Valtellina by Cant Cesare

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Ebook has 272 lines and 43523 words, and 6 pages

CAPO II

Protestanti nei baliaggi Svizzeri--Sono cacciati--Premure dei Cattolici--Concilio di Trento--I Borromei--Impresa del Tettone--Calendario gregoriano.

Questi predicavano adunque ai popoli della Valtellina le nuove dottrine. Sul principio, come suole, aborrite da un popolo cui volevano togliere i suoi santi e le sue reliquie, indi per curiosit? ascoltate, poi discusse. E giacch? i nuovi teologanti, oltre aver l'avvantaggio di chi attacca, s'erano di proposito addentrati nelle dottrine loro, mentre i pi? di quei preti erano rozzi delle cose dell'anima ed avvezzi a credere senza tanto esame, molti vennero a seguirli, quali perch? vedevano veramente come i protestanti, quali per l'allettamento proprio d'ogni novit?, quali perch? recatesi a noja le austere discipline, amavano meglio vivere come ne tornava in piacere alla lor carne. Alcuni allora per cieca sommessione, per riverenza servile, per adulazione. Imperocch? i signori grigioni, dei quali la parte maggiore si era scossa dall'ubbidienza alla sede romana, non solo diedero alla Valtellina libero esercizio del culto evangelico, ma favorivano chiunque con loro credesse. Era tutt'uno l'abbracciar la riforma ed essere dichiarato uomo delle Tre leghe, aver privilegi, cariche, esenzioni. N? poche famiglie apostatarono: i Lazzaroni, i Besta, i Paravicino Cappelli, i Marlianici, i Malacrida, l'arciprete di Mazzo, i Guarinoni, i Sebregondi, i Piatti ed altri di primo conto, dietro cui, come suole, traeva il popolo imitatore. Se vogliamo aver fede al Magnocavallo, di 100.000 abitanti ben 4.000 avevano volte le spalle all'ovile romano.

Non par vero che in quelle podesterie dimorassero Lelio e Fausto Socino a predicarvi le loro credenze avverse alla Trinit?. Ma il governo uccise od esili? molti loro settarii. Un Beccaria che si era eretto a Locarno principal autore degli Evangelici fu dal balio cacciato in prigione, ma una banda dei suoi ne lo trasse, e lo men? in trionfo. Egli giudic? meglio ricoverarsi a Chiavenna, e rimase a capo di quei novatori Taddeo de Dunis medico; e gi? troppi non andavano pi? alla chiesa, non ricevevano i sacramenti, e per il battesimo facevano venire un ministro da Chiavenna. Ma poich? i Cantoni signori di quelle podesterie s'attenevano i pi? alla fede cattolica, ai nemici dei Riformati e ad Emilio Orelli acerbissimo persecutore di quelli non riusc? difficile il persuaderli a nettarne quelle terre.

Gi? per consenso dei sette Cantoni cattolici il balio di Locarno aveva ingiunto ai Riformati che, pena il bando, andassero alla messa. Ne fecero richiamo i Cantoni evangelici, ma indarno, atteso che vedevano come tali novit? fossero per rompere l'unit? elvetica. Infine nel 1555 il balio congreg? tutti i capi delle famiglie riformate, ch'erano ben 150, ed intim? loro da parte dei signori svizzeri che colle famiglie e coi beni dovessero, senza por tempo in mezzo, abbandonare la patria. Ascoltavano essi nel silenzio il comando, allorch? entra fra l'adunanza il Riverda, nunzio pontifizio, esclamando troppo mite la sentenza, doversi toglier loro e i beni come roba di eretici, e i figli che si crescerebbero cos? alla vera credenza. Ma con ci? il nunzio non ottenne che di mostrare il suo maltalento, giacch? il balio non poteva trascendere il suo mandato.

Quelli che si disposero ad obbedire fecero la sommessione. Gli altri il 3 di marzo, seguiti dalle mogli e dai figliuoli, fatto fardello delle robe loro, da una parte colla rassegnazione d'uomini attaccati pi? alla credenza che alle cose del mondo, ma dall'altra col crepacuore di chi lascia i parenti, gli amici, le abitudini della vita, una patria sempre cara, pi? cara a chi ne ? spinto lontano da una forza prepotente, fra gli stridori della stagione valicarono le nevi del Gottardo in traccia di paesi ove non fosse colpa l'adorare a modo loro. Guidati da un Pestalozzi, da Giovan Luigi Orelli e dal dottore Martino Muralto, entrarono nei Cantoni protestanti e fermatisi i pi? a Zurigo, vennero con carit? accolti e soccorsi. Non cercavano essi che sicurezza e pace: poteva mancare di che vivere a gente volonterosa della fatica, sperta nelle arti? Alle quali drizzatisi, fecero alzare a gran fiore l'arte della seta, stabilirono filature e tintorie, per cui Zurigo venne in grandezza, a scapito delle podesterie italiane. Ancora serba l'antico nome il sobborgo dei Lombardi, ove quelli si posero: le famiglie vi acquistarono ricchezza e nome.

Ivi ottennero di formare una chiesa, diretta in prima dal Beccaria, il qual poi torn? fra i Grigioni a Mesocco, diffondendovi le sue dottrine, finch? sturbatone da Carlo Borromeo nel 1561, si ritir? a Chiavenna. A Zurigo gli successe nel 1555 Bernardino Ochino, famoso cappuccino da Siena che aveva errato per Germania e per Inghilterra, applaudito e perseguitato. Ivi stesso ebbe cattedra di teologia e d'ebraico Pietro Martire Vermiglio, che gi? aveva combattuto per la Riforma in Inghilterra e in Francia, in modo che le opere sue eran messe a livello con quelle di Calvino. A quella chiesa italiana appartenne Lelio Socino, che ottenne la stima di Melantone, Bullinger, Calvino, Beza, dissimulando sotto proteste e confessioni la sua avversione alla Trinit?; e pare che egli la insinuasse all'Ochino, le cui ultime opere sentono di questo errore, per il quale ebbe guai a Zurigo e ne fu bandito, di 76 anni, con i figli, nel fitto inverno. Respinto da Basilea e da M?lhausen, si nascose in Moravia ove della peste perduti due figliuoli e una figlia, mor? nel 1564.

Altri ebber ricovero a Strasburgo, fra cui Paolo Lazise di Verona, profondo nelle tre lingue dotte e che vi fu professor di greco, Girolamo Massari di Vicenza che vi insegn? medicina e descrisse un processo dell'Inquisizione romana, e sebben non avessero Chiesa, si univano in assemblea particolare, diretta da Girolamo Zanchi che col? profess? teologia. Lo Zanchi stesso era stato chiesto ministro a Lione dove molti Italiani stavano, e dove stamparono libri loro; ma egli prefer? passare a Chiavenna. Rifiut? pure gl'inviti della chiesa italiana d'Anversa nel 1580, alla quale and? il conte Ulisse Martinengo, dopo rimasto alcun tempo in Valtellina. Altre chiese avevano i nostri a Ginevra e Londra.

Alla causa dei cattolici, pi? che il venir dei nemici, noceva l'addormentarsi delle sentinelle d'Israele. Anzich? levarsi al sacerdozio i pi? probi e sapienti, ogni gen?a vi trovava asilo, ogni ignorante, molti malvissuti vi si ricoveravano per avere agio, sicurezza ed ozio. L'essere il clero immune dal Foro secolare lo rendeva baldanzoso col venderli simulatamente agli ecclesiastici, o col legarli a nome di benefizio, si sottraevano i fondi alle gravezze. Se in una famiglia vi fosse un prete, a qualunque richiamo compariva lui. Se in un delitto fosse implicato un prete, si invocavano i privilegi del Foro. I preti intanto andavano attorno carichi d'armi, volevano cacciare nei tempi proibiti . Con astuzie si causavano dalle taglie. Peggiori cose ebbi ad imparare dagli atti delle visite degli ordinarii di Como e di Milano. Oltre che i pi? fra i sacerdoti appajono ignoranti a segno, da saper a mala pena segnare il proprio nome, intendevano a turpi guadagni, tenevano senza pudore in casa le complici ed i frutti dei loro peccati. E taccio le violenze, le ire, le troppe pi? cose ch'io so, e che facevano correre in proverbio non esservi modo pi? facile di dannarsi che l'andar prete. Non erano cos? rari quelli che, per i bisogni delle plebi, avevano facolt? di celebrare due messe la festa: ma molti se la usurpavano per guadagno. Ebbi a mano una relazione dell'arciprete di Tresivio al vescovo, dove si lagna che i preti di Valtellina portano barbe a foggia di Turchi, "usano collari alle camicie rotondi e crespi alla bresciana, le sottane con collari pure rotondi cascanti sul collo, maniche scavezze e folte di bottoni, e veste quale portano gli sbardellati Bresciani". Ben i vescovi comaschi gridavano, senza cessare, perch? si osservassero le feste, i sacerdoti smettessero gli abiti sfarzosi, le armi offensive, non bazzicassero l'osteria, non ricettassero malviventi, non donne di mal affare. Il vescovo Volpi interdice di vendere alla festa confortini n? odori, il fare spettacoli di saltimbanchi, ed il sedere in chiesa: i preti non portino calze sparate e larghe, non camicie colle crespe e le lattughe, non il cappello in citt? o nei borghi, se pur non fosse per ripararsi dall'intemperie. Si astengano dai guanti, non barbe troppo lunghe, non armi, eccetto un coltello in viaggio. Il vescovo Archinti si lagna che troppe parrocchie rimangano sprovvedute di parrochi perch? date in commenda a cardinali, i quali in Roma ne godevano, senza cura, le entrate. E che i preti della Valtellina rechino scandalo agli eretici, singolarmente per l'ignoranza, l'andare armati, la lussuria e l'imperizia dell'ecclesiastica disciplina in quella esecranda libert? di vivere, e di dire quanto meglio piace a ciascuno. Era poi piuttosto unico che raro quel parroco che talvolta spiegasse il Vangelo o la dottrina ai suoi: e la predicazione era abbandonata ai frati, singolarmente ai mendicanti, indipendenti dal vescovo, e spesso pi? desiderosi dell'applauso che del frutto, o del frutto della bisaccia che di quel delle anime. Recando adunque non rimedio ma danno quelli che dovevano opporsi, non sar? meraviglia se la Riforma pi? sempre acquistava.

I Cattolici per? s'ingegnavano assai per tutela dell'antica credenza. Ai vescovi di Como non molto restava a fare, giacch? i Grigioni, sospettosi sempre di qualche trama, ne avevano angustiata l'autorit?, vietando il ricorrere ai superiori ecclesiastici, escludendo ogni sacerdote estero, nel qual titolo comprendevano anche gli Ordinarii. Se non che fatto vescovo Feliciano Ninguarda nativo di Morbegno, manc? ogni ragione di tenergli la porta della valle, onde la visit? ad agio suo. Nei sinodi poi e nelle lettere circolari non cessavano essi vescovi di esortare i Valtellinesi a durare fermi nella fede, aprir bene gli occhi su chi viene d'oltremonte, massimamente soldati a quartiere od a guarnigione. Ne esplorino i fatti e se alcun che ne scoprano, diano indizio all'Ordinario se non vogliono cadere in un peccato riservato. Anche ogni maestro era obbligato a prestare giuramento di fede in mano del vescovo.

E poich? ogni potere minacciato diviene violento, neppur le vie del rigore furono intentate e la Chiesa sgomentata chiam? in ajuto il braccio secolare, agli orrori della superstizione e dell'impostura opponendo gli orrori dei roghi. Basti, per non esser lunghi, citare Francesco Gamba di Como, che essendosi condotto a Ginevra a celebrar la cena cogli Evangelici, mentre tornava in patria fu c?lto e strangolato, poi gettato al fuoco. Neppure in morte aveva voluto ricredersi, ed affinch? favellando non recasse scandalo al popolo accorso al suo supplizio gli venne forata la lingua. Anche Galeazzo Trezzi, gentiluomo lodigiano convertito dal Mainardi e dal Curione, fu nel 1551 condannato dall'Inquisizione al fuoco. Il duca d'Alba, la cui memoria risveglia quella dei supplizii e delle stragi dei Paesi Bassi, venuto governatore del Milanese raddoppi? i rigori e nel 1558 furono bruciati un religioso e un altro, e cos? negli anni seguenti.

Un gran tempo per? e Cattolici e Riformati appellavano all'autorit? d'un concilio generale, che discutesse ampiamente e liberamente sui dogmi della fede. Solo era in contesa il luogo, volendolo i Protestanti in una citt? libera, per condursi alla quale non avessero d'uopo di salvocondotti, ai quali aveva tolto fede il concilio di Costanza col porre alle fiamme Giovanni Hus.

Secondo la mente di quel Concilio, monsignor Bonomi vescovo di Vercelli fu delegato a visitare la diocesi comasca. Entr? in Valtellina, mandando voce di recarsi a titolo di salute ai bagni di Bormio. Ma poich? si diede ad esercitarvi l'uffizio suo, i Grigioni mandarono intimandogli che, se veramente intendeva venire a cercare sanit?, fosse il ben arrivato. Non patirebbero per? mai sottofini, e dove non giovasse l'avviso sarebbero presti ad imprigionarlo, trattandolo non altrimenti che il suo papa trattava i loro ministri. Queste minacce, cui facevano viso di voler dare corpo, atterrirono il Bonomi, che con poco frutto se n'and?. Ma negli ordini da lui dettati alla diocesi di Como impose che i parroci leggessero due volte l'anno, nei giorni di maggior frequenza, un editto che obbligava a denunziare all'Inquisizione entro quindici giorni ogni eretico, o chi mostrasse fuorviare dalla credenza comune, o tenesse libri proscritti. Ogni settimana il vescovo si affiatasse coll'inquisitore e con certi teologi e canonisti per giudicare degli eretici e dei sospetti.

Pio V papa tent? gran maneggi fra i Grigioni per favorire i Cattolici e impedire le apostasie crescenti in Valtellina, ma senz'altro ritrarne che la morte di Giovanni Planta signore di Retzuns, uomo pien d'ogni lode e caloroso protettore della causa romana. Contro questo papa un odio particolare avevano concepito i Grigioni fin da quando, essendo col nome di fr? Michele Ghislieri inquisitore della diocesi di Como, si era con forza adoperato contro i novatori. Una volta, avuto spia che a Poschiavo si erano impressi libri pieni delle nuove massime destinati all'Italia e che alcune balle n'erano state spedite ad un negoziante di Como, fr? Michele le sequestr?. Il mercante ebbe ricorso al capitolo del duomo, che in sede vacante presedeva al Foro ecclesiastico, ma invano s'interposero i canonici per la restituzione, bench? spalleggiati dal governatore Gonzaga. Del che piccati, sparsero per la citt? contro l'inquisitore male voci, cresciute a tanto che, preso dalla plebaglia a villanie ed a peggio, ebbe pel il migliore partito il ritirarsi. E si rec? a Roma, ove la congregazione dei cardinali decise in suo favore e cit? innanzi a s? il vicario e quattro canonici come eretici, che ebbero a far e dire a scamparsela. Egli medesimo essendo a Morbegno, aveva istituito processo contro Tomaso Planta vescovo di Coira per sospette opinioni, senza n? citarlo, n? nominare i testimoni: procedura solita all'inquisizione, ma contraria agli ordinamenti dei Grigioni. I quali, dando facile ascolto ai richiami del vescovo, fecero dal podest? di Morbegno vietare a fr? Michele di procedere pi? oltre contro chi che fosse in Valtellina, se non previa licenza dei signori Reti. Dovette egli, allora tanto, piegare il capo; ma spinto poi dal suo zelo rinnov? i processi, onde a poco si tenne che il popolo non gli mettesse le mani alla vita. Divenuto poi pontefice, e saputo che Francesco Cellario gi? frate poi ministro protestante in Morbegno, non l? solo, ma fino a Mantova diffondeva le sue dottrine, lo fece cogliere di sorpresa, e tradurre al sant'uffizio di Roma, che lo cacci? dal mondo. Non era egli dunque il soggetto meglio opportuno ad acquetare i Grigioni, che studiavano anzi rendergli secondo avevano ricevuto.

Chi meglio d'ogni altro oper? fu Carlo Borromeo, cardinale arcivescovo di Milano. Capace di riuscire a qualunque, arduo per la forza della volont?, una grande ricchezza, i vantaggi d'una condizione privilegiata, la giovent?, le aderenze, l'autorit? della virt? e l'intima persuasione della causa che sosteneva, stabil?, finch? l'anima gli bastasse, opporsi al lacrimabile incendio quand'era pi? vivo. Spinto per sua principal cura a fine il sinodo di Trento, tutto fu in rinnovellare la propria Chiesa: viaggi?, e veduto che l'ignoranza del clero era cagion prima dei progressi della Riforma, e che i pi? erano privi d'ogni sorta di lettere nelle terre soggette a signoria svizzera, stabil? in Milano il collegio elvetico, ove dovessero allevarsi per Dio operai apostolici e difensori della fede. Mand? missionari, e singolarmente oblati da lui istituiti, e Gesuiti, nati poc'anzi per opera d'Ignazio da Lojola; e tanto fece che i sette Cantoni cattolici giurarono la cos? detta Lega d'oro o Borromea e concessero che un nunzio papale rimanesse di pi? fermo nella Svizzera. Non ? mestieri vi dica a quanto dispetto dei Cantoni riformati, che si vedevano piantato nel cuore un nemico attento ed operoso. Ma del Borromeo il principal desiderio, dice il Bescap?, "era volto alla Valtellina, s? per la vicinanza che essa ha con noi s? per gli ingegni svegliati di quei popoli, non pure all'erudizione adatti, ma alla probit? altres? proclivi, che soleva esso Carlo non mediocremente lodare". Procur? dunque stabilirvi i Gesuiti che, sostenuti da Antonio Quadrio medico di Ferdinando d'Austria, si posero a Ponte, guidati dal padre Bobadilla, tanto celebre nella storia della celebre compagnia. I Grigioni li sbandirono come forestieri, ond'essi vennero a collocarsi a Como.

Trovandosi poi il cardinale, nel 1580, in Valcamonica per secondare le istanze del vescovo Volpi, pass? pei Zapelli d'Aprica in Valtellina, sotto apparenza di un pellegrinaggio alla Madonna di Tirano, tempio sontuoso per edifizio e celebre per devozione, ove, malgrado del divieto, il giorno di sant'Agostino fu ricevuto con solennit? di rito, non meno che d'affetto, anche dai Protestanti. Sigismondo Foliani, bormiese, gli recit? un'orazione in cui non dice che parole. Egli poi, il cardinale, edific? la concorsa folla coll'esempio, collo speciale studio di carit? e di prudenza, e con un discorso animato da quella fede che vince ogni errore e dall'eloquenza di chi parla dalla pienezza del cuore. Aveva egli saputo ottenere che i Cantoni cattolici mandassero una delegazione a proteggere gli affari degli ortodossi valtellinesi alla Dieta dei Grigioni, ma non ne avanz? gran fatto. Volle anche visitare le terre poste attorno al Lario ed al Ceresio, come bisognevoli assai di ajuto; e a Como, avuto colloquio col vescovo sul bene della Chiesa, pass? per Menaggio a Porlezza e nella Cavargna, valle selvatica che s'interna da quella di Menaggio ed i cui abitatori rompevano ad ogni delitto, s? di violenza, s? d'astuzia.

Cos? conciliando paci e rammendando i costumi, pass? nelle tre valli di rito ambrosiano, poi a Gnoasca, a Giornico, a Lugano e di nuovo, pel Ceresio, a Menaggio ed alla Valsassina.

Fattosi poi, nel 1582, a Roma, n'ebbe il titolo di visitatore pei paesi svizzeri e grigioni anche sottoposti all'Ordinario di Como. Non fu autorit? a cui non avesse ricorso per ajuto in questa legazione: ai re di Spagna e d'Inghilterra, a Rodolfo imperatore, ai Cantoni cattolici al vescovo di Coira, al duca di Savoia, anche ai Veneziani. Scrivendo egli al Castelli vescovo di Rimini, legato pontifizio in Francia, perch? intercedesse presso Enrico re sicurezza e libert? a lui ed ai preti. "Fa per?, gli diceva, che i Grigioni non sentano che io vada a loro legato del papa: questo solo nome ogni cosa perderebbe. Si dica un privato mio viaggio, col qual titolo, senza scemare il frutto, consoler? quei popoli. Ben i cattolici mi desiderano, e gli eretici stessi mi mostrano qualche deferenza ed amore: onde nutro speranza non mi si pongano impedimenti: solo ho paura che i profughi dall'Italia non mi guastino tutto. Sono essi sentina di vizii, n? solo eretici, ma molti apostati, e del resto facinorosi e perduti che appena udranno trattarsi di sostenere la religione cattolica e vedranno maturare le prime felici sementi, temendo d'essere sterminati, daranno in furore, metteranno fuoco nei capi per ritardarmi o togliermi ogni buon effetto... Quindi principalmente sarebbe a curare che dall'intollerabile giogo degli eretici venissero sollevati i cattolici di qua dalle Alpi. Poich?, quando sortiscono le magistrature gli eretici, se anche non facciano aperta violenza ai cattolici, pure si mostrano intenti a svellere la religione. Poich? e danno pessimi esempi come scellerati ministri del diavolo, e non lasciano la libert? di cercare o ritenere probi e religiosi sacerdoti, che avviino sul calle della salute. Sendo vietato agli esteri, tuttoch? ottimi, di andar col?, mentre hanno podest? di rimanervi empii e perduti uomini. Laonde, poich? il re pu? tanto presso i Reti, gioverebbe che, senza far mostra d'essere da me officiato, vi s'adoprasse. E tu potresti mettere in mente ad Enrico uno scrupolo che pungesse e lui ed i Grigioni: mostrare cio? il male che ne potrebbe uscire, se tanti, oppressi dalle calamit? e stancati, come pu? avvenire, dal giogo, macchinassero alcuna cosa e si ribellassero".

Con Francesco Panigarola francescano e col gesuita Achille Gagliardo, riassunta la visita, fu di nuovo a Lugano, poi a Tesserete, consolato dalla piet? di quei popoli, ove, di cinquecento confessati, neppur uno si trov? in colpa mortale: per Bellinzona si condusse a Rovereto, nella Mesolcina, valle italiana sommessa ai Grigioni, ove scopr? moltissime streghe. Istituitone processo, di queste ben 130 abiurarono: quelle che non vollero confessarsi in colpa, furono condannate, e prima quattro, poi altrettante, poi tre, indi pi? altre, vennero arse, e fin il prevosto di quel paese, Domenico Quattrino, che da undici testimonii era stato visto nella tregenda coi demonii menar danze oscene in paramenti da messa, e recando il santo crisma. Un tal padre Carlo, sotto gli 8 dicembre 1583, descriveva al suo superiore il supplizio di alcune fra queste. "In un vasto campo, costrutto un rogo, ciascuna delle malefiche fu, sopra una tavola, dal carnefice distesa e legata, poi messa boccone sulla catasta, ai lati della quale fu appiccato fuoco: e tanto ferveva l'incendio, che in poco d'ora apparvero le membra consunte, le ossa incenerite. Dopo che il manigoldo le ebbe avvinte alla tavola, ciascuna riconfess? i suoi peccati, ed io le assolsi. Lo Stoppano poi e due altri sacerdoti le confortavano in morte, e le affidavano del divino perdono... Io non basto a spiegare con qual intimo cordoglio, e quanto di pronto animo abbiano incontrato il castigo. Avanti condotte al supplizio, confessate e comunicate, protestavano ricevere tutto dalla mano di Quel lass?, in pena dei loro traviamenti; e con sicuri indizii di contrizione offrivano il corpo e l'anima al Signore del tutto. Brulicava la pianura di una turba infinita, stivata, intenerita a lacrime, gridante a gran voce: Ges?; e le stesse miserabili poste sul rogo, fra il crepitar delle fiamme, udivansi replicare quel santissimo nome e, pegno di salute, avevano al collo il santo rosario... Questo io volli che la tua riverenza sapesse, perch? potesse ringraziare Iddio, e lodarlo per li preziosi manipoli da questa messe raccolti".

Fin qui egli: sarebbero gettate le parole ch'io aggiungessi, per mostrar come i deliri del secolo prendessero anche anime illuminate e pie.

Quando il fuoco ? dentro, bisogna venga fuori il fumo: e il Borromeo veniva rapportato ai Grigioni di aver intesa cogli Spagnuoli per tornare ad essi la Valtellina. E per verit? i duchi di Milano non ebbero mai deposta tale speranza, n? per rata l'occupazione di quella importante valle e la cessione fattane per viva forza. Si sanno le opere, ed aperte e di sottomano, ai tempi di Giangiacomo Medeghino. Carlo V poi, aggiunta la ducea milanese agli immensi domini suoi, pi? ne prese gola, ben avvisando quanto rileverebbe l'avere libera comunicazione per quella parte fra gli Stati suoi di Germania e quelli d'Italia. Ne aveva anzi passato ordini a don Ferrante Gonzaga governatore, che rumin? quell'idea anche sotto Filippo II, menando per ci? segreto intrigo col vescovo Vergerio, sebbene gli tornasse indarno il suo intendimento.

Fatto ? che il Tettone, raccozzata una canaglia valente in parole e ch'egli chiamava esercito, parte ne invi? per la banda di Lecco. Cogli altri volse a Como, ove chiese d'entrare nella citt?, alloggio e foraggi, vantandosi capitano generale per risciacquare la Valtellina dai miscredenti. Ma non sottigli? la sua malizia tanto che arrivasse a trovar fede a quell'apparenza. Ed il Paravicino, governatore di Como, non gradendo tali rodomontate stette saldo sul niego: anzi, accingendosi il Tettone a mettere le finte parole in veri fatti, il governatore arm? i cittadini e con furia li liber? addosso a coloro, che dopo sprovveduta e breve scaramuccia, quali andarono sbandati, quali furono presi e mandati all'ultimo supplizio.

Ita al vento l'impresa, il governatore, come chi getta il sasso e nasconde il braccio, se ne fece nuovo affatto, ed il Tettone, che forse diventava un marchese e meglio, fu cacciato in bando. Dove facendo del savio e dell'importante, andava spacciando avere in tal impresa a sostegno il cardinale Borromeo, amico, diceva egli, e parente suo; favorirlo nella valle grandi personaggi, e li nominava un per uno. Questi vanti erano portati colle usate frangie ai Grigioni, i quali, fattone un capo grosso che mai il maggiore, molta gente inquisirono, senza per? scoprire alcuno in colpa: e il cardinale tennero in memoria d'uomo fazioso e brigante.

Or credereste? Ai tanti altri motivi di dissidio, un nuovo ne aggiunse questo calendario gregoriano, ed i Riformati nati a rifiutarlo, anche trovandolo buono, solo perch? veniva da Roma, ed i Cattolici a volerlo, senza forse conoscerlo, sol perch? quelli lo ricusavano, tanto ? cieca ed assurda la nimicizia che agita le parti. Mi par di vedere alcuno sogghignare alla leggiera cagione di tante discordie, alle dimostrazioni impotenti e assurde; ma deh non voglia ridere d'altri il secolo nostro, che non ha ancor rasciutto il sangue versato per altri sogni, per altre follie. Ogni et? ha le sue.

Corruzione dei Grigioni--Forte di Fuentes costrutto--Mal governo della Valtellina--Ingiurie alla religione repulsate dai Cattolici--Nicol? Rusca ? tratto al tribunale e morto--Ruina di Piuro.

Come sperar bene alla Valtellina quando i suoi dominatori erano all'ultimo della corruzione? La religione li divideva, li divideva la politica: cedevano a seduzioni, a lusinghe. I pr?ncipi vi tenevano ambasciatori quando apertamente quando velati, che con donativi, pensioni, croci d'onore facevano che uno favorisse a Francia, uno a Spagna, uno a Venezia: tutti dimenticassero la patria. Due fazioni singolarmente ponevano a scompiglio la Rezia: una venduta a Spagna ed ai Cattolici, l'altra a Francia, ed agli Evangelici. Capi di quella Rodolfo Pianta, di questa Ercole Salis, le due famiglie primarie dello Stato.

All'udire dunque della nuova convenzione coi Francesi, gran lamento alz? il conte di Fuentes, il pi? memorabile fra i governatori spagnuoli di Milano, che nel cuor della pace tenne sempre un numerosissimo esercito, pauroso ai vicini, sgradito anche al suo padrone, al quale voleva mostrarsi necessario col fingere pericoli o farli anche nascere, e intanto esercitava tutte le prepotenze d'un governo militare.

Con umore siffatto doveva esser poco disposto a inghiottire il torto, e mand? minacciando ai Grigioni di trattarli come nemici. Questi, non che mostrar paura, si collegarono anzi con Venezia, come quella che non perseguitava i riformatori, siccome le altre potenze, ma ostava al papa, e comportava una mezzana libert? di coscienza. Ne dispiacque non meno alla Francia che alla Spagna, quella perch? Enrico ambiva maneggiar egli solo i Reti e che i Veneziani dovessero ricorrere a lui qualvolta bisognassero di gente armata, questa perch? si trovava allontanata dalla speranza di legarsi i Grigioni, e di sottoporre tutta Italia, potendo aver ostacolo nei Veneziani. A nulla approdando colle parole, il governatore sdegnato pose mano a fabbricare un fortalizio, detto dal suo nome sul colle di Montecchio al primo entrare della Valtellina ove, dominando gli sbocchi di Chiavenna, il lago e la valle, teneva questa in soggezione e poteva, quando riavesse talento, impedire alla Rezia i viveri ed il commercio. Stante per? che il duca Francesco II Sforza aveva stipulato coi Grigioni non si porrebbe veruna fortificazione in quel giro, questi levarono querele, e procurarono anche impegnare in esse i loro alleat?: ma nessuno si mosse, del che furono, se non con verit? almeno con accortezza, accagionati i dobloni spagnuoli. E il Fuentes continu?, fin?, intercise il commercio col Milanese e ponendo genti e navi alle Trepievi , conferm? la voce che Spagna volesse ricuperare la Valtellina.

Queste pratiche, anzich? ravvivare, davano l'ultimo tuffo alla Valtellina. Vi si crebbero le guarnigioni a carico del paese. Ogni ombra pigliava corpo: i signori grigioni, ingordi d'aversi intorno timidi soggetti anzich? buoni amici, potevano quanto ardivano, ed ardivano quanto volevano, sostenuti com'erano dai novatori. I quali, come interviene allorch? il debole vuole ad ogni costo ajutarsi sopra il contrario, mirando unicamente all'utile proprio, vedevano bene che i loro religionarj crescessero in autorit?. Quindi coloro che erano venuti come alleati, disponevano come donni e padroni, principalmente da che ebbero a s? arrogata la nomina degli ufficiali. Allora mandare a magistrato uomini di pi? che bassa mano, soperchiatori perch? persuasi di meritare il pubblico disprezzo, non guardare nelle cariche a merito, ma a chi pi? ne dava, schiudere d'ogni preminenza i buoni, conculcare i diritti e lo statuto, corrotte le sindacature, nelle cause civili trovati lacciuoli a dovizia per costringere le parti a dividere l'avere con giudici ingordi, franco il peccare, il benfare spesse volte ruina. Si addormentavano sugli interessi della patria i tristi, quelli io dico, cui piaceva fare il lor talento, e da poveri venuti ricchi, da abjetti tremendi, usurpare i beni delle chiese, per ispalle d'amici e per danaro scontare delitti, leccare i superiori per mordere i soggetti. I buoni che osavano alzar la voce, erano perseguitati sotto quella maschera d'oltraggio e di sangue che si chiama ragione di stato.

Le cose della religione poi erano tornate a peggio che mai per l'addietro non fossero. Ogni giorno nuovi editti, che pretendendo parole di libert? religiosa vietavano le indulgenze, tacciavano di superstizioso il culto del paese, cassavano le dispense, berteggiavano i decreti papali. Negli statuti di Valtellina, stampati il 1549, furono intrusi alcuni a favore dei Riformati. Nel 1585 trovandosi unite a Chiavenna le insegne dei Grigioni, conchiusero di nuovo intera libert? di religione; lo che, ed allora ed altre volte poi, signific? persecuzione della cattolica. Eccedeva dunque il governo, eccedevano i magistrati cacciando i Gesuiti e cassando le donazioni lor fatte, processando i miracoli di san Luigi, proibendo la pubblicazione dei giubilei ed eccitando quistioni di giurisdizione, solito appiglio, eccedevano i predicanti contro i monumenti dell'avito culto, opera empia agli occhi dei Cattolici, impolitica agli occhi di tutti. Pi? eccedeva la ciurma e l'astinenza delle carni in quaresima, rubando ostensori e spargendo le particole, sfregiando tabernacoli, facendo smacchi ai sacerdoti nelle processioni del Sacramento, ed in quei devoti riti della settimana santa, che uom non pu? vedere senza sentirsi fin nell'intimo dell'animo commosso ad una patetica devozione.

N? si creda che noi caviamo queste fosche dipinture dai soli Valtellinesi. Pascal ambasciatore francese, in una sua relazione, chiamava il governo grigio "esecrabile tirannia, che sovra il capo e le fortune dei buoni incrudelisce". Il Bottero verso il 1590 scrive: "In Valtellina i Cattolici sono fuor di modo straziati dai Grigioni, che puniscono con varj pretesti i preti e quei che si convertono, forzano i curati a celebrare matrimonj in gradi vietati, non consentono l'introdurre buoni sacerdoti forestieri, obbligano tutti alla messa ed alla predica degli eretici, onde i Cattolici sono costretti, per penuria di buoni ecclesiastici, servirsi d'apostati e d'uomini di mal affare e scandalosi, e divengono a poco a poco eretici".

In Sondrio ancora si accingeva il governatore ad entrare per viva forza nella chiesa cattolica, e ridurla al nuovo rito. Ma un Bertolino di col?, uomo tagliato all'antica, commise a Giangiacomo, suo figliuolo di gran cuore, che colla daga alla mano contendesse ai Riformati l'entrare in chiesa. Ci? ademp? egli s? bravo, che al governatore non bast? l'animo di proceder oltre: ma voltosi in traccia del Bertolino e scontratolo, tutto in gote si querel? del figliuolo, che gli avesse, nel maggior pubblico della gente, usata quest'onta. Al che il buon Sondriese rispose le molli parole che frangono l'ira, e menossero a casa, ove a lui ed al suo satellizio improvvis? una lieta merenda, spillando la miglior botte. E l? bevi e ribevi, fra l'ilarit? parliera delle tazze cominci? il Bertolini a gettar motti di scusa pel figliuolo, onde il governatore, per iscambio delle cortesie ricevute, si mostr? disposto a mettere in non cale l'affronto. Allora ecco entrare Giangiacomo, n? in aspetto d'avvilito, ma sempre accinto della sua daga, e con un fiasco del pi? pretto vino, che cominci? a mescere in giro alla ragunata. Non faceva per? egli atto n? mostra di voler chiedere scusa e quando alcuno ne l'interrog?, diede un fischio, ed in men ch'io nol dica uscirono fuori quindici garzoni in tutto punto d'armi. Additando i quali al governatore, che pensate come si sentisse, "Ecco e me e questi pronti pel governatore e per la repubblica fino all'ultimo sangue, solo che non ci si tocchi la religione nostra: ma se alcuno presumesse recarci in ci? al talento suo, non risparmieremo la vita a tutela della nostra santa fede". Tra pei generosi modi del giovinotto, tra per la paura dell'armi e il lenocinio del buon vino il governatore, che non doveva essere un Verre, abbracci? Giangiacomo ed il padre, e in lieti brindisi finita la festa, depose per allora ogni pretensione sulla chiesa.

Altri fatterelli succedevano ogni d?, che non sempre si risolvevano in un riso, e che rivelavano un'izza reciproca, per cui dominati e dominatori erano pronti a correre ai risentimenti. I Riformati ne davano ogni colpa a Nicol? Rusca, arciprete di Sondrio. Era questi nato in Bedano terra del luganese, da Giovanni Antonio e Daria Quadrio. Studi? prima sotto Domenico Tarillo curato di Comano, uomo di buone lettere ed investigatore delle antichit?, e recit? in quel paese la prima volta dal pergamo, come sogliono i novelli cherici, un discorso altrui. Fu poscia a Pavia, indi a Roma, poi nel collegio elvetico di Milano, ove a san Carlo ne parve s? bene, che talvolta abbattutosi in esso, postagli sul capo la mano: "Figliuol mio , combatti buona guerra, compi tua carriera. Per te ? riposta una corona di giustizia, che ti render? in quel giorno il giudice giusto".

Il Rusca, chiamato a quel posto, tent? sottrarsi al grave incarico. Indi per obbedienza l'assunse, collo zelo del buon pastore che offre l'anima per le pecorelle.

Questo perpetuo e vivo contradditore dei loro disegni non poteva non essere in gran dispetto agli acattolici, che miravano a torselo d'in sugli occhi. Dapprima Gio Corno da Castromuro capitano della valle lo condann? in grave multa perch? avesse rimproverato ad un giovane suo popolano l'aver assistito alla predica dei Calvinisti. Ma i Sondriesi presero le armi, e si fu ad un pelo di far sangue: onde il capitano denunzi? l'affare a Coira. Il Rusca difeso da Anton Giojero ministrale della val Calanca, fu assolto, ed il capitano ammonito. Gli apposero quindi d'aver fatto trama con un Ciapino di Ponte per ammazzare o tradurre all'inquisizione Scipione Calandrino predicante di Sondrio. Il Ciapino fu messo a morte: a Nicol?, che ne aveva assistite le ultime ore, confortandolo in quella estrema e maggiore di tutte le umane necessit?, attaccato un processo, che lo costrinse a ricoverare a Como. Giustificatosi, torn? pi? glorioso, aggiungendosi alla virt? il lustro della persecuzione. Tanto pi? bramavano i nemici suoi di metterlo per la mala via, e la fortuna mand? tempo al loro proponimento.

Ci fu veduto come, fra i Grigioni, tutto andasse in brighe di potenze straniere; fra le quali si dimenticava l'interesse della patria. Gli ambasciatori francesi, con disapprovare la lega fatta coi Veneziani, caddero in sospetto di esser d'accordo colla Spagna: sicch? l'ambasciatore Gueffier, denigrato dai predicanti, dovette fuggire negli Svizzeri: quinci lamenti e turbolenze, fra le quali pigliavano il sopravento i predicanti, venuti ormai il tutto del governo, come succede ai pochi che schiamazzano mentre i pi? stanno savi e tranquilli. E avendo intesa con Zurigo, Berna e Ginevra, non cessavano di gridare doversi far nello Stato una sola religione, essere violate le costituzioni poi bocconi stranieri, si operasse una volta efficacemente a rintegrare la libert?, riformare il governo e simili altre parole, che sempre discendono grate nelle avide orecchie della plebe. Fidati nel favore di questa, sotto Gaspare Alessi ginevrino predicante di Sondrio, accozzarono un loro concilio prima a Chiavenna presso Ercole Salis, uomo per servigi ed ingegno in gran nome, poi a Bergun, paese romancio alle falde pittoresche dell'Albula. Ivi dichiararono la fazione spagnuola funesta alla Rezia ed alla religione, micidiale l'alleanza di Francia, buona quella sola di Venezia: e si concertarono sul come dar superiorit? alla parte loro.

Allora, pretendendo rintegrare la libert? politica col togliere ogni libert? legale, mandano a compimento i feroci disegni. E una furia d'accusatori esce addosso a quanti erano sospetti: cio?, come il solito delle rivoluzioni persecutrici, a chiunque avesse nome di ricchezza o di bont?. L? il settantenne podagroso Zambra, quasi, comprato dai dobloni spagnuoli, avesse favorito l'erezione del forte di Fuentes, venne squartato; l? bandita una taglia sul capo di Rodolfo e Pompeo Planta, del vescovo di Coira Giovanni Flug, e di altri profughi, ed erette forche sulle spianate lor case.

Il dottor Antonio Federici di Valcamonica, mutatosi per opinioni religiose in Valtellina, prese moglie a Teglio, e si fece protestante. Egli diede voce che Biagio Piatti, cattolico infervorato di questo paese, avesse subornato un fratello di lui ed altri della Valcamonica, perch? venissero, e quando i protestanti di Boalzo si trovavano alla predica, gli uccidessero. Il Piatti fu arrestato, e cos? altri supposti complici, intanto che un fratello di esso uccideva Paolo Besta che aveva recato l'ordine dell'arresto. Biagio, messo alla tortura, confess? quel delitto e quanti altri se ne vollero, e fu decapitato dal tribunale inquisitorio, e tenuto per martire dai Cattolici.

Francesco Parravicini d'Ardenno, settagenario e infermiccio, si presenta a quel tribunale per iscolpar il proprio figliuolo contumace, e il tribunale non potendo ottenere si ritirasse, gli coglie addosso un'accusa. E poich? le sue infermit? non permettono di alzarlo sulla corda, gli serrano i pollici in un torchietto e sebbene stesse saldo a negare, il condannano in 1500 zecchini. E migliaja di zecchini furono imposti ad altri.

Come appena i Sondriesi udirono entrato in forza dei nemici un pastore che s? caramente guardavano, sorse in tutti una piet? tanto pi? generosa quanto che proscritta. Nel primo furore si voltarono per far rappresaglia addosso a Gaspare Alessio predicante, ma s'era ridotto in salvo: diressero quindi una deputazione a scolpare l'arciprete, ma non fu ricevuta: i Cantoni cattolici e Lugano sua patria mandarono Gian Pietro Morosini a perorarne la causa. Ma il tribunale, cercando casi vecchi e dubbi come recenti e certi, gli rinnov? l'accusa dell'attentato contro il Calandrino. Poi di avere subornato il popolo a non ubbidire alle Tre Leghe, cercato tornar cattolici i riformati, tenuto commercio di lettere col vescovo e con altri, esortato in confessione a non portar le armi contro il re cattolico; aver istituita la confraternita del Sacramento, che asserivano portare micidiali armi sotto le devote cappe.

Indarno gli avvocati suoi lo scusavano intemerato, protestando la candidezza dell'animo suo, e come in 28 anni da che era arciprete fosse stato al bene ed al male che s'aveva, fedele alle Leghe, se non devoto, tutto in gran fare per l'anime altrui, non avendo in desio che il bene della religione. Operato bens? che si mitigassero i decreti pregiudizievoli alla cattolica religione, non ordito per? mai contro il governo. Quanto al Calandrino non che adoprar seco dispiacere od agrezza, avergli usate quelle maniere di maggior cortesia che il caso permetteva, visitandolo talora, e prestandogli anche libri. Ma qual pro delle difese in caso di stato quando gi? ? prestabilita la condanna? Il ben vissuto vecchio, bench? fosse disfatto di forze e di carne e patisse d'un ernia e di due fonticoli, fu messo alla tortura due volte, e con tanta atrocit? che nel calarlo fu trovato morto. I furibondi, tra i dileggi plebei, fecero trascinare a coda di cavallo l'onorato cadavere, e seppellirlo sotto le forche, mentre egli dal luogo ove si eterna la mercede ai servi buoni e fedeli, pregava perdono ai nemici, piet? per i suoi.

Quel giorno stesso fu segnalato da un gravissimo disastro naturale, perch? di doppio danno avesse a piangere la Valtellina. Vuole la tradizione che un antichissimo scoscendimento di montagna abbia coperto Belforte sul cui cadavere s'eresse Piuro, grossa terra posta a quattro miglia da Chiavenna, nella valle che mena alla Pregalia. Scorre sul fondo di quella valle la Mera fra due pendii di montagne, l'uno volto a settentrione tutto pascoli e selve. Quello che alla plaga del mezzod? riguarda, popolato, senza perderne spanna, di frutti, di vigneti, di casini, di crotti.

Sulla cui falda lentamente inclinata sedeva il paese, pieno "di case nobili e ricchi mercatanti con ampli cortili e portici, con colonnati, sale spaziose di vaghe pitture ornate, da stufe alla tedesca superbissime pel lavoro di intaglio e di commisso, ben addobbate di tappezzerie di Fiandra e d'altri preziosi drappi, di sedie di velluto con frange d'oro, di copiose argenterie, di scrigni ben lavorati... di ameni giardini e spaziosi con ispalliere d'aranci, cedri, limoni... non solo ne' vasi di legno e di terra cotta, ma di bronzo ancora e di rame, o molti inargentati e indorati".

Erano poi lodate per una delle belle cose del mondo le case dei signori Vertemate, i cui giardini sono dal tipografo Locarni paragonati alle delizie di Posillipo, alla riviera di Genova, ai romani palagi. Tanta ricchezza vi portavano il passaggio delle merci, la vendita dei laveggi di pietra ollare che l? presso si tagliano, e la manipolazione della seta, della quale scrive alcuno vi si lavorassero 20.000 libbre ogni anno.

Nella montagna settentrionale, alla pietra ollare grossolana, untuosa al tatto e liscia sovrastava un monticello, che chiamavano Conte, di argilla e terriccio. In questo gi? da un pezzo i terrieri avevano avvisato qualche crepaccio; ma quell'estate continuarono pi? giorni a ciel rotto rovesci di piogge, che insinuandosi fra la roccia e il monticello, lo scalzarono. E gi? franava sopra le vigne del prossimo villaggio di Schillano, ed i pastori vennero annunziare come e pecore ed api fuggissero da quella balza. N? perci? si atterrirono quei di Piuro. Mal per loro, giacch? sull'oscurare del 25 agosto ecco in un subito scuotersi la montagna di Conte, ondeggiare. E fra un sordo fragore quasi d'artiglierie murali, lo scrollato colle scivola sul lubrico pendio della montagna, precipita sopra Schillano e Piuro, seppellisce uomini e case. I Chiavennaschi che udirono il fracasso videro caligarsi il cielo, volare fin l? il sommosso polver?o, ed interrompersi il corso della Mera, durarono la notte intera in dubbio della sorte dei loro amici, di s? stessi: la mattina rivel? deplorabile scena. Era Schillano grande in quantit? di 48 fuochi, di 125 Piuro con 930 abitanti, nobili famiglie e buone borse, molti tornati appena dalla fiera di Bergamo. Ed anima viva non ne camp?. Dopo alcun tempo la Mera si aperse un nuovo corso fra il dilamato terreno: si tent?, si scav?, nulla pot? ritrovarsi che masserizie e cadaveri. Non mancarono prodigi al terribile caso: la cometa che in quel tempo aveva atterrito i popoli e i re. Predizioni portentose: angeli che avvisarono del pericolo, demoni che infierivano la procella, chi l'attribu? a vendetta di Dio per il licenzioso vivere d'alcuni, o per i protestanti che vi avevano culto. I pi? giudicarono non senza destino fosse accaduto appunto il giorno della barbara uccisione dell'arciprete Rusca. Fermo tra i miserabili resti e nel letto del fiume devastatore, che scorre sopra il diroccato borgo, ben sei disumano se non ti senti stringere il cuore pensando a quelli, che repente dalla quiete dei domestici lari, dalla preghiera, dall'amichevole discorso, dalla soavit? degli affetti famigliari, vennero balzati in quell'incognita regione, dove solo si fa giusta la retribuzione delle opere umane.

CAPO IV

Scontento dei Valtellinesi--Congiura dei Grigioni e dei Valtellinesi--Sacro Macello.

Intanto i Valtellinesi non lasciavano cura per trovare rimedio efficace ai mali s? lungamente pazientati. Dal duca di Feria, nuovo governatore del milanese, e dal Gueffier ambasciadore francese ricevevano subdoli incentivi: trattarono colle Corti d'Austria e di Spagna, ma l'ambigua politica di questa niente lasciava trarre a riva. Il papa, a cui inviarono non una sola volta, li consolava con un mondo di promesse, ma intanto li teneva confortati ad una pazienza, che loro pareva ormai intempestiva. Sopratutto adoperavano i fuorusciti, gente che, nimicissima di chi la proscrisse e nulla avendo a sperare nella quiete, tutto nei tumulti, badando ai suoi odj pi? che ai comuni interessi, ? perpetua autrice di partiti estremi e ruinosi, purch? riesca non tanto al proprio trionfo, quanto a danno o a dispetto dell'inimico. Colle consuete esagerazioni costoro gridavano per il mondo l'oppressione della patria loro, e confortavano i Valtellinesi a levarsi una volta per la causa santa, promettendo tener mano con essi.

Poich? ad ogni partito si vuole un rappresentante, un capo, tal fu Giacomo Robustelli di Grossotto, parente dei Planta perseguitati, perseguitato egli stesso, uom d'alto sangue, agiato dei beni di fortuna, d'animo gagliardo e male al servire disposto, e ricco di quell'ambizione che dei sagrifizj altrui sa fare vantaggio proprio. Servendo nell'armi, era da Carlo Emanuele di Savoja stato fatto cavaliere dei ss. Maurizio e Lazzaro, e molt'aura si era tra i suoi acquistato coll'affabilit? e splendidezza, sicch? parve opportuno centro alle trame per liberare la patria. Ben giungeva all'orecchio dei dominanti come si parasse mal tempo, farsi appresto d'armi e danari per venirne ad una: ma il sangue del Rusca era montato al cielo, grave giudizio stava per avvenirne, e Dio gli inebbriava col calice che manda talvolta a popoli e a principi, il sopore.

Ci? faccia saggi i signori della terra, che il pubblico bene, se vuol che il suddito soffra alcuna cosa, vuol a pi? forte ragione che, chi comanda, paventi stancarne l'obbedienza, schermo d'armi non bastare ove ingiustizie si continuano, e mostrare pi? ancora dissennatezza che atrocit? chi ai lamenti dei popoli risponde "Confido nel mio esercito".

Non intender? mai la storia chi guardi i passati avvenimenti dalla camera propria, anzi che trasportarsi in mezzo agli uomini, ai costumi, alle opinioni tra cui furono compiti. La tolleranza, questo dolce frutto della civilt? fecondata dal vangelo, per la quale noi consideriamo fratello l'uom di qualunque credenza, e lasciamo a Dio lo scrutare i cuori e punir gli errori dell'intelletto. La tolleranza che nei secoli forbiti si risolve in accidiosa indifferenza tra l'errore e la verit?, e fa oggi da molti guardar come buone del pari tutte le religioni purch? morali, era affatto estranea a secoli dove le pratiche religiose tenevano il primo posto nella societ?, dov'era profonda la persuasione che una credenza sola portasse alla salute, le altre alla perdizione. Chi per? dice che la tolleranza fosse proclamata dai riformatori, mentisce, e basterebbe a sbugiardirlo questo nostro racconto. Le persecuzioni furono tra essi comuni non meno che tra i Cattolici, altrettanto fiere e pi? durevoli, e nelle dissensioni religiose di quel secolo si trattava solo qual parte dovesse scannare l'altra; se in Francia i Cattolici trucidare gli Ugonotti o in Inghilterra il contrario.

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