Read Ebook: Mezzo secolo di patriotismo: Saggi storici by Bonfadini Romualdo
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Ebook has 694 lines and 78909 words, and 14 pages
MEZZO SECOLO DI PATRIOTISMO
SAGGI STORICI
DI R. BONFADINI
MILANO FRATELLI TREVES, EDITORI 1886.
PROPRIET? LETTERARIA
Milano. Tip. Treves.
AL NOBILE CARLO D'ADDA
SENATORE DEL REGNO.
A te, che mi precedi negli anni, nell'autorit? e nel sapere, dirigo questo mio volume, che vorrebbe richiamare i vecchi alle vigorose emozioni della loro giovinezza e radicare nei giovani il rispetto per le antiche operosit? e pei patriotismi antichi.
Apparteniamo entrambi ad un'epoca, in cui la foga del vivere consuma e getta molto pasto all'obl?o. Auguriamoci che non consumi almeno pi? di quanto produce, e che dall'obl?o si salvi, dov'? possibile, il bene. Dimentichiamo pure il male, o piuttosto perdoniamolo. Il perdono ? pi? virile dell'obl?o.
M'? accaduto pi? volte, scrivendo questo volume, di pensare alle rapide evoluzioni che possono compiere, sotto la pressura degli interessi, le amicizie politiche.
Noi siamo stati per mezzo secolo accaniti avversari di un Impero, al quale ci legano ora vincoli d'alleanza, che credo leali e che spero durevoli.
Ci? non mi ha impedito di evocare, come le abbiamo sentite, le impressioni di quel cinquantennio e di tradurle col linguaggio e colla logica di quegli anni. La storia, a parer mio, non si pu? scrivere che cos?. Giacch? i fatti perderebbero la met? dei loro veri e dei loro insegnamenti, se si volessero costringere alle stesse metamorfosi che possono subire, e sono libere di subire, le idee. Il rispetto per gli uni non turba l'adesione alle altre. Molto pi? che fra popoli intelligenti nessuna lotta politica dura mai oltre la scomparsa della causa giusta che la rendeva necessaria. E gli Italiani sono un popolo intelligente. Sanno lottare al bisogno; ma lottano, secondo i consigli del Vangelo, perch? il peccatore si converta, non perch? muoja.
In questi pensieri e in questi desiderj so di averti compagno; e ci? mi lascia sperare che se il mio povero libro avr? censori severi, non gli mancher? l'indulgenza del tuo giudizio. In ogni caso, lo scriverlo e lo stamparlo non mi sar? stato inutile; poich? mi avr? permesso di esprimerti pubblicamente, malgrado la tua fiera modestia, il molto bene che penso di te.
INDICE.
Il metodo e la fatalit? nella storia. -- Il primo Regno d'Italia. -- Splendori e violenze. -- Le previdenze di Melzi. -- Lo scroscio. -- Il duca di Lodi e il principe Eugenio. -- I partiti politici a Milano nel 1814. -- Gli austriaci, i conservatori, gli italici. -- Federico Confalonieri e l'avvocato Traversi. -- Il programma del duca di Lodi. -- Il conte Diego Guicciardi. -- Le rimembranze austriache a Milano. -- Il Guicciardi in Senato. -- La seduta del 17 aprile. -- La protesta dell'aristocrazia milanese. -- Nel cortile del Senato. -- Il conte Carlo Verri e i prodromi della rivoluzione. -- La fine del Senato. -- La piazza di S. Fedele e la casa del Prina. -- Pellegrino Rossi ed Alessandro Manzoni. -- L'eccidio del 20 aprile. -- Giuseppe Prina e le sue qualit?. -- La plebe e l'aristocrazia. -- Il generale Pino. -- La condotta leale di Eugenio Beauharnais. -- Un episodio ignoto e un documento inedito. -- L'istinto della situazione. -- I tumulti e le rivoluzioni.
LA PREPARAZIONE. .
LA RIVOLUZIONE. .
I tre stadj di un movimento. -- La preparazione materiale. -- Carlo Alberto e Nino Bixio. -- Il conte di Castagneto. -- Carlo D'Adda a Torino. -- La storia di un biglietto. -- I preparativi a Milano. -- La concordia degli animi. -- Giuseppe Sandrini. -- Le autorit? governative dopo la rivoluzione di Vienna. -- In casa di Cattaneo. -- La politica del Municipio. -- Il 18 marzo 1848. -- Il primo sangue e il primo proclama. -- Angelo Fava e Carlo Cattaneo. -- La prima barricata. -- Il sistema finanziario dell'epoca. -- Uno per tutti e tutti per ciascuno. -- Le campane a stormo. -- La questione diplomatica. -- Il conte Francesco Arese. -- Enrico Martini ed Alessandro Manzoni. -- La dichiarazione di guerra. -- Gl'inviati milanesi nel Consiglio dei Ministri. -- La questione politica e il programma municipale. -- Le idee giuste e le idee ingiuste di Carlo Cattaneo. -- Il Governo Provvisorio e il Comitato di Guerra. -- La questione strategica. -- Il discentramento e Luigi Torelli. -- Ogni giornata ha il suo carattere. -- Luciano Manara. -- I combattenti borghesi. -- Le sorprese e le incertezze del maresciallo Radetzki. -- Le trattative per l'armistizio. -- Il barone d'Ettinghausen e il conte Marco Greppi. -- Una risposta di Vitaliano Borromeo. -- L'opinione del ministro della guerra sull'armistizio. -- La seconda trattativa. -- Giuseppe Durini, Achille Mauri e Carlo Cattaneo. -- L'opinione dei combattenti. -- I no della storia. -- Ci? che ? vero e ci? che ? giusto nella questione dell'armistizio. -- Le cause della ritirata dell'esercito austriaco. -- Orgogli e delusioni.
FRANCESCO MELZI E IL PERIODO ITALIANO.
Quel brano di storia milanese e lombarda che corre dalla battaglia di Marengo alla catastrofe del Regno italico nel 1814 ? stato, nei confusi ricordi popolari e negli studj superficiali, considerato quasi come un tutto omogeneo, fondato sugli stessi principj, fertile degli stessi beneficj, illustrato dai medesimi nomi e dalle stesse tradizioni di governo.
Nulla di pi? inesatto che questo modo di apprezzare quei tre lustri di storia. Essi hanno invece, come l'odierna cultura ha bene stabilito e sviscerato, tre stadj distinti di legislazione e d'influenze, tre fisonomie politiche notevolmente diverse.
La prima epoca va dal ritorno degli eserciti francesi fino alla Consulta di Lione; la seconda dalla Consulta di Lione alla proclamazione dell'impero napoleonico; la terza dalla proclamazione dell'impero al 20 aprile 1814.
L'organismo politico e amministrativo della prima epoca era stato deliberato e applicato negli otto giorni in cui Bonaparte rimase a Milano, dopo Marengo.
Egli era stato accolto in Milano coll'eguale entusiasmo, ma non si presentava pi? colle stesse forme e cogli stessi caratteri. In quell'esistenza straordinaria, destinata ad un'attivit? di corpo e di spirito che ci sembra ancora un enigma, tre anni dovevano bastare a meravigliose trasformazioni. Infatti, non era pi? il generale Bonaparte; era il Primo Console; un'altra fisonomia, fisica e morale; un altro indirizzo; una volont? egualmente energica, ma diretta a scopi diversi; un'intelligenza egualmente intuitiva, ma fatta pi? matura da pi? larghe esperienze; un uomo insomma che era passato dalle ipotesi dell'ambizione alle sue pi? sterminate realt?; che aveva divorato gli ultimi brani di una rapida giovinezza e che si presentava a trent'anni sulla scena del mondo con tre titoli nuovi aggiunti alla Campagna d'Italia: l'Egitto, il 18 brumale e Marengo.
I nomi erano per Bonaparte guarentigia delle cose; e nella Consulta legislativa, a cui spettava l'incarico di redigere le prime leggi di urgenza e di preparare la Costituzione definitiva della Repubblica, pose il Marliani, il Testi, il Luosi, il Serbelloni, il Moscati, il Caprara, il Mascheroni, il Lamberti, il Cicognara, tutte le notabilit? di scienza, di nascita e di carattere che la politica del triennio aveva potuto offendere o disgustare. Fece riaprire l'Universit? di Pavia, chiusa durante i furori del precedente periodo e vi chiam? o vi richiam? alle cattedre i nomi pi? splendidi dell'intelligenza contemporanea, Gregorio Fontana, Lorenzo Mascheroni, Alessandro Volta, Antonio Scarpa, Vincenzo Monti, Tommaso Nani.
Altri provvedimenti prese sulle materie militari e di finanza; buoni, come al solito, i primi; duri, come al solito, i secondi; ma in quei giorni non ci si badava; la gioja d'essere o di credersi per sempre liberati da Russi e da Giacobini rendeva indulgenti sulle questioni di tasse. Il prestigio di Bonaparte era ancora maggiore che durante il triennio, perch? il genio era eguale, il potere cresciuto e la sua politica offendeva minori interessi. Quel rispetto per la religione conciliava alla repubblica patrizi e popolani senza riserva. Gli entusiasmi non cessavano, e crescevano le adesioni pensate. Un incidente, in apparenza spregevole, rivela questa mutazione in certe classi sociali. Nel 1796, un tenore dalla voce bianca, l'idolo della giovent? aristocratica, Marchesi, aveva osato rifiutarsi al generale Bonaparte che mostrava desiderio di udirlo; nel 1800 si offerse egli stesso di cantare, e il Primo Console obli? generosamente l'antico rifiuto. Anche la Grassini, celebre prima donna del tempo, cant? in un concerto alla Scala cos? meravigliosamente, che Bonaparte volle riudirla in palazzo. Pur troppo, se il generale s'era modificato, l'uomo non era rimasto tal quale. La situazione psicologica subiva anch'essa un processo di rivolgimento. Giuseppina Bonaparte ebbe torto in quell'ora di essere a Parigi e non qui.
Per? il Primo Console aveva fretta. Non poteva pi? abbandonarsi agli ozj eleganti di Mombello o allo studio paziente degli affari d'Italia. L'Europa cominciava a cadergli sulle braccia, ed all'Europa non poteva pensare che da Parigi. Part? il 25 giugno, lasciando a Milano organismi pubblici appena abbozzati, una Consulta legislativa piena di zelo ma soverchiata dall'incerta e larga responsabilit?, una Commissione esecutiva troppo numerosa e poco omogenea, il generale Petiet come Ministro straordinario e quasi tutore della rinata Repubblica; uomo debole, incerto della propria azione, poco persuaso della sua autorit?, e che perci? non sapeva usarla n? contro le corruzioni dei politici indigeni, n? contro gli abusi e gli arbitrj dei comandanti militari francesi, Brune, Massena, Murat.
Queste cause di male cominciarono subito a svolgersi con pessimi effetti, ed agli otto giorni di ordine e di lavoro che il Primo Console aveva cos? bene inaugurati seguirono venti mesi d'un governo fiacco, oscillante, senza prestigio e senza base; governo che se non pot? dirsi affatto tristo, fu solo perch? due altri, di tanto peggiori, lo avevano preceduto.
La Consulta legislativa diede bens? notevoli esempj di attivit? intelligente e feconda. Rimise in pieno vigore le leggi emanate durante il triennio, eccettuate per? le leggi deplorabili di finanza e di culto. Revoc? gli ordinamenti politici e i sequestri illegali ordinati durante i tredici mesi; mantenendo per? i giudicati gi? eseguiti, le successioni gi? verificate, i pagamenti e i contratti fatti secondo le leggi pubblicate nel periodo intermedio. Era un sistema savio e liberale, soprattutto per tempi, in cui il cassare con un tratto di penna tutto un insieme di ordinamenti e di diritti acquisiti pareva l'inevitabile concetto legislativo sorgente da ogni mutamento di governo, da ogni predominar di fazione.
I diritti civili furono poi subito argomento importante di studio per la Consulta. E dopo un solo anno si pot? a buon conto pubblicare il Regolamento Giudiziario, unificazione salutare e progresso insperato sugli antichi sistemi, prevalenti nelle varie provincie del nuovo Stato, e anteriori per la massima parte alle stesse riforme prodotte dai libri del Filangieri e del Beccaria. Si pubblic? un'amnistia generale pei delitti politici, poi la legge 23 fiorile, anno 9.? sull'ordinamento amministrativo e territoriale della Repubblica. I provvedimenti militari furono spinti colla massima alacrit?. Legge sulla guardia nazionale, legge sulla gendarmeria nazionale, legge sull'ampliamento della scuola militare di Modena; e finalmente la legge 8 brumale sulla coscrizione militare, novit? ardita e non subito apprezzata dalle moltitudini, avvezze fino allora a vedere nella milizia o lo stromento di una tirannia straniera o il triste rifugio degli infingardi e dei mercenarj.
Ma a questo primo ripiglio dell'iniziativa italiana nell'opera riformatrice, non corrispondeva, anzi contrastava acremente l'azione del potere esecutivo.
Questo a poco a poco s'era venuto restringendo in mano agli elementi pi? inetti. Il Melzi rifiutava ostinatamente di farne parte, per manifesta sfiducia dei precarj ordinamenti, e continuava anzi a restare in Ispagna, donde non si decise ad uscire se non pei replicati inviti del Primo Console che lo volle a Parigi. A Parigi stava pure l'Aldini, inviato per trattare riduzioni di tributi e repressioni di angherie militari. Priva dei due intelletti maggiori, delle due esperienze politiche pi? consumate, il potere esecutivo lombardo and? a tentoni, finch? un decreto del plenipotenziario Petiet mut? ad un tratto la Commissione esecutiva in Comitato di Governo e lo compose di tre soli fra gli antichi commissarj, un Ruga, Francesco Visconti-Ajmi, e Gio. Battista Sommariva, di Lodi.
Giusto era forse il concetto di rendere meno numeroso il Consiglio esecutivo, ma ne guast? affatto i risultati la scelta infelice degli uomini, dovuta alle peggiori influenze da cui il Primo Console non seppe quella volta abbastanza schermirsi.
Francesco Visconti non era per verit? uomo disonesto, e abbandon? il potere appena vide che i suoi colleghi ne facevano stromento di corruzioni. Ma per l'alta carica non aveva titoli sufficienti d'ingegno; forse dovettero parer tali al generale Berthier, influentissimo presso Bonaparte, e che, pi? costante del suo padrone, continuava a considerare la contessa Visconti come l'ideale della bellezza italiana.
Il Ruga, portato egli pure da influenze femminili, ebbe meno scrupoli del suo collega, e quando usc? dal governo era dieci volte pi? ricco che quando v'entr?.
Ma chi pass? ogni misura di scandali nel salire, nel restare e nello scendere dal potere fu Gio. Battista Sommariva, che, impersonando in s? stesso il triumvirato, adun? anche sul proprio capo tutta la responsabilit? di quella malaugurata amministrazione.
Al sopraggiungere degli Austro-Russi, il Sommariva era corso a Parigi, e l? s'era accostato a tutti gli elementi equivoci della gran Babilonia, s'era perfezionato nella conoscenza dell'intrigo, nel maneggio degli uomini e nei segreti della corruzione. Cos? aveva ottenuto la confidenza e l'appoggio di alcuni fra i pi? alti personaggi del tempo, fra gli altri del Talleyrand e del generale Murat, che non erano troppo schifiltosi sulle qualit? morali dei loro amici.
Forte di queste aderenze parigine e di quella furberia che ai mestatori tien luogo sempre d'ingegno, spadroneggi? presto nel Comitato di Governo; ostent? apparenze moderate e lasci? le briglie sul collo a' suoi antichi amici, perch? facessero rivivere le ire e le mascherate del triennio; parlava linguaggio pomposo d'indipendenza, ma ai generali francesi, protettori e complici suoi, accordava ogni pi? insana domanda: govern? male insomma per cinica risoluzione, sapendo che soltanto dal malgoverno possono i cattivi cittadini trarre impunit? e occasioni di turpi lucri.
Cos? dal centro partiva la corruzione e intorno al centro si allargava. Egli aveva segreti legami d'affari con un banchiere Marietti e con un giojelliere ebreo, Formiggini; i quali scontavano al 40 per 100 i boni rilasciati dallo stesso Sommariva per somministrazioni e per debiti dello Stato.
Mentre a Parigi l'Aldini e il Serbelloni trattavano col Primo Console per ridurre a due milioni mensili la contribuzione militare della Repubblica, il Sommariva la stipulava con Petiet e con Murat in una cifra di 2,700,000 lire. Si moltiplicarono misure finanziarie repentine e rovinose; vendite di beni demaniali, lotterie, imposizioni di guerra, prestiti sulle famiglie pi? ricche, senza criterj direttivi, senza guarentigie di pubblicit?; veri agguati notturni, da cui le popolazioni uscivano impoverite e i governanti arricchiti. Il ministro della guerra, Pietro Teuli?, avvocato milanese, datosi per inclinazione alle armi e divenuto uno dei generali pi? valenti dell'esercito napoleonico, aveva dovuto dimettersi per la sua resistenza agli avidi appaltatori militari, che il capo del governo, per solidariet? d'affari, turpemente proteggeva.
Si pu? pensare che conseguenze dovesse produrre siffatto indirizzo governativo. Tutti ne abusavano, a seconda dei loro istinti, di prepotenza, di vaniloquio o di avidit?. Brune e Massena avevano ricominciato le loro estorsioni; il generale Miollis faceva rizzare un albero di libert? e diceva che questo avrebbe fatto rivivere le virt?, le scienze, le belle lettere e le arti. Il generale Varrin si faceva sborsare 440 lire al giorno pel suo pranzo; chiedeva approvvigionamenti anticipati pel doppio della forza che aveva sotto le armi; lacerava in faccia al presidente dell'amministrazione provinciale i documenti che questi allegava a sostegno delle sue ragioni.
Questa situazione non era ignota al Primo Console, a cui denunciavano fatti e chiedevano provvedimenti Paolo Greppi, Ferdinando Marescalchi, Antonio Aldini. E a quest'ultimo rispondeva Bonaparte: "So che laggi? le cose vanno molto male; non si commettono che bestialit? e si ruba a precipizio. Quella ? gente nata in uno stato mediocre, che si ? messa in testa di fare una gran fortuna, profittando del posto.... Scrivete loro ch'io so bene tutte le loro bricconate e che creer? una Commissione per esaminarle.,,
Ma intanto le altre cure del vasto Stato assorbivano il vasto intelletto; e il Sommariva, corazzato contro ogni severit? di parole, continuava ad accrescere, coi metodi di corruzione, i complici d'oggi, che sperava potessero diventare gli ajuti dell'indomani. Lasciava quindi sempre maggiore libert? alle passioni, impunit? maggiore ai disordini. I liberatori si atteggiavano da capo a conquistatori; e Carlo Porta flagellava di profondi sarcasmi i facili trionfi cittadini della milizia francese.
Onde Francesco Melzi, che conosceva i suoi paesi e i suoi tempi, scriveva al Primo Console, parlando dei Russi: "ils seront bien plus t?t oubli?s que les Fran?ais; celui qui opprime et qui tue brutalement blesse encore moins que celui qui humilie.,, E infatti erano ricominciate le vendette personali. L'ajutante generale Hector, nel traversare piazza Fontana, veniva colpito da coltello al cuore; altri ufficiali subivano qua e l? dal ferro notturno dei popolani la conseguenza dei rancori politici o pi? verosimilmente la pena di galanti misfatti. Il paese insomma era travagliato da una profonda malattia morale, e minacciava ricadere nell'odio per la libert?.
La Consulta di Lione ci trasse da queste abbiezioni e inaugur? veramente in Lombardia il periodo della ristorazione morale.
Fu una curiosa pagina di storia italiana e che vorrebb'essere illustrata pi? largamente di quanto non s'? fatto sinora.
Raccogliere la rappresentanza politica di un paese in una citt? straniera; elaborarvi tutto intero un organismo di Stato per questo paese; discutervi lo Statuto fondamentale; eleggervi come capo di questo paese un generale pure straniero, che era nel tempo stesso il primo magistrato della Repubblica in cui questa riunione avveniva; e datare da tutto questo guazzabuglio la prima vera epoca di libert? e d'indipendenza pel paese che si lasciava tranquillamente cos? regolare, sono fenomeni che bisogna giudicare solamente coi criterj di quell'et?; straordinarj come i tempi, come gli eventi, come l'uomo che li dominava e li correggeva.
Tutto andava male in Lombardia e bisognava quindi tutto rifare. Chi poteva rifar tutto non era che un uomo, Napoleone Bonaparte. Egli per? non poteva far solo e doveva fare rapidamente. Non poteva assentarsi dalla Francia, dove le sue mani movevano tutte le fila d'un febbrile riordinamento amministrativo; non poteva restare a Parigi, dove i rappresentanti italiani si sarebbero trovati in mezzo a troppe e troppo vivaci influenze. Bisognava che alle nuove istituzioni presiedessero gli uomini migliori, e che svanisse tra questi ogni gelosia personale, ogni dissidio d'idee. Si doveva dare al nuovo Stato tutta la forza che deriva da un'amministrazione autonoma, e impedire nel tempo stesso che il suo governo, staccato da ogni potente legame, si trovasse rimpetto a grosse complicazioni europee come
Nave senza nocchiero in gran tempesta.
Questo complesso di cose difficili e necessarie fu sciolto in un modo che allora non si poteva pensar migliore, mediante i Comizj di Lione. Questa citt?, a mezza via fra Milano e Parigi, dove non giungevano n? le influenze corruttrici del governo cisalpino, n? i propositi dominatori delle consorterie parigine, parve e fu veramente adatto luogo per quel convegno fra gli elementi italiani e gli elementi francesi, da cui doveva nascere il nuovo Stato repubblicano dell'alta Italia. Vi giunsero, nel cuore dell'inverno, frammezzo a intemperie che avevano reso pericolosi tutti i passaggi delle Alpi, parecchie centinaja di rappresentanti, nominati dal governo, dalle citt?, dalle provincie, dalle universit?, dalle camere di commercio, dai tribunali, dagli ecclesiastici, dalla guardia nazionale; vi stettero un mese e mezzo, suddividendosi in comitati, lavorando, discutendo, consigliando, studiando miglioramenti di cose ed elenchi di nomi.
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