Read Ebook: Storia degli Italiani vol. 04 (di 15) by Cant Cesare
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Avea pubblicato leggi di grande, quantunque severa giustizia, cui dettava e faceva eseguire egli stesso come despoto; poich? avvezzo ai campi e sapendosi esoso al senato, sprezz? e conculc? questo simulacro di autorit? intermedia fra l'imperatore e i sudditi. Cos? svellendo gli ultimi resti della repubblica, insinu? colla dottrina e colla pratica il sistema despotico, e agevol? gli abusi de' suoi successori e il tracollo dell'impero.
I Trenta Tiranni. Diocleziano. Imperatori colleghi. Costituzione mutata.
Caracalla e Geta, uno di ventitre, l'altro di ventun anno, all'indolenza di chi nasce nella porpora aggiungevano mostruosi vizj ed un reciproco esecrarsi. Il padre adopr? consigli e rimproveri per mitigare quell'accannimento; s'ingegn? di uguagliarli in tutto, fin, cosa inusata, nel titolo d'augusto: ma Caracalla tenevasi oltraggiato di ci?, e del veder Geta conciliarsi il popolo e l'esercito.
Appena Settimio Severo chiuse gli occhi, i due augusti abbandonarono le conquiste per giungere a chi primo in Roma; e proclamati entrambi dagli eserciti, ebbero eguale dominio indipendente. Gi? in via non aveano mangiato mai insieme, mai dormito sotto il medesimo tetto; in citt? si divisero il palazzo, ch'era pi? grande di tutta Roma, fortificando la porzione dell'uno contro quella dell'altro, e postando sentinelle; n? mai s'incontravano che coll'ingiuria sul labbro, col pugno sull'elsa. Per ovviare l'imminente guerra fraterna, fu proposto di spartire l'impero; ma Caracalla tolse le difficolt? col trucidar Geta in grembo a Giulia loro madre.
Fra rimorso e soddisfazione, quel mostro fugge al campo de' pretoriani, prostrasi agli Dei, e dicendosi scampato dalle insidie fraterne, protesta voler vivere e morire coi fedeli soldati. Questi prediligevano Geta, ma un donativo di mille settecento lire ciascuno sop? le mormorazioni. Caracalla non avea udito da suo padre, -- Tienti amici i soldati, e basta?>> Del senato non restavagli a temere; per dare un osso al popolo, lasci? deificar Geta, dicendo, -- Sia divo, purch? non sia vivo>>; e consacr? a Serapide la spada con cui l'avea trafitto.
Ma le furie ultrici straziarono il fratricida, che tra le occupazioni, le adulazioni, le lascivie, vedevasi incontro i fantasmi del padre e del fratello. Per cancellare ogni memoria dell'estinto, ne abbatt? le statue, e fuse le monete; a Giulia che lo piangeva, minacci? morte; la diede a Fadilla, ultima figlia di Marc'Aurelio; ventimila persone fe trucidare, come amici di esso. Ad Emilio Papiniano giureconsulto, gi? odioso a lui perch? Severo gli avea raccomandato l'amministrazione del regno e la concordia di sua famiglia, comand? di scrivere un'apologia del suo fratricidio, come Seneca avea fatto con Nerone; ma questi rispose: -- ? pi? facile commetterlo che giustificarlo>>, e con intrepida morte suggell? la fama acquistata colle opere e colle cariche.
Fattosi al sangue, Caracalla ne agogna sempre di nuovo, e basta per colpa l'esser ricco o virtuoso. Gir? le varie provincie , massime le orientali, sfogando l'ingordigia di supplizj contro tutto il genere umano. Dovunque fosse, i senatori doveano preparargli e banchetti e sollazzi d'immenso costo, ch'egli poi abbandonava alle sue guardie; ergergli palazzi e teatri, che o n? guardava tampoco o comandava di demolire. Per acquistare popolarit?, vestiva secondo il paese; in Macedonia, attestando ammirazione per Alessandro, ordin? un corpo del suo esercito a modo della falange, attribuendo agli uffiziali il nome di quelli dell'eroe; in Asia idolatr? Achille; dappertutto buffone e carnefice; nella Gallia fece uccidere sino i medici che l'aveano guarito; per una satira ordin? di sterminare gli Alessandrini, e dal tempio di Serapide dirigeva la strage di migliaja d'infelici, lutti, come egli scrisse al senato, colpevoli.
Del resto nessuna cura n? degli affari n? della giustizia; a giullari, cocchieri, commedianti, gladiatori profondeva oro; a liberti, istrioni, eunuchi dava i primi posti: che importavano i lamenti del mondo intero? <
La prefettura del pretorio, che allora comprendeva tutte le funzioni del dominio, era stata divisa; pel militare ad Avvento, pel civile a Marco Opilio Macrino avvocato di Cesarea in Mauritania. Un africano indovino predisse a quest'ultimo l'impero: del che fu mandato avviso a Caracalla mentre in Edessa guidava un cocchio, ed egli consegn? il dispaccio a Macrino stesso. Questi vide inevitabile il morire o dar morte; onde compr? il centurione Marziale, che trafisse Caracalla intanto che pellegrinava al tempio della Luna a Carre .
Giulia Domna sua madre, che Severo avea sposata perch? le stelle prediceanle regio marito, oltre bella, era di vivace immaginativa, di fermo animo, di squisito giudizio, insegnata nelle arti e nelle lettere, e protettrice degli uomini d'ingegno, le cui lodi per? non sopirono certi scandali. Sull'austero e geloso marito mai non avea preso ascendente, ma sotto il figlio amministr? con prudenza e moderazione; poi, per non sopravivere alla dignit?, lasciossi morir di fame.
Questo mostro si rese memorabile coll'avere dichiarato cittadini romani tutti i sudditi, non per generosit?, ma per sottoporre anche i provinciali alla ventesima delle eredit?, che pagavasi dai soli cittadini.
Tre giorni vac? l'impero del mondo: al quarto, i pretoriani non trovando a chi darlo, acclamarono Macrino, che se ne mostrava alieno ed accorato dell'uccisione di Caracalla, e che subito sparse doni, promesse, amnistia. Il senato, fin allora esitante, prodig? imprecazioni al morto, a Macrino pi? onori che a verun altro mai, cesare il figlio suo, augusta la moglie; e il supplic? di punire i ministri di Caracalla e sterminare i delatori. Macrino gli permise d'esigliare e senatori e alcuni cittadini, crocifiggere gli schiavi o liberti accusatori de' padroni; poi all'esercito consent? la deificazione di Caracalla, che il sempre docile senato approv?.
Tentando riparare i disordini, annull? gli editti repugnanti alle leggi di Roma; pun? col fuoco gli adulteri, chiunque fossero; gli schiavi fuggiaschi obbligava a combattere coi gladiatori; talvolta i rei lasciava morir di fame; condannava nel capo i delatori che non provassero l'accusa; se la provassero, lasciava loro l'ordinaria ricompensa d'un quarto dei beni dell'accusato, ma li dichiarava infami; i cospiranti contro la sua persona ora pun?, ora perdon?. Questo rigore, e il surrogare talvolta nelle cariche a persone illustri gente sprovvista di nobilt? e di merito, eccit? scontenti; trovossi indecoroso il vedere in trono uno che n? tampoco era senatore, n? con veruna qualit? ricattava la bassezza dei natali.
Causa principale delle rotte era l'indisciplina degli eserciti; onde Macrino, ingegnandosi di ristabilirla, dai molti quartieri delle citt? li trasfer? alla campagna, vietando anzi d'accostarsi a quelle, e puniva irremissibilmente ogni lieve fallo: volle anche attenuare la paga ai soldati, che allora levarono il grido, rinfacciandogli l'oziare suo suntuoso in Antiochia, e l'ipocrisia onde avea finto piangere l'assassinio di Caracalla, opera sua.
Soffiava nel fuoco Giulia Mesa, sorella di Giulia Domna, scaltra come donna, e come uomo coraggiosa, alla quale Macrino avea lasciato le molte ricchezze, relegandola per? ad Emesa in Fenicia, coi nipoti Vario Avito Bassiano di tredici e Alessandro Severo di nove anni, nati quello da Giulia Soemi, questo da Giulia Mammea sue figliuole. Il primo, detto Elagabalo dal nome del dio Sole di cui essa l'avea fatto sacerdote, dai soldati del non lontano campo di Macrino si fece ben volere per dolcezza e affabilit?, tanto pi? dopo che Mesa sparse fosse generato da Caracalla, e puntell? tal opinione con larghi donativi; indotti dai quali, il proclamarono imperatore col nome di Marc'Aurelio Antonino Elagabalo . Ulpio Giuliano prefetto del pretorio, spedito contro di esso, fu trucidato: Macrino, in tentenno fra il rigore e l'indulgenza, alfine lo dichiar? nemico della patria, proclam? augusto il proprio figlio Marco Opilio Diadumeno, e promise a' soldati cinquemila dramme, al popolo cencinquanta per testa. Non ostante ci?, i soldati si chiarirono pel giovinetto; trucidavano gli uffiziali per succeder loro nei beni e nel grado com'era promesso; poi in battaglia sui confini della Siria e della Fenicia, Macrino con intempestiva fuga decise della giornata. C?lto presso Archelaide in Cappadocia, mentre era condotto all'emulo, avendo inteso che il bilustre figliuolo Diadumeno era stato pubblicamente decollato, si precipit? dal carro, e le guardie ne finirono i dolori e la vita. I pochi che resistettero, perirono: in venti giorni cominciata e finita la rivoluzione.
Elagabalo molti mesi consum? in frivolo viaggio e pomposo dalla Siria in Italia, ove intanto sped? le solite promesse, e il proprio ritratto in abiti sacerdotali di seta e d'oro, ondeggianti all'orientale, sul capo la tiara, monili e collane e gemme per tutto, le ciglia tinte in nero, le gote in rosso; talch? Roma dovette accorgersi che, dopo la militare brutalit?, le sovrastava il molle despotismo orientale.
E veramente il sacerdote del Sole sorpass? in empiet?, prodigalit?, impudicizia e barbarie i mostri che l'avevano preceduto. Fra le sei mogli che in quattro anni condusse e che ripudi? od uccise, cont? anche una Vestale, colpa inaudita. Non d'altro che di stoffe d'oro coprivansi i suoi appartamenti: nudo guidava il cocchio tempestato di gemme, cui aggiogava donne seminude, e per giungere a quello non dovea calcare che polvere d'oro: d'oro i vasi a qualunque uso, e la notte distribuiva ai convitati quelli usati il giorno: le vesti, de' drappi pi? fini, n? mai port? due volte la stessa, mai due volte un anello. Le peschiere emp? d'acqua di rose, di vino il canale de' conflitti navali: un indistinto di fiori ricreava le camere, le gallerie, i letti suoi: imbandiva pranzi di sole lingue di pavoni e rossignuoli, d'ova di rombi, cervella di papagalli e fagiani, talloni di camelli, mamme di cigni: non assaggiava pesci se non quando si trovasse lontanissimo dal mare, ed allora ne distribuiva al vulgo quantit? de' pi? fini e pi? costosi al trasporto: nutriva i cani con fegato di paperi, i cavalli con uva, le fiere con fagiani e pernici. Chi inventasse qualche pruriginoso manicaretto, n'avea premio; ma se non incontrasse il gusto dell'imperatore, era condannato a non mangiar altro che di quello, finch? non ne scoprisse uno pi? avventurato. Servivansi inoltre a quelle mense piselli misti con grani d'oro, lenti con pietre di fulmine, fave con ambra, riso con perle; mescevasi mastice al vin di rosa, spolveravansi d'ambra i tartufi e i pesci. D'argento erano le tavole, e i vasi in forme impudiche; di nardo alimentavansi le lampade; rose e giacinti piovevano sui convitati, alcuna volta in tal quantit? da soffocarli, per divertimento dell'imperatore.
A infamie le pi? sozze, di cui il suo palazzo fu un ridotto, invitava gli amici, che chiamava commilitoni per l'indegno consorzio; e le salaci prodezze guadagnavano agli amasj suoi le prime cariche dell'impero. Repente cacci? tutte le meretrici, e vi surrog? garzoni, e si fece sposare da un uffiziale e da uno schiavo, consumando le bestiali nozze al cospetto del mondo. Am? tanto il servo Ganni, che pens? sposargli sua madre e farlo cesare; ma avendolo questi esortato a maggior decenza, lo trucid?: altri assai mand? a morte nella Siria e altrove, come disapprovassero la sua condotta. Quando apparve la prima volta nella curia, volle sua madre fosse annoverata fra i padri coscritti, con voce al par di loro; anzi istitu?, sotto la presidenza di lei, un senato di donne, che risolvessero sugli abiti dei Romani, i gradi, le visite, e siffatte importanze.
Pazzo pel dio al quale doveva il nome e il trono, e che era adorato sotto forma d'un cono di pietra nera, gli alz? tempio magnifico sul Palatino, con riti forestieri; Giove e gli altri Dei gli fossero servi; anzi a nessun altro che a quello si prestasse adorazione. Profanati adunque e spogli i tempj, al suo furono recati il fuoco eterno di Vesta, la statua della Gran Madre, gli scudi Ancili, il Palladio; e da Cartagine trasferita la dea Astarte con tutti gli ornamenti, la spos? al dio suo con nozze sfarzose. Pel culto di quello, non che astenersi egli medesimo dalla carne di porco e farsi circoncidere, sagrificava fanciulli, rapiti ad illustri famiglie. Menando in processione la rozza pietra s'un carro a sei bianchi cavalli, fece spolverar d'oro la via; egli, tenendo le briglie, camminava a ritroso per non torcere gli occhi dalla prediletta divinit?. Nei sacrifizj suoi vini squisiti, rarissime vittime, preziosi aromi si consumavano, e tra le lascive danze che sirie fanciulle menavano al suono di barbarici stromenti, i pi? gravi personaggi di toga e di spada adempivano ridicole ed abjette funzioni.
Mesa faceva inutile prova di frenare quel forsennato: e prevedendo che i Romani, ossia i soldati, nol soffrirebbero a lungo, lo indusse a adottare il cugino Alessandro Severo, acci?, diceva, gli affari nol distraessero dalle divine sue cure. Elagabalo, come vide costui non pigliar parte alle sue dissolutezze, e rendersi caro al popolo e al senato, tent? ucciderlo: ma i pretoriani si sollevarono, e uccidevano l'imperatore se a lacrime non avesse impetrato gli lasciassero la vita e lo sposo; onde sfogarono la loro indignazione sugli altri compagni di sue dissolutezze. Quando l'anno vegnente attent? ancora alla vita d'Alessandro, i pretoriani di nuovo tumultuarono, e avendo Elagabalo dovuto portarlo nel loro campo, a quello profusero applausi, a lui insulti. Irritato, comanda la morte di alcuni, ma i loro compagni li strappano al carnefice; si fa baruffa; Elagabalo si nasconde nelle fogne, ed ivi scoperto ? ucciso . Avea diciott'anni!
Alessandro Severo di quattordici fu gridato imperatore, augusto, padre della patria, grande, prima di pur conoscerlo. Egli, dolce e modesto, lasciossi regolare dalla madre Mammea, la quale gli pose attorno un consiglio di sedici senatori, e a loro capo il celebre Domizio Ulpiano, affinch? risarcissero lo scompiglio del governo e delle finanze, rimovessero i tanti indegni impiegati, e formassero il giovane imperatore.
Rispettoso ad essa e ad Ulpiano, aborrente dagli adulatori, Alessandro am? la virt?, l'istruzione, il lavoro. Sorto coll'alba, dopo le devozioni nella domestica cappella, adorna delle immagini d'eroi benefici, dava opera agli affari nel consiglio di Stato e alle cause private, donde ricreavasi coll'amena lettura e collo studiare poesia, filosofia, storia, massime in Virgilio, Orazio, Platone e Tullio, senza trascurare gli esercizj del corpo. Rimessosi poi agli affari, dava spaccio a lettere e memoriali, fin alla cena, frugalmente imbandita per pochi amici, dotti e virtuosi, la cui conversazione o la lettura gli tenesser luogo de' ballerini e de' gladiatori, condimento ai banchetti romani. Vestiva positivo, parlava cortese, a tutti dava udienza in certe ore, e un banditore ripeteva quella formola de' misteri eleusini: -- Qua non entri chi non ha animo castigato ed innocente>>. Avea scritto sulle porte del palazzo: -- Fate altrui quel che a voi vorreste fatto>>. Di Cristiani avea piena la Corte, e v'? chi dice adorasse in secreto Cristo ed Abramo, e pensasse ergere tempj al vero Dio, se gli oracoli non avessero riflettuto che ridurrebbe con ci? deserti que' degli altri. Come vedeva usato dai Cristiani nella scelta de' sacerdoti, pubblicava il nome de' governatori che eleggeva alle provincie, invitando chi avesse alcun che da opporre. Moderato il lusso, diminu? il prezzo delle derrate e l'interesse del denaro, non lasciando al popolo mancare n? largizioni n? divertimenti. I governatori, persuasi che l'amore de' governati fosse il solo modo di piacergli, tornavano in lena le provincie; e cos? ricreavasi l'impero da quarant'anni di diversa tirannia.
Restavano, pessima piaga, i soldati, indocili d'ogni freno. Alessandro gli amic? coi donativi e con alleviarli da qualche peso, come dal portar nelle marcie la provvigione per diciassette giorni; ne diresse il lusso sui cavalli e sulle armi; alle loro fatiche sottoponevasi egli stesso, li visitava malati, non lasciava alcun servizio senza memoria o compenso, e diceva premergli pi? il conservar loro che se stesso, in quelli consistendo la pubblica salvezza.
Ma val rimedio a male incancrenito? Ai pretoriani venne a noja la virt? del loro creato, e tacciavano Ulpiano loro prefetto di consigliarlo alla severit?; onde infuriati corsero Roma per tre giorni come citt? nemica, ficcando anche il fuoco, sinch? ebbero Ulpiano, che trucidarono sugli occhi stessi dell'imperatore , indarno buono. Egual fine minacciavano a qualunque ministro fedele; n? Dione storico camp?, che con celarsi nelle sue ville di Campania. Le legioni imitarono il tristo esempio, e da ogni banda rivolte e uccisioni d'uffiziali attestavano che nulla pi? giovava la bont? in tanta sfrenatezza.
Al tempo suo una grande rivoluzione ristor? l'impero di Persia, e Ardescir-Babegan o Artaserse, figlio di Sassan, re dei re, all'unit? dell'amministrazione e del culto del fuoco secondo la dottrina di Zoroastro ridusse quanto paese giace tra l'Eufrate, il Tigri, l'Arasse, l'Oxo, l'Indo, il Caspio e il golfo Persico. Erano nuovi tremendi nemici all'impero romano; giacch? Ardescir disegn? ricuperare quanto avea posseduto Ciro; e senza riguardo ad Alessandro Severo, pass? l'Eufrate , sottomise molte provincie contigue, ed all'imperatore che s'avvicinava coll'esercito mand? quattrocento uomini, i pi? atanti di loro persone, i quali dicessero: -- Il re dei re manda ordine ai Romani e al loro capo; sgombrino la Siria e l'Asia Minore, e restituiscano ai Persiani i paesi di qua dell'Egeo e del Ponto, posseduti dai loro avi>>.
Alessandro s'irrit? a quella tracotanza, e tolti ai messi gli ornamenti, li releg? nella Frigia; la Mesopotamia senza battaglia ricuper?; e sconfisse Ardescir , che contava cenventimila cavalli, diecimila soldati pesanti, mille ottocento carri da guerra, e settecento elefanti. Alessandro divise il suo esercito in tre corpi, che per diversi lati invadessero la Partia; e la concordia del ben disposto attacco avrebbe potuto fiaccare i Persi, se l'esercito romano non avesse ricusato le fatiche e trucidato gli uffiziali. Reduce a Roma , e vantate le sue imprese in senato, Alessandro trionf? condotto da quattro elefanti, ed ebbe il soprannome di Partico e di Persico: ma poco stante Ardescir ripigli? quanto i Romani aveano acquistato, e in quindici anni di regno consolid? la sua potenza minacciosa alla romana.
Alessandro disponevasi a rinnovare le ostilit?, da cui lo distrassero i Germani. Accorso al Reno, ne li respinse ; ma l'arrest? lo scompiglio de' suoi eserciti, intolleranti delle fatiche, della disciplina e del rigore ond'egli puniva qualunque oltraggio recassero nelle marcie, lungo le quali faceva ripetere dagli araldi quel suo -- Fate come volete che a voi si faccia>>.
Quando Alessandro, reduce d'Oriente, festeggi? nella Tracia con giuochi militari il natogli Geta, si present? un garzone balioso, in barbara lingua implorando l'onore di concorrere alla lotta. La sua corporatura dava grand'indizio di vigoria; laonde, affinch? non avesse, egli barbaro, a trionfare d'un soldato romano, furongli opposti i pi? forzosi schiavi del campo: ma un dopo l'altro, sedici ne abbatt?. Compensato con regalucci ed arrolato nelle truppe, al domani le divert? con saltabellare a modo del suo paese: e vedendo che Severo gli avea posto mente, tenne dietro al cavallo di lui in una lunga corsa, senz'ombra di stanchezza; al fine della quale avendogli l'imperatore esibito di lottare, accett? e vinse sette robusti soldati. Alessandro il regal? d'una collana d'oro, e lo scrisse fra le guardie del suo corpo con paga doppia, l'ordinaria non bastando al suo mantenimento.
Costui chiamavasi Massimino, di padre goto, di madre alana: alto otto piedi, trascinava un carro cui non bastava un par di bovi, sradicava alberi, fiaccava la tibia di un cavallo con un calcio, spiaccicava ciottoli fra le mani, mangiava quaranta libbre di carne, bevea ventiquattro pinte di vino al giorno, quando non eccedesse. Nel trattare cogli uomini vide la necessit? di frenare la nat?a fierezza; e sotto i succedentisi imperadori si conserv? in grado: Alessandro il costitu? tribuno della quarta legione; indi, per la disciplina che serbava, lo promosse al primo comando, lo ascrisse al senato, e pensava dare sua sorella a Giulio Vero figlio di lui, bello, robusto e coraggioso quanto superbo.
Tanti benefizj, non che ammansassero Massimino, l'invogliarono a tutto osare quando tutto potea la forza; spargeva cronache e risa su questo imperator siro, tutto senato, tutto mamma; e formatasi una fazione, lo assal? presso Magonza , e lo trucid? con Mammea, di soli ventisei anni. I soldati uccisero gli assassini, eccetto il capo: popolo e senatori piansero Alessandro quanto meritava, e con annua festa ne commemoravano il natale. Massimino, gridato imperatore, si associ? il figlio, cui i soldati baciarono le mani, le ginocchia, i piedi; il senato conferm? quel che non poteva disfare; e tosto cominciarono le vendette e le crudelt?. Come chi da infima perviene ad alta fortuna, Massimino temeva il dispregio e i confronti; quindi la nascita illustre o il merito erano colpa agli occhi suoi, colpa l'averlo vilipeso, colpa l'averlo sovvenuto nella sua povert?. Un sospetto bastava perch? governatori, generali, consolari fossero incatenati sui carri e portati all'imperatore, che, non sazio della confisca e della morte, li faceva o esporre alle fiere entro pelli fresche di bestie, o battere sinch? avessero fil di vita. N? i Cristiani cansarono la sua ferocia .
A pari con questa andava in lui l'ingordigia; e incamer? le rendite indipendenti che ciascuna citt? amministrava per le pubbliche distribuzioni e per sollazzi, spogli? i tempj, e le statue di numi e d'eroi volse in moneta. Dappertutto fu indignazione, in qualche luogo tumulto. Nell'Africa, alcuni giovani ricchissimi, spogliati d'ogni ben loro dal procuratore ingordo, armano schiavi e contadini, trucidano il magistrato, e gridano imperatore Marc'Antonio Gordiano proconsole di quella provincia.
Questo ricco e benefico senatore, discendente dai Gracchi e da Trajano, occupava in Roma il palazzo di Pompeo, adorno di trofei e pitture: aveva sulla via di Preneste una villa di magnifica estensione, con tre sale lunghe cento piedi, e un portico sorretto da ducento colonne de' quattro pi? stimati marmi: nei giuochi dati al popolo, non esibiva mai meno di cencinquanta coppie di gladiatori, talora cinquecento: un giorno fece uccidervi cento cavalli siciliani ed altrettanti cappadoci, e mille orsi, a non dire le fiere minori: e siffatti giuochi, essendo edile, rinnov? ogni mese; fatto console, gli estese alle principali citt? d'Italia.
Qui tutta la sua ambizione; placido del resto da non eccitare la gelosia de' tiranni, attendeva alle lettere e cant? in trenta libri le virt? degli Antonini. Toccava gli ottant'anni quando gli sopragiunse codesta sventura dell'impero; e poich? preci e lacrime adopr? invano a stornarla, vedendo non camperebbe altrimenti o dai soldati o da Massimino, accett? e pose sede in Cartagine. Imperatore con esso fu dichiarato suo figlio Gordiano, il quale avea raccolto ventidue concubine e sessantaduemila volumi: da ciascuna delle prime ebbe tre o quattro figliuoli; degli altri si valse per fare egli stesso libri, di cui qualcuno ci rimane.
Dando contezza al senato della loro elezione, i nuovi imperatori protestavano deporrebbero la porpora se cos? a quello piacesse; dei decreti ordinavano la pubblicazione soltanto qualora il senato vi acconsentisse; richiamavano gli esuli, promettevano generosamente ai soldati e al popolo, invitavano gli amici a sottrarsi dal tiranno. La risolutezza del console vinse l'esitanza del senato, che dichiar? nemici i Massimini e chi con loro, e ricompense a chi gli uccidesse; e per tutta Italia si diffuse la rivolta, contaminata di troppo sangue. Il senato avvilito a quel modo sotto il villano goto, ripigliava allora spiriti e dignit?, disponeva la difesa e la guerra, per deputati invitava i governatori in ajuto della patria. Dappertutto erano i ben accolti; ma Capeliano, governatore della Mauritania e privato nemico de' Gordiani, fatto massa, aggrediva i nuovi imperatori in Cartagine. Il figlio periva combattendo; il padre all'annunzio si strangolava, regnato appena sei settimane: Cartagine fu presa, e torrenti di sangue saziarono la vendetta di Massimino.
Il quale, all'udire le prime nuove, infuriando a modo di bestia, voltolavasi per terra, dava del capo nelle muraglie, trafisse quanti gli erano intorno, finch? a viva forza gli si strapp? la spada, poi mosse verso Italia. Proclamava intera perdonanza: ma chi si sarebbe fidato? Il senato, spinto dalla disperazione ad un coraggio che la ragione rinnegava, proclam? imperatori due vecchi senatori, Massimo Pupieno e Claudio Balbino, uno che dirigesse la guerra, l'altro che regolasse la citt?. Il primo, figlio di un carpentiere, rozzo ma valoroso ed assennato, era salito di grado in grado fino ai sommi e alla prefettura di Roma. Le sue vittorie contro Sarmati e Germani, e il tenore austero di sua vita, non disgiunta da umanit?, il faceano riverito dal popolo; come amato n'era Balbino, oratore e poeta di nome, integro governatore di molte provincie, ricco sfondolato e liberale, amico de' piaceri senza eccesso.
Appena costoro in Campidoglio compivano i primi sagrifizj, il popolo tumultua, vuol fare esso pure una elezione, e che ai due s'aggiunga un nipote di Gordiano, fanciullo di dodici anni, anch'esso Gordiano di nome. Quelli accettarono il cesare, e rabbonacciato il tumulto, pensarono a consolidarsi.
Massimino, a capo dell'esercito col quale avea pi? volte vinto i Germani e meditato stendere l'impero fino al mar settentrionale, movea sbuffando sopra l'Italia, che mai non avea vista dopo imperatore; e sceso dall'AIpi Giulie, trovava il paese deserto, consumate le provvigioni, rotti i ponti, volendo cos? il senato logorarne le forze sotto i castelli nel miglior modo muniti. Prima Aquileja gli abbarr? la marcia con risoluto coraggio, fidata nel dio Beleno, che credeva combattesse sulle sue mura. Se per? Massimino si fosse lasciata alle spalle quella citt?, difilandosi sopra Roma, che cosa avrebbe potuto opporgli Pupieno, proceduto sin a Ravenna per tenergli testa? E che valevano i politici accorgimenti di Balbino contro gl'interni tumulti? Ma le truppe di Massimino, trovando il paese desolato e un'inattesa resistenza, s'ammutinarono; e un corpo di pretoriani, tremando per le mogli ed i figli loro rimasti nel campo d'Alba, trucidarono il tiranno col figlio e co' suoi pi? fidati.
Aquileja spalanca le porte, assediati e assediatori abbracciansi nella esultanza della ricuperata libert?, e in Ravenna, in Roma, per tutto la gioja, i mirallegro, i ringraziamenti agli Dei sono in proporzione del terrore eccitato dagli uccisi e dalla fiducia nei nuovi. Questi abolirono o temperarono le tasse imposte da Massimino, rimisero la disciplina, pubblicarono leggi opportune col consiglio del senato, e cercarono rimarginare le ferite sanguinose. Pupieno chiedeva a Balbino: -- Qual premio aspettarci per aver liberato Roma da un mostro? -- L'amore del senato, del popolo e di tutti>>, rispose Balbino; ma l'altro pi? veggente: -- Sar? piuttosto l'odio dei soldati e la loro vendetta>>.
Quel fanciullo pareva nato fatto per riconciliare i rissosi: egli bello, egli soave, egli rampollo di due imperatori, morti prima di divenire malvagi; egli detto figliuolo dal senato, come dai soldati; egli dalla plebe amato pi? che qualunque suo predecessore. Misiteo, suo maestro di retorica poi suocero e prefetto al pretorio, dato lo sfratto a' ribaldi confidenti del giovine imperatore, merit? la fiducia coll'onest? e colla valent?a. Ma poco appresso mor?; e il comando de' pretoriani fu commesso a Marco Giulio Filippo, che, non contento di quel posto, brig? fra i soldati tanto, che obblig? Gordiano ad assumerlo compagno nel dominio , poi lo depose, infine lo trucid? a Zait mentre guerreggiava il re sassanide Sciapur o Sapore, figlio di Ardescir.
Filippo era nato a Bosra nell'Idumea, da un capo di carovane arabe, e v'? chi lo dice cristiano, sebbene le opere nol mostrino. Acconciatosi con S?pore, torn? in Antiochia , dove volendo assistere alla solennit? della Pasqua, il vescovo Babila lo dichiar? indegno, finch? non subisse la penitenza. Giunto a Roma, si concili? il popolo colla dolcezza, e celebr? il millenario della citt? con giuochi ove combatterono trentadue elefanti, dieci orsi, sessanta leoni, un caval marino, un rinoceronte, dieci leoni bianchi, dieci asini, quaranta cavalli selvaggi, dieci giraffe, oltre belve minori e duemila gladiatori. Sanguinosi dovean essere i giubilei della eroica citt?.
Ma d'ogni parte rampollavano nuovi imperatori, il pi? fortunato de' quali fu Gneo Messio Decio di Sirmio, governatore della Mesia; marciando contro del quale Filippo fu trucidato a Verona per mano dello stesso Decio, dopo cinque anni d'impero.
Aveva egli lasciato progredire la religione cristiana, contro della quale invece Decio band? severissimi editti : e chi ne faceva professione, era sturbato dalle case e dai beni, e tratto al supplizio. Rinnovaronsi allora gli orrori delle proscrizioni; fratelli tradirono i fratelli, figliuoli i padri; chi potea sottrarsi a quel furore, si riduceva nelle selve e negli eremi. V'era mosso Decio dall'amore dell'antica disciplina, che, attribuendo le sciagure dell'impero alla corruttela, tent? ripristinare. Avea pensato ristabilire la censura; quasi la rugginosa instituzione fosse applicabile quando su tutto il mondo incivilito sarebbesi dovuto estendere l'ispezione, e chiamare a giudizio inerme l'armata depravazione. Pure volendo che il senato eleggesse un censore, l'unanime voce acclam? Valeriano; e l'imperatore, conferendogli il grado, disse: -- Te fortunato per l'universale approvazione! ricevi la censura del genere umano, e giudica i nostri costumi. Eleggerai i meritevoli di seder nel senato, renderai lo splendore all'ordine equestre, crescerai le pubbliche entrate pur alleggerendo le gravezze, dividerai in classi l'infinita moltitudine de' cittadini, terrai ragione di quanto concerna le forze, le ricchezze, la virt?, la potenza di Roma. Al tuo tribunale sono soggetti la corte, l'esercito, i ministri della giustizia, le dignit? dell'impero, eccetto solo i consoli ordinarj, il prefetto della citt?, il re dei sacrifizj, e la maggior Vestale sinch? casta>>.
Prima che al fatto apparisse ineseguibile quel disegno, lo interruppero i Goti, che invasero la Bassa Mesia , poi la Tracia e la Macedonia. Ora vincendo a forza, ora giovato dai tradimenti, l'imperatore li ridusse a tale estremit?, che offrirono di rendere i prigionieri ed il bottino, pur che fossero lasciati ritirarsi. Decio, risoluto a sterminarli, s'attravers? al loro passo. Mal per lui; giacch?, assalito in disperata battaglia, vide cadere trafitto il proprio figliuolo. Decio grid? ai soldati: -- Non abbiam perduto che un uomo; s? lieve mancanza non ci scoraggi>>; ed avventatosi ove pi? fervea la mischia, vi trov? la morte.
Dell'esercito sbaragliato le reliquie si raggomitolarono al corpo di Vibio Treboniano Gallo, da lui spedito per tagliare la ritirata ai Goti. Questi, che forse avea colpa della sconfitta, finse volerla vendicare, e cos? amicossi l'esercito che l'acclam? imperatore: ed egli si associ? Ostiliano figlio di Decio, e, morto fra breve costui, il proprio figlio Volusiano. Ma non appena il senato lo conferm?, conchiuse vergognosa pace coi Goti, promettendo fin un tributo; serbatosi a manifestare il suo coraggio col perseguitare i Cristiani.
Nel suo regno d'un anno e mezzo, peste e siccit? desolarono; Goti, Borani, Carpi, Burgundioni irruppero nella Mesia e nella Pannonia; gli Sciti devastarono l'Asia, i Persiani occuparono fino Antiochia. Il mauro Emilio Emiliano, comandante della Mesia, borioso d'aver vinto i Barbari, e sprezzando Gallo che marciva a Roma nei piaceri, si fa salutare imperatore , e prima che questi ben si sdormenti, entra in Italia, e scontratolo a Terni, il vede ucciso col figlio Volusiano da' suoi stessi soldati. Ma l'esercito uccide lui pure presso Spoleto, dopo quattro mesi di regno, e s'accorda col senato e coll'esercito della Gallia e Germania che aveano acclamato Licinio Valeriano.
Illustre nascita, modestia, prudenza faceano caro costui, che forbendosi dai vizj d'allora, applicava alle belle lettere i suoi riposi; devoto dei costumi antichi, aborriva la tirannide, talch? parea degno dell'impero. Ma come l'ottenne, si sent? inabile a tanto peso; n? altro ajuto seppe scegliere che il proprio figlio Egnazio Gallieno, effeminato e vizioso. Pure dava miti ed opportuni provvedimenti, quando il chiamarono all'armi i popoli, che dal Settentrione e dall'Oriente irrompevano.
Valeriano, vittorioso dei Goti, combattendo S?pore nella Mesopotamia rest? vinto e prigioniero per tradimento di Fulvio Macriano suo favorito. Il re dei re, invanito dell'op?mo trionfo, il men? catenato per le citt? principali, sul dosso di lui metteva il piede per montare a cavallo: morto dopo parecchi anni di prigionia, lo fece scorticare, e dedicarne la pelle in un tempio, a perpetuo obbrobrio. Altri storici attestano che rispett? il prigioniero, a cui lo strazio peggiore fu il vedere suo figlio esultare d'una sventura che anticipavagli il regno. I Cristiani vi ravvisarono la punizione dell'aver perseguitato i Fedeli, come fece ad istigazione di Marciano, famigerato mago egizio, il quale gli persuase non potrebbe l'impero mai prosperare finch? non annichilasse un culto abbominato dai patrj numi.
All'annunzio della sconfitta, tutti i nemici dell'impero quasi d'accordo l'assalgono e invadono anche l'Italia. Dal pericolo ridesti, i senatori posero in essere la guarnigione pretoriana, arrolandovi i pi? robusti plebei, sicch? i Barbari diedero volta. Gallieno rimasto solo all'impero, s'adombr? di quest'accesso marziale; onde interdisse ai senatori qualunque grado militare, e fin l'accostarsi ai campi delle legioni: esclusione che i ricchi ammolliti accettarono come un favore.
Gallieno procur? imbonire i Barbari anche con parentele, sposando la figlia di Pipa re dei Marcomanni, nozze sempre tenute per sacrileghe dalla romana vanit?. Nell'Illiria sconfisse e uccise Ingenuo acclamato imperatore, e in vendetta mand? per le spade gli abitanti della Mesia, colpevoli o no. -- Non basta che tu faccia morire semplicemente quelli che portarono le armi contro di me, e che avrebbero potuto perire nella zuffa; voglio che in ogni citt? tu stermini tutti gli uomini, giovani o vecchi: non risparmiare pur uno che m'abbia voluto male o sparlato di me, figlio, padre e fratello di principi. Uccidi, strazia senza piet?, fa come farei io stesso che di propria mano ti scrivo>>.
Al furibondo decreto davasi esecuzione , talch? i minacciati, per disperazione, gridarono imperatore Nonio Regillo. Daco d'origine, e discendente da Decebalo che guerreggi? con Trajano, era prode a segno, che Claudio, futuro imperatore, gli scrisse: -- Un tempo ti sarebbe stato decretato il trionfo: ora ti consiglio a vincere con maggior precauzione, e non dimenticare che v'? cui le tue vittorie darebbero sospetto>>. Questo valore lo port? al trono, ma non gliel conserv?, e ben tosto fu ucciso dai proprj soldati.
Un altro imperatore sorto nelle Gallie, Cassiano Postumio, di bassa nazione ma sommo capitano, assedi? in Colonia Salonino figlio di Gallieno, e l'uccise , ed ebbe omaggio dalla Gallia, dalla Spagna e dalla Bretagna, per otto anni conservandovi la tranquillit?, e facendosi amare.
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