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Words: 120964 in 20 pages
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: Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo v. 03 (of 16) by Sismondi J C L Simonde De Jean Charles L Onard Simonde - Italy History IT Storia
STORIA DELLE REPUBBLICHE ITALIANE DEI SECOLI DI MEZZO
DI J. C. L. SIMONDO SISMONDI
DELLE ACCADEMIE ITALIANA, DI WILNA, DI CAGLIARI, DEI GEORGOFILI, DI GINEVRA EC.
ITALIA 1817.
STORIA DELLE REPUBBLICHE ITALIANE
Non erano appena passati sessant'anni dopo il trattato convenuto in Venezia tra le repubbliche lombarde e l'imperatore Federico Barbarossa, che una nuova guerra si riaccese nella stessa contrada fra la medesima lega lombarda e Federico II, nipote del Barbarossa. Apparentemente sembrava provocata dagli stessi motivi che avevano dato luogo alla precedente guerra; e se da un lato pretestavansi le antiche prerogative dell'Impero, facevansi risonare dall'altra banda i diritti de' cittadini e la riconosciuta indipendenza delle citt?. Nel tredicesimo secolo, siccome nel dodicesimo, la Chiesa non tard? a dichiararsi la protettrice delle repubbliche ed a ferire pi? gravemente l'imperatore colle armi spirituali. Si confondono facilmente i due Federici, le due leghe lombarde, le due lunghe contese tra l'autorit? reale e la libert?.
Queste due guerre sono per altro distinte da due importantissime differenze. Era la prima necessaria; perch?, rispetto alle citt?, trovavansi compromessi i loro pi? preziosi diritti, il loro onore, la stessa loro esistenza. La seconda poteva facilmente risparmiarsi, se l'insidiosa politica della corte romana non avesse accesa e tenuta viva la discordia, e se ai Lombardi non avessero ispirata troppa fidanza le loro ricchezze, e troppo orgoglio il sentimento della propria forza. E siccome i motivi della guerra furono meno puri, n'ebbero altres? meno onorevoli risultamenti. Spiegando lo stesso coraggio e la stessa costanza del precedente secolo, ed adoperando maggiori forze, gran parte delle repubbliche d'Italia non respinsero l'autorit? imperiale, che per cadere sotto il giogo della tirannia. L'illimitato potere dei capi di parte, fatti sovrani, subentr? in molte citt? al legittimo e moderato potere del monarca costituzionale.
Ad ogni modo qualunque siano state le segrete pratiche di Gregorio per determinare Enrico alla ribellione, quando in sul cominciare del susseguente anno Federico part? per recarsi in Germania onde ricondurre suo figlio al dovere, il papa assecond? gli sforzi dell'imperatore, scrivendo ai prelati della Germania per esortarli a non favorire il ribelle. Federico attravers? l'Adriatico da Rimini ad Aquilea, ed entr? senz'armata in Germania, assicurato da tutti i principi dell'Impero della loro fedelt?. Lo stesso Enrico si vide costretto a domandar grazia, e venuto a Worms a gettarsi al piedi del padre, il quale lo mand? prigioniero in Puglia dopo di averlo dichiarato decaduto dalla corona di Germania. Questo giovane principe, la di cui istoria ? coperta d'impenetrabili oscurit?, non sort? pi? di prigione, ove mor? pochi anni dopo. Attestano alcuni ch'egli si merit? questa perpetua prigionia con nuovi attentati; altri danno colpa a Federico d'aver trattato il figliuolo con eccessivo rigore.
Alberico conserv? lungo tempo la pi? alta influenza sulla repubblica di Treviso; ma siccome egli aveva strascinata questa citt? a dividere il suo odio contro i signori da Camino, i pi? potenti gentiluomini guelfi del territorio, questi si posero sotto la protezione della citt? di Padova, una delle principali della lega lombarda, dichiarandosi suoi cittadini; e col suo appoggio forzarono finalmente i Trevigiani a rinunciare alla parte ghibellina per unirsi alla guelfa. Ezelino ebbe pi? costante il favore della sorte: la citt? di Verona era governata da un senato composto di ottanta consiglieri scelti tra la nobilt? che si rinnovavano ogni anno; e l'elezione del 1225 fu in modo favorevole ai signori da Romano, che i Montecchi ne approfittarono per eccitare una sedizione, col favore della quale cacciarono di citt? Riccardo, conte di san Bonifacio, capo del partito guelfo. Il senato, dominato dal partito ghibellino, affid? ad Ezelino i poteri di podest? col nuovo titolo di capitano del popolo. Dopo tale epoca la repubblica si govern? sotto l'influenza del signore da Romano, quantunque per lungo tempo ancora Ezelino fosse abbastanza avveduto per non cambiare le forme della sua amministrazione. Soltanto del 1236 egli persuase i Veronesi a ricevere nella loro citt? guarnigione imperiale sotto pretesto di rendere pi? sicuro il partito ghibellino. Queste truppe, poste da Federico sotto gli ordini d'Ezelino, giovarono maravigliosamente a consolidarne il potere.
Le citt? di Cremona, Parma, Modena e Reggio eransi da lungo tempo gi? dichiarate per la parte ghibellina, avevano abbracciata l'alleanza di Ezelino, e con lui formavano una federazione opposta alla lega lombarda; per cui trovavasi questa divisa in tre parti senza sicura comunicazione: cio? da una parte Milano, Brescia, Piacenza e le meno importanti citt? del Piemonte; dall'altra Bologna colle citt? della Romagna, e finalmente nella Marca, Padova, Treviso e Vicenza. Se le due comuni di Mantova e Ferrara, la prima delle quali era influenzata dal conte di san Bonifacio, l'altra dal marchese d'Este, si mantenevano fedeli alla lega, avrebbero assicurata la comunicazione tra le sparse membra, che tanto importava di riunire; ma la costituzione delle repubbliche della Marca e di qualunque altra, ove un capo di parte poteva acquistare molta influenza, non era propria a guarentire la stabilit? dei consigli, o la costanza dei cittadini.
Niun altro governo offre la storia, che abbia pi? delle aristocrazie ben costituite dato prove di maraviglioso coraggio e d'irremovibile costanza. Il senato di Sparta, quelli di Roma e di Venezia sostennero sempre l'avversa fortuna con pi? nobilit? che non fecero mai le assemblee popolari di Atene o di Firenze. Un governo aristocratico, forse con pregiudizio del resto della nazione, giugne ad innalzare l'anima d'una classe privilegiata: ma ci? non si ottiene che assicurando a questa classe dominante tutti i vantaggi della libert?, e tutti ancora quegli affatto illusorj dell'eguaglianza, che pi? degli altri abbagliano l'immaginazione. Uomini che, senza regnare, possono vantare non esservi nell'umana razza un solo uomo loro superiore; uomini che al di sopra di s? medesimi non vedono che l'Essere degli Esseri, e la regola delle leggi immutabili e astratte al pari di esso; questi uomini sentono pi? di tutt'altri il sentimento dell'umana fierezza, e sono capaci di forza straordinaria, di grandi sagrificj, di grandi virt?. L'emulazione tra gli eguali innalza il loro spirito; n? l'obbedienza che li rende degni del comando, n? il comando che li prepara all'ubbidienza, gli avvilisce giammai.
Ma quanto possono essere grandi i nobili, tutti fra di loro eguali, d'una ben costituita aristocrazia, altrettanto piccoli sono d'ordinario i nobili della seconda classe in uno stato oligarchico. La nascita pu? bene dar loro un titolo al disprezzo dei loro inferiori, ma non ad essere superbi della propria indipendenza, perch? anch'essi soggetti ad altri. Piccoli tiranni ne' proprj castelli, e vili cortigiani presso i nobili di primo ordine, hanno tutti i vizj dei despoti, e la vilt? degli schiavi; e non riconoscono le distinzioni della nascita che per abbassare s? ed i loro subalterni al di sotto dell'umana dignit?.
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