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Words: 104773 in 18 pages

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STORIA DELLE REPUBBLICHE ITALIANE DEI SECOLI DI MEZZO

DI J. C. L. SIMONDO SISMONDI

DELLE ACCADEMIE ITALIANA, DI WILNA, DI CAGLIARI, DEI GEORGOFILI, DI GINEVRA EC.

ITALIA 1817.

STORIA DELLE REPUBBLICHE ITALIANE

La strage di Sicilia che non aveva tolti al re Carlo che quattro mila soldati francesi, era pi? che una disfatta, un affronto ch'egli doveva vendicare; n? tale perdita era di tanta importanza ch'egli non potesse ben tosto ripararvi. Se ? vero che avesse adunati dieci mila cavalli ed un proporzionato numero di pedoni per fare l'impresa del Levante; se ne' suoi vasti progetti calcolava la conquista di tutto l'impero greco, pare che con queste forze gi? riunite egli avrebbe in pochi giorni potuto sottomettere una provincia ribelle, non ancora preparata ad una vigorosa resistenza, sprovvista di arsenali, di armata, di tesoro, non sostenuta da uno stabile governo, non difesa da esperti generali; ove tutto quanto gli si poteva opporre era l'odio profondo contro di lui concepito ed il timore delle sue vendette. Ma le passioni che agitano un'intera nazione, che le danno un solo sentimento, una sola vita, un solo interesse in faccia al quale tutto cede; le passioni che non lasciano calcolare n? sforzi, n? pericoli, n? sagrificj, danno ad un popolo assai maggiori mezzi di resistenza, di quelli che potrebbe somministrargli la previdenza d'un governo regolare, e l'azione uniforme e sempre subordinata al calcolo della militare disciplina. La Sicilia fu invincibile: ella resistette agli sforzi combinati del re Carlo, del papa, del re di Francia, di tutti i Guelfi d'Italia e dello stesso re d'Arragona, che per rappacificarsi colla Chiesa prese parte in una vergognosa lega co' suoi nemici. La casa d'Angi? consumossi con inutili sforzi per ricuperare un regno avuto gi? in suo dominio; e, mentre combatteva, l'Italia, di cui aveva minacciata la libert?, ricuper? la propria indipendenza: anch'essa forse ne abus?, perciocch?, mancati i grandi interessi che la tenevano unita, e non vedendosi minacciata da vicino pericolo, si abbandon? alle parziali guerre tra citt? e citt? ed alla violenza delle fazioni.

Ad ogni modo se la Sicilia non era dal mare separata dagli altri stati del re Carlo, non avrebbe probabilmente potuto lungamente resistere. Un'armata vendicatrice sarebbesi presentata in faccia a Messina ed a Palermo pochi giorni dopo la strage dei Francesi; avrebbe trovato il popolo spossato dai suoi proprj furori e di gi? in preda al pentimento, che in lui non si manifesta giammai con maggiore unanimit?, che nell'istante in cui si riposa dopo i suoi primi eccessi.

Intanto pass? alcun tempo avanti che la flotta e l'armata del re, adunate in Brindisi per la spedizione della Grecia, potessero porsi in mare. Lo stesso Carlo and? a Brindisi, ove dovevano pure recarsi le truppe ausiliarie che gli mandavano le citt? guelfe della Toscana e della Lombardia. Fece in appresso marciare la sua armata fino all'estremit? della Calabria, ed egli stesso s'imbarc? per raggiungerla a Reggio. Soltanto il 6 di luglio del 1282 arriv? in faccia a Messina con cento trenta galee o grosse navi, e trasport? le sue truppe dall'una all'altra riva dello stretto. Egli aveva con lui cinque mila uomini d'armi ed un ragguardevole corpo d'infanteria. I Siciliani non avevano armata da opporre al re, ma non erano affatto sprovveduti di navi. Erano cadute in loro potere quelle che Carlo avea fatto allestire per l'impresa di Grecia a Palermo, a Siracusa ed in altri porti dell'isola, come pure i materiali che trovavansi ne' cantieri di Messina, che furono adoperati in difesa della citt?, dove le mura erano guaste, facendo palizzate e baluardi, resi forti solamente dal coraggio de' difensori.

Mentre gli abitanti di Messina respingevano valorosamente i giornalieri assalti di Carlo, Giovanni di Procida, accompagnato dai sindaci e procuratori di tutte le citt? siciliane, fece un secondo viaggio alla corte del re Pietro d'Arragona per affrettarne i soccorsi. Lo trov? ad Ancolle, porto dell'Affrica, ove, malgrado il cattivo esito della sua spedizione contro i Mori, si rimaneva, preferendo di lasciare i Siciliani esposti molti mesi a tutte le vendette di Carlo, pi? tosto che esporsi al risentimento di quel temuto monarca avanti di vedere qual piega prenderebbero gli affari della Sicilia. Ma comprendendo dal racconto di Giovanni che i Siciliani eransi omai tanto inoltrati nella ribellione, che per alcun modo non potevano pi? dare a dietro, imbarcossi colla sua armata alla volta della Sicilia, e giunse avanti a Trapani il 30 agosto del 1282.

Tutti i baroni dell'isola eransi adunati a Palermo per ricevervi il nuovo re; che si affrettarono di far incoronare dal vescovo di Ceffal?, e gli prestarono il giuramento di fedelt?. Non lasciavano per altro d'essere assai inquieti osservando le deboli forze di Pietro in confronto di quelle di Carlo; e prevedevano che, presa Messina dai Francesi, in breve tempo tutta l'isola sarebbe soggiogata; ed avevano avviso che quella citt? incominciava ad avere tanta scarsit? di viveri, che non potrebbe oramai tenere pi? di otto giorni. Fortunatamente il re arragonese aveva condotta seco la sua flotta composta soltanto di galee armate in guerra e disposte a combattere, e questa era comandata da Ruggero di Loria, gentiluomo calabrese, che aveva abbandonata la patria quando venne in potere de' Francesi, ed era il pi? esperto e pi? fortunato ammiraglio che allora si conoscesse. Carlo all'opposto, non s'aspettando d'aver nemici sul mare, non aveva seco menato che navi da trasporto e galere disarmate; almeno con tale pretesto gli storici guelfi cercano di scusare la debolezza della sua marina veramente strana ed incauta. Ruggero di Loria, riunite sessanta galee sottili della Catalogna e della Sicilia, and? ad occupare lo stretto per impedire che fosse vittovagliata l'armata francese. Nello stesso tempo il re Pietro fece lentamente avanzare le sue truppe alla volta di Messina, e mand? tre cavalieri catalani a Carlo colla seguente lettera di sfida:


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