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Words: 106855 in 24 pages
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: Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo v. 06 (of 16) by Sismondi J C L Simonde De Jean Charles L Onard Simonde - Italy History IT Storia
STORIA DELLE REPUBBLICHE ITALIANE DEI SECOLI DI MEZZO
DI J. C. L. SIMONDO SISMONDI
DELLE ACCADEMIE ITALIANA, DI WILNA, DI CAGLIARI, DEI GEORGOFILI, DI GINEVRA EC.
ITALIA 1818.
STORIA DELLE REPUBBLICHE ITALIANE
Il quattordicesimo secolo forma una delle pi? gloriose epoche dell'Italia; perciocch? in verun tempo vi si coltivarono le lettere con maggior ardore, n? furonvi accolti ed onorati i dotti con maggiore entusiasmo: in verun altro tempo non si acquistarono tanti lumi n? si disseminarono cos? generalmente tra gli uomini; in niun altro secolo furono tramandati alla posterit? pi? nobili monumenti del genio creatore, o del pi? ostinato lavoro. Il rinnovamento delle greche e latine lettere, la creazione dell'idioma italiano e della moderna poesia, l'arte d'insegnare la politica nella storia e di dare agli uomini nel racconto degli avvenimenti una lezione allettatrice ad un tempo ed istruttiva; il perfezionamento della giurisprudenza, i rapidi progressi della pittura, della scultura, dell'architettura e della musica, sono cose di cui l'Europa va debitrice agli Italiani del quattordicesimo secolo. Ma quest'epoca, che per tante ragioni vuol essere attentamente studiata, non fu per l'umanit? egualmente felice. Molte di quelle virt? che innalzano il carattere degli uomini, che associandosi alle loro passioni, le nobilitano, erano affatto scomparse, ed avevano preso il loro luogo que' ributtanti vizj che deturpano la storia che noi scriviamo. Sicuri mezzi per giugnere alle principali cariche nelle corti de' principi erano la vile adulazione, la bassezza, l'intrigo, il vizio. I piccoli sovrani offrivano lo scandaloso esempio di tutti i delitti; la pi? ributtante dissolutezza regnava nell'interno de' loro palazzi; il veleno e l'assassinio erano ogni giorno adoperati a mantenere il loro governo, e numerose bande di sicarj vivevano al soldo de' sovrani, i quali ne ricompensavano i servigi con una illimitata protezione. Nelle case principesche, la passione di regnare, non raffrenata dal timor del delitto, eccitava frequenti rivoluzioni, preparate dalla pi? nera perfidia, consumate coi pi? atroci delitti, o prevenute con orribili crudelt?. Nei tribunali un potere arbitrario e spesso ingiusto trovava nella punizione dei delitti una sorgente di ricchezze per il sovrano, che, sospettoso per avarizia, valutava le prove estorte colla tortura e castigava gli accusati con orrendi supplicj. L'ambizione, che nelle faccende politiche preferiva per vincere il tradimento alle armi, distruggeva la fede de' trattati, la sicurezza delle alleanze, ogni legame d'amicizia tra i popoli. Truppe mercenarie, perfide, crudeli, sacrificavano in guerra il proprio sovrano al nemico che voleva offrir loro pi? vantaggiose condizioni; e risparmiando le armate nemiche, non danneggiavano che le pacifiche campagne e gl'innocenti cittadini.
Il disprezzo d'ogni legge e d'ogni morale per parte dei principi era un esempio tanto pi? pernicioso, in quanto che ogni citt? aveva una piccola corte, la quale era pei cittadini una scuola d'immoralit?, di corruzione, di delitto. I tiranni, perch? pi? vicini alla vita privata, corrompevano pi? facilmente i costumi de' loro sudditi; ed essendo moltissimi, guastavano dappertutto la pubblica morale, perch? i delitti politici si moltiplicavano in ragione del loro numero. Il sentimento delle immutabili leggi della morale e della religione era distrutto dalla storia d'ogni giorno, e dalle rivoluzioni di ogni stato.
Mentre l'Italia era travagliata da tanti disordini e da tanti mali, fu colpita tutto ad un tratto dai pi? terribili flagelli che il cielo abbia riservati per castigo della terra. Una crudele carestia e la pi? mortifera peste di cui le storie abbiano conservata la memoria; e potrebbe aggiugnervisi per terzo flagello l'invenzione dell'artiglieria, che rimonta precisamente a quest'epoca sventurata. L'invenzione delle armi da fuoco ebbe per l'umana specie pi? funeste conseguenze, che la peste e la carestia; ella sottopose al calcolo la forza dell'uomo; ridusse il soldato ad essere una semplice macchina; tolse al valore quanto era in esso di pi? nobile, quanto era dipendente dal carattere personale; accrebbe il potere dei despoti, ed indebol? quello delle nazioni; spogli? le citt? dalla loro sicurezza, e le mura della confidenza che ispiravano. Ma i durevoli effetti di cos? funesta invenzione non si manifestarono che dopo lungo tempo. Le bombarde, di cui parlano gli storici la prima volta, quando furono adoperate il 26 agosto del 1346 nella battaglia di Cr?cy, tra gl'Inglesi ed i Francesi, non parvero a principio che macchine proprie a lanciare alcune palle, di cui tutto il vantaggio riducevasi a spaventare i cavalli coll'esplosione e col fuoco che produceva. Il re d'Inghilterra che solo aveva bombardieri nell'armata, gli aveva infatti collocati tra gli arcieri, sui carri onde aveva circondato il suo campo. Il Villani mor? due anni dopo la battaglia di Cr?cy, onde non pu? essere sospetto di anacronismo, e le bombarde di cui parla sono a non dubitarne un'arma da fuoco della natura delle presenti; ma egli non suppose tale invenzione di cos? grande importanza, che fosse prezzo dell'opera il darne pi? circostanziata relazione; ed infatti i cambiamenti che l'artiglieria doveva produrre nell'arte della guerra, non si fecero sensibilmente conoscere, che un secolo e mezzo pi? tardi.
Lo stesso anno l'intemperie delle stagioni fu la principal cagione della carestia. L'eccessive piogge dell'autunno del 1345 non permisero le seminagioni in ottobre e novembre, e fecero marcire il frumento che cominciava a germogliare. Nella seguente primavera ricominciarono le piogge con eguale ostinazione, e ne' tre mesi di aprile, maggio e giugno, la terra fu sempre o inondata o talmente umida che le sementi sparse in primavera e quelle del granoturco non riuscirono meglio di quelle dell'autunno. N? questa sciagura si ristrinse ad una sola provincia, ma si estese a tutta l'Italia, alla Francia, e ad altri paesi; onde non erasi mai fatto un cos? scarso raccolto come nel 1346. Il vino, l'olio ed ogni altro prodotto della terra manc? egualmente. Ben tosto si dovettero distruggere quasi tutti i pollami, per non avere di che alimentarli. La carne da macello si rese subito assai cara; ma pi? che tutt'altro il frumento venne meno in una sorprendente maniera, non avendo le terre dato che il quarto, o soltanto il sesto dell'ordinario prodotto. Al raccolto una misura di grano pagavasi a Firenze trenta soldi, ed and? ogni giorno crescendo di prezzo in maniera che il primo giorno di maggio del 1347 vendevasi pi? del doppio; incarirono pure l'orzo e le fave, e carissima era perfino la crusca, lo che era sicura prova che i miserabili cercavano di alimentarsi con questo grossolano ed insalubre cibo.
Un pajo di capponi pagavasi dal fiorino d'oro a quattro lire, ossia dodici in quindici lire tornesi; i pollastri ed i piccioni dieci in dodici soldi fiorentini al pajo, la carne pi? comune sette in otto soldi, e la migliore dodici soldi. Questi prezzi corrispondono peso per peso, ma il danaro valeva allora il quadruplo di quel che vale al presente.
La misura o stajo di Firenze pesa 36 libbre peso di marco; il fiorino d'oro del valore di 12 lire tornesi, stimavasi allora 3 lire e 2 soldi. Un quintale di frumento ammont? dunque al prezzo di 36 lire peso per peso, cio? a sei luigi calcolando il cambiamento che le miniere d'America portarono nel valore delle specie.
Per altro il governo di Firenze fece tutto quanto poteva per procurarsi un bastante approvigionamento; fece comperare frumento in Calabria, in Sicilia, in Sardegna, in Tunisi ed in tutta la Barbaria; pag? anticipate somme, senza lasciarsi sgomentare dalla carezza delle derrate, e credette di essersi assicurati quaranta mila moggia di frumento, e quattro mila di orzo. Ma i mercanti pisani e genovesi coi quali esso era costretto di contrattare per fare sbarcare il grano a Pisa o a Genova, non poterono soddisfare alle loro promesse, perch?, trovandosi queste citt? egualmente afflitte da crudele carestia, i loro magistrati cominciarono a provvedere ai proprj bisogni prima di lasciar sortire il grano, onde Firenze non ebbe pi? della met? del quantitativo acquistato dal governo. I Fiorentini fecero pure alcune provvigioni nelle Maremme e nella Romagna, sebbene in queste province, come anche a Bologna, le derrate non fossero meno scarse n? meno rare di quel che lo fossero in Firenze.
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